30 gennaio 2007

Le cene del "buon ritorno"

La cosa è iniziata un paio di anni fa, intorno al tavolo, oltre alla famiglia, tre amici, che ogni tanto senti, vedi, incontri e via di questo passo, poi una sera li invito a cena, da allora l'appuntamento diventa quasi fisso.
Oggi è una "rentreé" un ritorno ,nonostante chi abbia preso la strada della capitale, e nonostante l'insistenza e l'offerta di paccheto "all-inclusive" (cena, letto e colazione), ancora non si sia deciso a farsi una "mazzata" di viaggio per quattro chiacchere in compagnia. Gli altri sono di là nella stanza a fianco, seduti intorno al tavolo che si stanno gustando una crostata con confettura di fragole e frutta secca, e altri dolcetti da fine cena.
"Il ritorno" è per me l'elemento essenziale di un viaggio, partire e viaggiare ha senso solo per poter ritornare, e per tutte le sensazione che il ritorno dà. Banale? Provate a pensare ai vostri viaggi, siano essi vacanze o viaggi di lavoro, e poi ditemi (scrivetemi) se non è vero che il momento del ritorno non è l'elemento principe di un viaggio, a cui si pensa, addirittura, anche prima della partenza.
Per noi l'appuntamento è l'occasione per due chiacchere tranquille, per raccontarci il pezzo di storia che manca dall'ultima cena a quella attuale, e, sopratutto, per provare qualche piatto della mia cucina.
Stasera ci siamo buttati sul pesce, ed ho pensato valesse la pena di provare un piatto che spesso nei ristoranti ha prezzi abbastanza alti, la "granseola" di per se non è un crostaceo costoso il problema è che per ricavarne qualcosa di serio, in termini di quantità, richiede un lavoro che solo la passione può far fare.
E quindi ecco i:

Taglierini alla Granseola

Per 4 persone procuratevi due granseole freschissime (vive) e abbastanza grandi. Lavate i crostacei in acqua corrente e sbollentateli in acqua bollente per un minuto. Staccate gli arti e aprite il crostaceo scoperchiandolo, recuperate il corallo rossiccio che trovate, armatevi di un coltellino a punta sottilissima e prima svuotate tutti gli arti della polpa poi passate alla cartilagine che occupa gran parte del corpo della granseola, rompetela a pezzetti ed estraete la polpa. Fatto?
Ora in una padella mettete a soffriggere in poco olio due scalogni tritati finemente e uno spicchio di aglio, aggiungete tutta la polpa e fate andare per un minuto, sfumate con un ottimo Armagnac o Cognac. Fate ridurre il liquore e poi aggiungete un paio di pomodorini pachino, a persona, privati precedentemente di semi e bucce. Fate andare per un 5-10 minuti. Intanto lessate i taglierini. Qui apro una parentesi su due produttori, uno nordico: Alfieri con il loro taglierino "Albesi" e uno della mia terra: gli "spinosini 2000" o "i tonnarelli" di Vincenzo Spinosi qui trovano un habitat ideale. Tre minuti di cottura per la pasta e poi scolandola poco dentro alla padella con il sugo, fate saltare a fuoco vivo e impiattate con un filo di olio. E poi godetevi la faccia di chi vi sta di fronte. Noi ci abbiamo bevuto un Grechetto dei Colli Martani della cantina Dionigi, un vino equilibrato tra freschezza e morbidezza, con una sensazione leggermente abboccata, che nonostante i suoi 15,5° non ha provocato grossi effetti collaterali. Almeno a me.

28 gennaio 2007

Le cose essenziali

In Svizzera, abitavamo in un paesino veramente piccolo, arrocato alle pendici del monte (credo) Gradiccioli, o comunque alle pendici di quello spartiacque che è composto dalla catena che va dal monte Lema a sud al monte Tamaro a nord, zona veramente pregevole da un punto di vista escursionisitico. Sopra casa nostra, non visibile dal basso, intorno ai 1400 metri c'era, e c'è tutt'ora l'alpe di Torricella. Alpe, nell'etimologia ticinese, sta ad indicare quello che in Italia è un alpeggio, e quindi un'attività produttiva agricola o zootecnica. In pratica, ci sta un contadino allevatore di vacche o capre, che raccoglie i prodotti dell'orto e fa il formaggio.
Il contadino in questione, di età indefinita ma non giovane, barba e capelli estremamente lunghi, brizzolato, cappellaccio di feltro sulla fronte, camiciona a scacchi, pantalone in coste di velluto alla zuava, calzettoni e scarponi da montagna. Immagino che se lo si incontrava di notte per il sentiero che portava a Torricella, poteva anche far pensare "all'uomo nero". La persona invece, ricordava il nonno di Heidi, estremamente "a modo" come avrebbe detto mia nonna. Tanto che un pomeriggio passando per casa sua, di ritorno da un lungo giro in rampichino (mountain bike), ebbi modo di scambiarci due parole. Era pomeriggio tardi, mi ero fermato alla sua fonte per riempire la borraccia d'acqua. Lui si presentò con un bicchiere di latte e due fette di pane con del formaggio. Seduto su un ciocco di legno con lo sguardo che si perdeva nella valle del Vedeggio, sotto di me, il lago di Lugano più in la e giù fino al confine con l'Italia, feci una di quelle merende che ti rimangono scolpite nella mente, e nel cuore, per sempre. Scambiammo poche parole, mi chiese da dove venivo e dove andavo, di cosa mi occupassi in Svizzera e dove abitavo. Io gli chiesi come si stava a vivere lassù da soli, lontano dalla gente. Fece un largo sorriso e disse: "Io qui ho quello che mi basta." Mi fece poi notare che non era solo, aveva un cane, qualche vacca , diverse capre, e che per quel sentiero, che stavo percorrendo, passavano anche abbastanza persone, persone diverse. Mi indicò la valle e disse: "Perchè le persone che arrivano fin qui, a piedi o in bicicletta, come te, sono diverse da quelle che rimangono laggiù."
Lo salutai, risalii in bici e ripresi a scendere, con quelle due frasi che rimbalzano ad ogni sasso e ad ogni buca che prendevo, e mentre da "diverso" ritornavo ad essere "normale" man mano che scendevo a valle, mi resi conto che non c'eravamo neanche presentati.
Qualche tempo dopo, forse mesi non ricordo, in coda alla cassa del supermercato sotto casa mia, lo vidi davanti a me, che spingeva un carrello. Pensai che anche lui nonostante tutto doveva piegarsi alla "globalizzazione". Quando appoggiò la merce sul banco della cassa, apparvero diverse confezioni di sale, zucchero, farina e due pacchi di spaghetti. Mentre riempiva uno zaino da ottanta litri i nostri sguardi si incrociarono, "Come va?" gli chesi. Mi indicò i due pacchi di pasta che teneva in mano e disse "Sono il solo vizio che mi concedo... il resto è l'essenziale, venga a trovarmi che ne parliamo."

Non andai più. Il lavoro, la famiglia, il tempo, non salii più all'alpe di Torricella e oggi, che non abito più lì, diventa quasi impossibile ritornarci. Ma la scena di quel supermercato è una foto, per niente scolorita, nella mia mente, lo zucchero, la farina e il sale: l'essenziale, il resto era sù, sopra quei boschi che si vedono sulla sinistra, percorrendo l'autostrada verso nord, lasciando Lugano. A più di un amico ho raccontato questo fatto, ma non per semplice anedottismo, ma, mi rendo conto ora, per convincere, se ce ne fosse bisogno, me stesso che si può vivere di essenziale, o quanto meno del "non troppo".

La ricetta?
Uno spaghetto, burro, formaggio e ricotta come si mangierebbero all'alpe di Torricella.

Nella foto la discesa dal Tamaro verso l'alpe di Torricella e l'alta val Vedeggio (fonte Bikexplorer)

26 gennaio 2007

Incidenti culinari

Postaccio la cucina, in un bellissimo post che trovate qui (secondo in ordine cronologico inverso) "Lapiccolacuoca", chef di un ristorante milanese, spiega che mondo è, una cucina professoionistica.
Quando ero ragazzo facevo la "stagione" estiva per aiutare l'economia familiare, d'inverno poi diventavo un "extra": quei camerieri che vengono chimati la domenica, o in occasioni di banchetti, quando cioè il numero dei coperti esce dalla routine. Quindi non "vivevo" la cucina, ma la "vivevo" dall'altra parte del pass di servizio. Ricordo, lo Chef che s'incazza se stai lì ad aspettare il piatto, lo Chef che s'incazza se non arrivi subito quando chiama, lo Chef che s'incazza se arrivi con tre comande. Anche nel mio caso c'era una CHEFFA, nonchè capa del ristorante insieme ad una sua socia, capa, anche lei, che però stava al bar a fumare. Si era alla fine degli anni '70, ricordo in particolare un 15 agosto assolato e caldo. Il ristorante aveva già fatto il pieno di prenotazioni una settimana prima, ma come fai a dire no ad un cliente! E quindi lacapaalbar, giù a prendere prenotazioni, fatto stà che la mattina del 15 abbiamo trecento coperti. Trecento persone, in un banchetto le fai pure, il menù è fisso ! Ma in quel ristorante, quel giorno era "alla carta", carta ridotta va bene tre antipasti, tre primi, e via così da sclegliere, con vini abbinati, ma carta. Dovemmo apparecchiare due sale dedicate di solito a pizzeria e anche i tavoli del bar. La prima famiglia, a ferragosto di solito sono le famiglia che vanno a pranzo fuori, arriva alle nove e chiede a che ora può accomodarsi, lacapaalbar risponde "dodici e trenta, signori". Durante tutta quella mattina mentre caricavamo acqua, pulivamo, apparecchiavamo, ecc. Lacapaalbar continuava a rispondere: "dodici e trenta, signori", tanto che, verso le undici gli faccio notare che con quell'orario ha già riempito mezzo ristorante e che in questo modo si rischia di mandare in "merda" la cucina. Si gira di scatto e mi intima di farmi una cucchiata di ... affari miei. Le chiedo allora se posso avvantaggiarmi con i ragazzi della sala, e aprire il vino (so che non è bello) e tagliare il pane in anticipo (so che si si secca), altra occhiata e altro insulto. Torno in sala e avviso il mio fratellino (che lovorava con me) e a cui avevo dato il bar, e Manuel (amico capoverdiano) con il quale condividevo la responsabilità della sala, di quale fosse la situazione. Decido di informare l'altra capa che fa la cheffa in cucina, apriti cielo Lacapaalbar mi becca mentre scendo, urla e insulti per esser rispedito al mio posto. L'altra capisce qualcosa, forse non tutto, ci incrociamo con gli occhi ed ha lo sguardo preoccupato, torno in sala avviso tutti i camerieri che quel giorno devono imparare a volare e mi metto ad aspettare le dodici e trenta.

Alle dodici e trenta c'è la fila per entrare in sala, una bolgia, arrivano tutti insieme e le sale si riempiono, è già merda con l'acqua minerale, lascio le comande a Manuel che le centellina più che può verso la cucina. Corro come una razzo in su e in giù, dopo dieci minuti che tutti sono seduti, qualcuno comincia a chiamare, l'acqua il vino e il pane? Dico ai ragazzi di stare calmi e mi metto a fettare il pane, ma sono un diciasettenne agitato, perchè già sento le urla dalla cucina, fetto il pane e dò consigli, fetto il pane e riprendo mio fratello che ha la camicia di fuori, fetto il pane e dò indicazioni ad un "extra" di dove può trovare i tovaglioli, fetto il pane e anche il dito indice della mano sinistra. Il coltello arriva in fondo tanto... troppo. Lego stretto con un tovagliolo, Manuel dice prontosoccorso, la cameriera carina che viene qualche volta diventa bianca e per poco non sviene, lacapachef dice "pooo..rca", lacapaalbar dice che sono deficiente e che l'ho fatto apposta, prendo un pezzo di cartone lo metto sotto al dito e dai Manuel lega sta garza stretta stretta.

La giornata è finita con la cucina in una "merda" apocalittica con le Cape che se le son dette di santa ragione, con un paio di extra che non si sono più visti, con qualche cliente arrabbiato, con mio fratello che mi chiede dove l'ho portato, e con me e Manuel vestiti da camerieri che ci presentiamo al pronto soccorso per farmi ricucire il dito, con l'infermiere che mi chiede se si tratta di infortunio sul lavoro, "no guardi ci stavamo facendo un panino in casa" dico, "vestiti così?" fa lui, vestiti così, altrimenti chi lo dice a lacapaalbar che ho fatto denuncia nonostante non sono in regola.

A questo ho pensato quando qualche giorno fa mi sono rimediato una di quelle ustioni, non grosse, ma che ti rendono mezzo mutilato e impossibilitato a fare anche le cose più banali, cosa di poco conto rimediata per fare il:

Croccante

Prendete un pò di frutta secca, nocciole, mandorle e pistacchi che potrete lasciare interi, tagliare grossolanamente o tagliare finemente, vedete voi. In una padella antiaderente mettete lo zucchero, quanto? Io faccio ad occhio, diciamo 200gr e un cucchiaio di acqua, mettete su fuoco medio e aiutandovi con una spatola di legno aspettate che si sciolga completamente, avrà anche iniziato a brunirsi, ora aggiungete il succo di mezzo limone (occhio che scoppierà il putiferio), e per chi vuole una noce di burro. Rimettete sul fuoco e girate velocemnte, aggiungete la frutta secca incorporatela bene e scodellate tutto su di un foglio di carta forno. Prendete un limone intero (il profumo lasciato dalla buccia sarà divino), che avrete messo lì da prima, e cominciate a battere ed allargare il croccante fino a farlo diventare sottile quanto vi piace. Qui dovete essere velocissimi, lo zucchero ricristallizza prima di quanto pensiate, e non fate l'errore di essere disconcentrati e far girare il limone che avete in mano. Lo zucchero fuso attaccato alle dita fa male....Tanto.

24 gennaio 2007

Ricette sparse (6)

".... allora mi metti, anche, sei tranci di coda di rospo, ok?"

"Se-i co-di-ni di ros-po..... per Marco"
"Tranci Dani, tranci non codini, che poi mi ritrovo con sei code di rospo e non so che farci"
"Ahoooo ma che peensiii, che so tontaa !?!"
"No ci mancherebbe, ...allora passa la Lella dopo a prendere tutto!"

Quando ritorna a casa, Lella, si lamenta della mia inaffidabilità previsionale sul prezzo del pesce, invece dei trenta euri stimati ce ne sono voluti quasi settanta. Dubbio, cerco nella busta sorvolo sui "cartocci" di poco peso e punto diritto verso il fondo e verso quell'enorme cartoccio che non ho ordinato ma che ho il dubbio, da sempre, di sapere cosa contenga. Lo apro e appaiano sei code di rospo intere, e qui, come Perry Mason, dovrei sedermi e dire "Non ho altre domande signor giudice,"

E visto che comunque mi sono ritrovato con sei code di rospo tutte intere, e che alla fine qualcosa te lo devi inventare, mi sono messo a pensare e mi sono ricprdato di una foto, vista qualche sera fà in un ristorante, di una "coda" circondata da patate e carciofi. Ho escluso il forno ,perchè la carne di quel pesce non lo gradisce proprio, o magari sono io incapace di farglielo gradire. Ed ho optato per una bella grande casseruola antiaderente, in cui ho messo un filo d'olio due spicchi d'aglio in camicia, ho adagiato una coda di rospo per persona (circa 250/300gr), ho messo un 150gr di patate a testa sbucciate, lavate e tagliate a fette grosse, ho poi messo un cuore di carciofo a testa tagliato in quartini, ho spruzzato di abbondante vino bianco, ho salato, aggiunto qualche rametto intero di prezzemolo, messo un coperchio, accesso il fuoco quasi al minimo, e ho fatto andare per una buona mezz'ora, fintanto che le patate e i carciofi fossero cotti. Ho impiattato, nappato con la sua salsa, che ho fatto un pò ritirare, condito con un filo d'olio a crudo e una bella macinata di pepe, e mi sono fatto una:
Coda di rospo con patate e carciofi

con il resto del pesce invece mi sono fatto:

Maltagliati allo scoglio con verza ripassata

Ho rimediato l'occorente per un sugo allo scoglio: calamari, mazzancolle, cicale o pannocchie, vongole, cozze, qualche filetto di triglia. Ho pulito il pesce ho fatto aprire vongole e cozze e le ho tenute da parte con il loro sughetto. Ho lessato una decina di foglie di verza prese dal cuore e tagliate a striscie sottili.
In una padella in poco olio buono ho fatto dorare due spicchi d' aglio, ho aggiunto la verza e l' ho fatta andare per 10 minuti a fuoco medio, ho aggiunto i calamari, le mazzancolle, le pannocchie, 3 minuti a fuoco allegro poi i filetti di triglia, le vongole e le cozze per l'ultimo minuto. Ho lessato i maltagliati ricetta classica della sfoglia (post precedenti) tirata a mano abbastanza spessa e tagliata a rombi, saltata nel sugo con un poco di acqua di cottura, da ultimo ho aggiunti 8 pomodorini confit e una spruzzata di prezzzemolo.

P.S. se alla prima ricetta togliete l'olio :-(( è piuttosto dietetica, ma sa veramente di niente.

20 gennaio 2007

Bisogna che mi sbrigo.

La passione per qualche cosa, rende soddisfatti, fieri, gelosi, invidiosi, esalta il bisogno di possesso, a volte rende ladri. Tre esempi calzati sulla mia pelle: libri, quadri, vini.
Non posso leggere un libro senza possederlo, se qualcuno mi presta un libro lo leggo e poi, comunque, lo acquisto, è inevitabile. Non venderei mai un quadro della mia, se pur piccola collezione, e quindi quando qualcuno mi chiede il valore di un pezzo, rispondo che vale in funzione di quanto si è disposti a venderlo, per me quasi nulla. Per i vini è la stessa cosa, scopro , assaggio un vino, poi lo cerco lo compro. Se posso direttamente dal produttore, per conoscerlo, parlarci, capire come lo fa e sopratutto perchè lo fa in un certo modo. Poi me lo metto in cantina e mi cerco di immaginare l'occasione ideale per berlo. L'esempio della foto: uno "Cahteau d'Yquem 1989", regalo di una cara amica. Per aprirlo devi avere sicuramente un pezzo di foie gras sul piatto magari preparato dal buon Dario Ranza, o acquistato direttamente da Jolanda. Poi devi radunare almeno un paio di amici, e non fermarti al fegato, e quindi altro piatto e altra bottiglia, ma dopo uno "Y" che apri? Se rimani in Francia, allora dovresti buttarti su uno dei classés per affinità scolastica. Oppure ritorni in Italia e vai sugli "...aia" per definizione, in quella terra di Bolgheri, la bordeaux nostrana. Per poi tornare su l' "Y" con un finale di formaggio, di dolce e di meditazione. Poi la stagione: no d'estate e a primavera, si d'autunno, un pò meno d'inverno. E i bicchieri? Che mica puoi usare un cristallo normale? Riedel per definizione.
Quante elucubrazioni mentali è ? E ancora non l'ho aperto, ma bisogna che mi sbrigo, e sì perchè qualcuno a messo avanti l'orologio della fine. Bisogna che mi sbrigo, le lancette sono state spostate solo 17 volte dal 1947 ad oggi. Bisogna che mi sbrigo, dal 1991, che mancavano 17 minuti, siamo arrivati a 5 minuti alla mezzanotte nucleare, se la progressione fosse matematica ( la preferisco alla geometrica in questo caso ) nel 2018 sarà mezzanotte. Bisogna che mi sbrigo, il fatto che le grandi potenze nucleari non accennino a ridurre il loro arsenale, che più "piccoli" paesi si stiano attrezzando per averlo, che il clima, o meglio, i danni all'ecosistema stiano riducendo risorse e spazi vitali, ha fatto pensare ai pensatori del clocktimeline di spostare in avanti le lancette. Bisogna che mi sbrigo, bisogna che ci sbrighiamo...............

18 gennaio 2007

Ebbene si !

Mi vergogno un po' a dirlo, ma è così: sono a dieta.

Ma no quella "perenne" che tutti facciamo, o che diciamo che faremo la prossima settimana, quella che "... mangio pochissimo, ma ho il metabolismo lento...", "...mangio 8 cipolle la mattina e quattrocentocinquanta grammi di carne di canguro la sera, maaaa ... il mio metabolismo...!", "...fai la dieta dissociata: non mettere mai gli spinaci con la carne e i finocchi con le uova, e mi raccomando mai, mai, mai pomodori e mozzarelle." Chissà con cosa le mangi le mozzarelle.

Comunque questa è una dieta vera, con tanto di medico, di centrimeti di pancia misurati e di fattura regolarmente staccata, motivazione forte quella del soldo, "Ho pagato ora la devo fare!". Quindi per la cronaca tutti i post che leggerete prossimamente a meno che non siano "etichettati" con il flag "dieta", sono piatti originali da me preparati ma consumati dai familiari che di tutto soffrono tranne che di sovrappeso, gli altri fanno parte del "régime" come dicono i francesi.
Giuro, giuringiuretto, che mentre cucino non spiluccherò nulla, che mi limiterò a fine preparazione ad assaggiare in punta di cucchiaio l'equilibrio di sapori, e la sapidità. Che l'unico bicchiere di vino nell'arco della settimana, previsto, sarà gustato con sacralità, anche se non sò cosa farò di quello avanzato, e qui gli amici di "buta stupa" non mi potranno aiutare. Giuro, che farò il "bravo" e che invece di trascinare ottanta e passa chili sulla bicicletta, a giugno ne porterò dieci di meno. E che a settembre, poi sarò pronto per quello che voglio fare.
Bene, non tedierò oltre, i pochi affecionados che si affiacciano qui, con la mia dieta. E quindi se ogni tanto appariranno strani caratteri e vedrete la scrittura perdere di lucidità saprete il perchè.
Ecco quindi il primo primo di una, speriamo, breve serie:

Rigatoni al ragù di verdure


Per 2 persone (fate soffrire meno gente possibile!)
Lavate: 1 zucchina (a cui eliminerete i semi e il grosso della parte bianca), 2 funghi champignon, 1 melanzana piccola, mezzo peperone, un piccolo cuore di sedano, 1 carota, mezza cipolla e 4 pomodori rossi (che sbollenterete per toglierne buccia e semi).
Tagliate a julienne tutte le verdure tenendo a parte sedano, carota e cipolla. In una padella con pochissimo olio buono, (mezzo cucchiaio [sic!]) fate saltare zucchina, funghi, melanzana e peperone. Appena prendono colore salate e togliete dal fuoco, nella stessa padella dove riaggiungerete un altro mezzo cucchiaio [sic!] di olio, fate andare la cipolla, il sedano e la carota finchè non appassiscono, allungate con poca acqua se necessario. Aggiungete i pomodori, e fate andare per una decina di minuti coperto, salate.
Lessate la pasta (80gr a persona), quando è al dente, saltatela nel sugo incorporando le verdure tenute da parte, impiattate e spolverate (SPOLVERATE!!!) con poco parmigiano. Beveteci acqua naturale.
Non volete fare la dieta?
Cuocete il primo gruppo di verdure in abbondante olio di oliva, e mettetene due cucchiai quando fate andare il soffritto, condite la pasta con molto parmigiano e, magari, con della ricotta secca, finite con un bel filo di olio a crudo e beveteci un Sassaiolo di Monte Schiavo. Alla faccia mia.

15 gennaio 2007

Tempo di "pista"

Il tempo è questo. Il tempo di calendario si intende. Invece non è il tempo metereologico ideale, per ammazzare il "porco". La pista del maiale vuole il freddo, o meglio "la gelata", perchè la pacca appesa nella cantina deve frollare con l'aria dell'inverno. Chissà che fine faranno le piste di quest'anno, che di inverno non se ne vede e sente neanche l'ombra.
L'ultima volta che ho fatto la pista saranno stati dieci anni fa. Ciccio il contadino di fiducia, marchigiano doc, ma di cui ho sempre sospettato un' origine bresciana visto l'intercalar di bestemmie nel normale discorso, allevava le bestie. Teneva otto o dieci maiali, metà per la sua famiglia, l'altra metà per una ristretta cerchia di amici. Noi durante l'anno andavamo a trovare il "porco", la bestia ci veniva mostrata con fiero orgoglio nel suo habitat naturale: "lo stalletto". Nonostante la puzza di stabbio ogni volta mi fermavo a cercare con gli occhi il "nostro" maiale, non mi spostavo dal cancello fintanto che non lo riconoscevo o così mi pareva. Ciccio, poi, spiegava le varie fasi di vita del "porco", con tanto di illustrazione del menù tipo: ghianda ammollata in acqua, mele (nonostante il detto popolare lo sconsigli), e "il pastone" o "broda", un insieme di avanzi della casa mischiati a farina di mais e crusca, il tutto cotto nel caldaro, e servito due volte al giorno alla bestia, "(...) Chè adà sta bene (...) mica che deve, (...), tribbolà (...), se no te ,che te magni? (...)". Dalla visita al "parente" ritornavamo sempre con una forma di "cacio" e con la ricotta. La ricotta era considerata da Ciccio assolutamente inadatta, al contrario del pecorino, all'alimentazione maschile, in quanto non solo non aveva doti afrodisiache, ma l'effetto era esattamente il contrario. Quella ricotta era qualcosa di unico: tutto il buono che aveva era condito con un leggero sentore di affumicato, di camino, visto che Sara la faceva lì, con il paiolo de rame.
La festa c'era il giorno dell'ammazzata, o tra Natale e capodanno o subito dopo capodanno, quel giorno morivano tutti i maiali. L'aia fumava di caldari bollenti, il norcino guidava le due o tre squadre che ammazzavano, dalle sette della mattina a mezzogiorno ero un macello, sembrava una catena di montaggio. Ricordo quelle coltellate precise e perfette che mettevano fine alla vita terrena del "porco" la bacinella a raccogliere il sangue, destinato al miaccetto o sanguinaccio. La foga e la velocità nel pelare le bestie con l'acqua bollente, nel togliere le unghie alle zampe, nel trsformarli in due "pacche", lo sventramento e il gonfiaggio delle vesciche fatto a bocca. Non ho mai sofferto di incubi, neanche da bambino, per le quelle immagini, ci soffro oggi da grande ma per altre visioni. E poi c'era il pranzo il momento principe per il quale avevo seguito mio padre, e per il quale ero rimasto tutto il giorno a soffire il freddo in giro, nonostante il mio incarico di portare il vino ai lavoranti mi facesse correre tutta la mattina tra la cantina e l'aia.
Sara preparava di tutto, era un menù di campagna grasso e succolento, pecorino e prosciutto dell'anno prima, vincisgrassi, gnocchi e arrosto misto. Io aspettavo solo gli gnocchi, gnocchi alla papera, duri, tosti e buoni:

Gnocchi con ragù di papera.

Per 4 persone.
Per gli gnocchi: lessate 1 kg di patate con la buccia, ancora calde passatele in un macinatutto, aggiungete 100gr di parmigiano, 1 uovo (discrezionale), sale e noce moscata. Incorporate farina all'impasto fino ad ottenere un composto elastico e abbastanza morbido. Lavorate l'impasto per ottenere lunghe striche rotonde della misura desiderata. Tagliate con un coltello e lasciate ben infarinati.
Per il ragù: prendete una mezza anatra o un quarto se è grande pulitela eliminando il grasso e parte (solo parte della pelle), mettetela a rosolare in poco olio con un soffritto di cipolla carota e sedano tritate finemente, aggiungete le interiora dell'anatra, un paio di "maghetti" di pollo, e un paio di pezzetti di lonza di maiale o di magro di bovino. Una volta che tutto è ben rosolato sfumate con un mezzo bicchiere di vino bianco e grappa (sic!). Aggiungete della polpa o passato di pomodoro (un chilo, un chilo e mezzo) profumate con chiodo di garofano, alloro e basilico. Lasciate boillire per un paio di orette.
Lessate gli gnocchi in abbondante acqua salata, sono pronti quando tornano a galla, (aurea legge di cucina). Saltati in padella con il ragù al quale avrete precedentemente disossato la papera, per poterla ritrovare a pezzi nel sugo.

Cosa bere? Tutto quello che è rosso, di corpo e con un tannino vivace e deciso, necessario a "pulire " quella succulenza e untuosità tipica di questa preparazione.

Devo andare a trovare Ciccio!

12 gennaio 2007

Avanzi

La bolgia consumistica di un altro Natale è ormai alle spalle. Tutti tirano le somme, la televisione si spreca a spiegarci ciò che abbiamo fatto, cosa abbiamo mangiato, quanto abbiamo speso. Mentre nei giorni prima delle feste ci spiegava cosa dovevamo fare, cosa dovevamo mangiare e quanto avremmo speso. E' come avere una persona che ti dice: "E' ora, ti devi svegliare!"... "Ecco ti sei appena svegliato"... "Ora devi andare in bagno a lavarti" ... "Ti informo che ti sei appena lavato". Uno così, secondo me, lo manderemmo a cagare verso le 8,00 le 8,15. Il giorno del Santo Natale (o forse della vigilia, non ricordo), in televisione c'era, ancora, un cuoco che preparava cibi tipici del periodo Natalizio, affiancato da un esperto in alimentazione che lo bacchettava, sul numero di calorie e di grassi, presenti in quei cibi. Ma andatevene a casa, per non scrivere affanculo, e lasciateci in santa pace di cucinare e mangiare quello che ci va. Chè poi a me quello spreco (chi la mangia quella roba?) alle otto della mattina fa leggermente incazzare, un affronto alla fame. E' ancora ieri, probabilmente a corto di argomenti, un telegiornale mi spiegava che per essere "politically correct" dovevo comperare l'albero di natale vero e non quello di plastica. Dimenticando che fino allo scorso anno dicevano esattamente il contrario, basterà aspettare il prossimo "riflusso di ideologia" per far tornare di moda l'albero di plastica, sono sicuro.
Avanzi, ecco cosa sono, avanzi, però, andati a male. Io invece tra le mie cose avanzate e non andate a male, che citavo subito dopo Natale, c'era quel mezzo salmone affumicato, con cui ho fatto:


Aspic ai due salmoni con insalata russa.


per 6 aspic
Per la verdura: cuocete al vapore carote, patate e piselli, 100gr ogni verdura. Mettete prima le carote, dopo 2 minuti le patate tagliate a metà e dopo 1 minuto i piselli, lasciate andare per altri 2 minuti e poi togliete dal fuoco (a me piacciono croccantissime, vedete voi), raffreddate e condite con sale e maionese.
Per il pesce: cuocete al vapore due tranci di salmone fresco, 7 minuti, scontato che sia d'allevamento, difficilismo trovarne di selvatici. Raffreddate e condite con olio, limone, sale e pepe.
Preparate la gelatina secondo le istruzioni della confezione siano essi foglio o polvere, versatene una piccola quantità (1/2 centimetro) negli stampini di alluminio, mettete in frigo e lasciate rapprendere.
Una volta che la gelatina degli stampini si è solidificata, mettete una fettina di salmone affumifato, un cucchiaio di insalata russa, alcuni pezzetti di salmone affumicato, un altro cucchiaio di insalata russa e terminate con una fettina di salmone affumicato. Fate in modo di non comprimere gli ingredienti. Versate la gelatina fino a ricoprire tutto il composto.
Prima di servire, passate gli stampini in acqua calda velocemente, impiattate guarnite a piacere.

08 gennaio 2007

Ripartenza, dopo ritorno.

Una ripartenza lenta per questo 2007, causa: vacanze. E anche se la tecnologia mi ha assistito senza problemi, santo wi-fi, c'era poco tempo per raccontare di cibo. Ho invece scoperto un nuovo ristorante posto simpatico, gestori allegri, valle incantevole, valle di cui avevo accennato anche in estate, ma che d'inverno ha un fascino stupendo. Una valle che vide le ultime ore di un grande pittore sconosciuto ai più.
Kirchner naque nel 1880 e morì in questa valle nel 1938 suicida. Ernst Ludwig, questo è il nome di battesimo, è il rappresentante più importante della prima fase dell’espressionismo tedesco. Dopo gli studi di architettura a Dresda, comincia a dipingere e nel 1905 è tra i fondatori del gruppo «Die Brucke» ("Il Ponte") insieme a Karl Schmidt-Rottluff, Fritz Bleyl ed Erich Heckel. Obiettivo di quel "ponte" era quello di collegare gli elementi artistici innovativi, con l'arte dominante di quel tempo. Nel 1911 si trasferisce a Berlino, la sua pittura passa da un concetto di semplificazione formale, caratterizzato da contorni marcati e colori accesi, ad uno stile drammatico, convulso in cui è possibile individuare l'influenza del cubismo e dell' Art Noveau. Qui a Berlino insieme a Pechstein fondò una scuola artistica, che però non ebbe alcuna fortuna. Dopo diverse defezioni di amici pittori, nel 1913 Kirchner sciolse il gruppo «Die Brucke».
Comincia il declino fisico e psicologico dell' uomo Kirchner. L’anno successivo, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, parte volontario per il fronte, ma l’esperienza della guerra lo distrugge nel profondo. Nel 1917 viene congedato per insanità mentale. Gli amici lo portano in Svizzera, a Davos. Qui sembra recuperà almeno in parte la sua lucidità mentale, la sua produzione artistica incontra la natura della montagna, dipinge la città che lo ospita e la valle di Sertig di cui si innamora. Ma l’equilibrio interiore era ormai minato. Nel 1937 arriva il "colpo di grazia" i suoi quadri vengono esposti nella mostra voluta dai nazisti sull’«arte degenerata», è la fine. L’anno successivo Kirchner si uccide, in quella valle di cui era innamorato: la Sertigtal.

Per quanto sembri banale scriverci sotto una ricetta, in quella valle ho comperato un pezzo di formaggio che mi sono riportato a casa, e ci ho fatto un:

Risotto al formaggio d'alpe con radicchio e mele.

In una casseruola fate appassire due scalogni tritati in poco olio, aggiungete, per 4 persone, due mele (pink lady o gala) dalla polpa croccante e succosa ridotte a tocchetti, e 2/3 di un piccolo cespo di radicchio tagliato finemente, lasciate andareper 5 minuti a fuoco medio, aggiungendo un cucchiaino di zucchero. Incorporate il riso e fatelo rosolare sfumate con del vino bianco secco e cuocete il risotto nel modo classico, tirandolo con un brodo vegetale. Quando il riso è quasi cotto, spegnete il fuoco incorporate 120gr di formaggio d'alpe (in alternativa potete usare: fontina valdostana DOP, o Bitto della Vlatellina DOP) una noce di burro e mantecate il risotto, lasciando morbido, regolate con il brodo rimasto. Impiattate guarnendo con il radicchio rimasto tagliato finemente.