C'è una foto vecchia e sgualcita. I segni del tempo hanno lasciato righe ramificate come le crepe di un ghiaccio. I contorni sono rifilati da sforbiciate, che regolarmente, hanno eliminato pezzi che il tempo aveva strappato. Nella foto un bambino è seduto al suo banco di scuola. Quei banchi ad un solo posto, quei banchi di una volta. Stranamente quel poco che si vede del resto dell'aula è deserto, di sedie lasciate in disordine. Come se la lezione fosse finita da tempo e il bimbo è rimasto lì, da solo, a posare per la foto. Calza un paio di scarponcini alti e pesanti e un paio di calzettoni che ripiegati gli arrivano fin sotto al ginocchio. I pantaloni corti scoprono le cosce grassoccie e rotondelle. Il grembiule somiglia ad una gonna, il colletto, bianco. Il bimbo impugna una matita appoggiandola ad un quaderno, poco convinto di scrivere. Ha capelli lunghi, fermati sulla testa da quelle fermezze che lo fanno, insieme a quel grembiule, somigliare tanto ad una bimba. Forse c'è anche un fiocco sui capelli, segno di un non appagato desiderio di figlia. Alla sua sinistra è appoggiato un peluche che raffigura un galletto, o forse un orsetto o magari un cagnolino. Ha gli occhi piccoli, la fronte spaziosa, il viso rotondello e un mento volitivo. La bocca è serrata in un espressione indefinibile. E' indifferente alla foto, forse la considera una scocciatura, e vuole andarsene a casa a mangiare. Oppure è l'espressione contrita di un pianto trattenuto, per orgoglio o per rabbia. Quei pianti che riempiono il petto, strozzano la gola e gonfiano gli occhi. Qualcuno lo ha costretto in quella posa, gli ha detto di restar fermo, gli ha detto di guardare verso la macchina fotografica, gli ha detto di sorridere, gli ha detto di far finta di scrivere.
Qualcuno però, si è dimenticato di dirci che il mondo non è quello dei banchi di scuola, e dei peluche colorati. Qualcuno si è dimenticato di dirci che il mondo è un'altra cosa. Nessuno ci ha detto, che lealtà, onestà, trasparenza, umiltà, non sono più tanto di moda. Il fatto è che lo abbiamo scoperto da soli, prendendo il muro di spigolo, diritto in faccia. Lo abbiamo fatto a nostre spese, sputando i denti caduti e ingoiando l'amaro che rimaneva in bocca. Tornati a casa abbiam sorriso alle stesse mamme che ci facevan le foto quando eravamo bambini. Una mano sulla spalla, e un sorriso distratto a tranquillizzarle che fuori è tutto come ci avevano raccontato loro. E che sì, va tutto bene e non c'è di che preoccuparsi. E non importa se siamo grandi, padri, madri; è che per loro siamo sempre figli con il grembiule di scuola e i pantaloni corti come in quella foto con il peluche sul banco.
Alla fine di tutto, rimaniamo soli a tirarci su a vicenda, a trovare ragioni e soluzioni, per galleggiare e per tornare ,piano, piano, a navigare.
E se uno mi chiede cosa può farsi da cena, per tirarsi su dopo una giornata passata a schivar spigoli di muri, la risposta che mi viene in mente è solo una: una carbonara, meglio una:
Carbonara Ma'Kaira di farro e orzo

Ho provato questo nuovo spaghetto dell'abruzzese Ma'Kaira, giusto per movimentare uno standard che sicuramente in rete impazzerà. La Ma'Kaira fa un ottima pasta, e questa non mente alla fama, ma, ha un piccolo difetto, come tutte quelle di farro: è delicata. Se state lì con il forchettone a girare e rigirare la spezzate tutta, quindi toccatela all'inizio e poi non fatelo più, fino a che non la scolate. Per il condimento, per quattro persone, io uso 2 uova intere e 2 tuorli ,"occio" che le uova delle galline di mia suocera sono molto più piccole di quelle in commercio, e allora magari ne bastano due più uno. Uova che batto a lungo con un pizzico di sale, aggiungo poi, pepe, se ne avete uno buono ( Sechuan, Sarawak, Muntok) è meglio. Aggiungo poi un'abbondante grattata di noce moscata, parmigiano grattugiato e un poco di latte a ridare liquidità. Sciolgo della pancetta con pochissimo olio, e la lascio rosolare a fuoco basso. Scolo la pasta e la salto, a fuoco vivo, nella pancetta, in modo che si impregni ben ben di grasso. Spengo il fornello e verso le uova, continuando a saltare. Alla fine devono rapprendersi ma non troppo, per i miei gusti. Quando impiatto aggiungo anche un trito di prezzemolo. Scandalizzati? Non è più la carbonara? Pazienza, sapeste come tira su.