30 ottobre 2007

Spigoli di muro, peluche e altre amenità

C'è una foto vecchia e sgualcita. I segni del tempo hanno lasciato righe ramificate come le crepe di un ghiaccio. I contorni sono rifilati da sforbiciate, che regolarmente, hanno eliminato pezzi che il tempo aveva strappato. Nella foto un bambino è seduto al suo banco di scuola. Quei banchi ad un solo posto, quei banchi di una volta. Stranamente quel poco che si vede del resto dell'aula è deserto, di sedie lasciate in disordine. Come se la lezione fosse finita da tempo e il bimbo è rimasto lì, da solo, a posare per la foto. Calza un paio di scarponcini alti e pesanti e un paio di calzettoni che ripiegati gli arrivano fin sotto al ginocchio. I pantaloni corti scoprono le cosce grassoccie e rotondelle. Il grembiule somiglia ad una gonna, il colletto, bianco. Il bimbo impugna una matita appoggiandola ad un quaderno, poco convinto di scrivere. Ha capelli lunghi, fermati sulla testa da quelle fermezze che lo fanno, insieme a quel grembiule, somigliare tanto ad una bimba. Forse c'è anche un fiocco sui capelli, segno di un non appagato desiderio di figlia. Alla sua sinistra è appoggiato un peluche che raffigura un galletto, o forse un orsetto o magari un cagnolino. Ha gli occhi piccoli, la fronte spaziosa, il viso rotondello e un mento volitivo. La bocca è serrata in un espressione indefinibile. E' indifferente alla foto, forse la considera una scocciatura, e vuole andarsene a casa a mangiare. Oppure è l'espressione contrita di un pianto trattenuto, per orgoglio o per rabbia. Quei pianti che riempiono il petto, strozzano la gola e gonfiano gli occhi. Qualcuno lo ha costretto in quella posa, gli ha detto di restar fermo, gli ha detto di guardare verso la macchina fotografica, gli ha detto di sorridere, gli ha detto di far finta di scrivere.

Qualcuno però, si è dimenticato di dirci che il mondo non è quello dei banchi di scuola, e dei peluche colorati. Qualcuno si è dimenticato di dirci che il mondo è un'altra cosa. Nessuno ci ha detto, che lealtà, onestà, trasparenza, umiltà, non sono più tanto di moda. Il fatto è che lo abbiamo scoperto da soli, prendendo il muro di spigolo, diritto in faccia. Lo abbiamo fatto a nostre spese, sputando i denti caduti e ingoiando l'amaro che rimaneva in bocca. Tornati a casa abbiam sorriso alle stesse mamme che ci facevan le foto quando eravamo bambini. Una mano sulla spalla, e un sorriso distratto a tranquillizzarle che fuori è tutto come ci avevano raccontato loro. E che sì, va tutto bene e non c'è di che preoccuparsi. E non importa se siamo grandi, padri, madri; è che per loro siamo sempre figli con il grembiule di scuola e i pantaloni corti come in quella foto con il peluche sul banco.
Alla fine di tutto, rimaniamo soli a tirarci su a vicenda, a trovare ragioni e soluzioni, per galleggiare e per tornare ,piano, piano, a navigare.

E se uno mi chiede cosa può farsi da cena, per tirarsi su dopo una giornata passata a schivar spigoli di muri, la risposta che mi viene in mente è solo una: una carbonara, meglio una:


Carbonara Ma'Kaira di farro e orzo



Ho provato questo nuovo spaghetto dell'abruzzese Ma'Kaira, giusto per movimentare uno standard che sicuramente in rete impazzerà. La Ma'Kaira fa un ottima pasta, e questa non mente alla fama, ma, ha un piccolo difetto, come tutte quelle di farro: è delicata. Se state lì con il forchettone a girare e rigirare la spezzate tutta, quindi toccatela all'inizio e poi non fatelo più, fino a che non la scolate. Per il condimento, per quattro persone, io uso 2 uova intere e 2 tuorli ,"occio" che le uova delle galline di mia suocera sono molto più piccole di quelle in commercio, e allora magari ne bastano due più uno. Uova che batto a lungo con un pizzico di sale, aggiungo poi, pepe, se ne avete uno buono ( Sechuan, Sarawak, Muntok) è meglio. Aggiungo poi un'abbondante grattata di noce moscata, parmigiano grattugiato e un poco di latte a ridare liquidità. Sciolgo della pancetta con pochissimo olio, e la lascio rosolare a fuoco basso. Scolo la pasta e la salto, a fuoco vivo, nella pancetta, in modo che si impregni ben ben di grasso. Spengo il fornello e verso le uova, continuando a saltare. Alla fine devono rapprendersi ma non troppo, per i miei gusti. Quando impiatto aggiungo anche un trito di prezzemolo. Scandalizzati? Non è più la carbonara? Pazienza, sapeste come tira su.

28 ottobre 2007

il Vino dei blogger #12

Ecco.
Uno pensa di tenere un basso profilo, ultimo arrivato in un gruppo che parla di vino, e poi. Poi tocca a lui, ma tocca a lui, nientepopodimeno che, nel numero dell'anniversario.
E già. E' passato un anno da quando Marco di "Imbottigliatoallorigine" ha lanciato "il vino dei blogger", l'appuntamento mensile italiano sull' onda del WBW d'oltreoceano. E cosa si fa in occasione di un anniversario? Cosa si beve in queste occasioni? Troppo facile pensare a festeggiamenti a base di champagne. Scontato e già dato lo spumante. E poi non mi pare si sia gente "caciarona" e allora?

Riflettere su questo anno passato, meglio Meditare, e per farlo bene, bere. Quindi il tema del dodicesimo "Vino dei blogger" è:

VINI PASSITI DA MEDITAZIONE



Le regole
Volutamente sono ammessi solo vini passiti o muffati; niente speciali e quindi liquorosi (lasciamo qualche tema anche per il futuro );
Qualsiasi uvaggio;
Nessun vincolo a provenienza geografica e a prezzi;
Qualsiasi denominazione;
Descrivere il vino e darne tutte le informazioni possibili;
Possono partecipare tutti coloro che ritengono di avere un vino da raccontare;
Non è finita diteci come lo bevete: a seguire un dolce? Quale?. Con cioccolata vicina? Che tipo? Con un sigaro? La marca.

E poi raccontate a cosa pensate quando bevete, di cosa parlate con chi vi fa compagnia. Perché quello che è fondamentale, e che spesso rende un vino indimenticabile è: l'occasione.

Si pubblica tutti nella giornata del 22 novembre. A seguire la pubblicazione, si manda una mail al sottoscritto lacolica@hotmail.it con oggetto "il Vino dei blogger #12". Mi impegno a riepilogare il tutto il fine settimana successivo quello della pubblicazione, e a passare il testimone a... Fatevi sotto.

Ho preparato un banner che linka questo post, chi vuole può "pubblicizzare" l'evento sul proprio sito o blog, copiando il codice qui sotto:


<div align="center"><span ><strong>PARTECIPA A L'ANNIVERSARIO</strong></span>

</div><a href="http://unacolicadacqua.blogspot.com/2007/10/il-vino-dei-blogger-12.html"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5126082235698922002" border="0" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; CURSOR: hand; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJfYSKcn1AnHWFfO7VpN8UcqZdMCdhprRfsHklGgweajpraMNIDbt4Pe00_JkjQlM9SywpzLXGIhjT5kCJh6zlM08_9u-omDb2DRne070G2A_vMw25zwzNSMN7wU_mLyMMTt0y/s200/passiti_manifesto_small_3.jpg"/></a>

25 ottobre 2007

Ricordarsene

Ogni terra ha le sue tradizioni. Elementi caratterizzanti che diventano i tratti fisiognomici di un viso che non esiste. Ogni terra racconta attraverso le sue tradizioni, il suo essere, il suo pensare, il suo modo di porsi verso il resto del mondo, verso il futuro che l'aspetta. E' facile dire che oggi le tradizioni stanno scomparendo, la causa? La cultura globale, le mode, la pubblicità, il consumismo la televisione ? E che ne so io !! So solo che la gente e quindi la cultura, tende ad esser uniforme, piatta e senza caratterizzazione, siamo nell'era dell'imitazione. La massima aspirazione di un adolescente è assomigliare a qualcuno: nel vestire nel parlare e nel pensare. L'altra massima aspirazione è il possedere. Quando Fromm scrisse il suo pensiero su questo tema, credo che il mondo lo considerò una teoria astratta. Mai teoria fu più indovinata.

L'altro lato della medaglia, è che oggi abbiamo più facilmente accesso a maggiori fonti di informazioni e a molti più dati, e quindi a molte più culture. Ma tra venti anni ci saranno ancora così tante culture? Tra venti anni avremo ancora le tradizioni? Tra venti anni esisteranno ancora queste cose lungo le strade? Qualcuno costruendo una casa "incastonerà" ancora una figurina nei muri a protettivo ringraziamento? Uno sciovinistico slancio di religiosità? Chi mi conosce sa che non è così, è che la nostra storia è molto legata all'iconografia religiosa. Per dare un giusto equilibrio chiedo anche se tra venti anni qualcuno erigerà ancora questi simboli pagani. Che da una veloce ricerca sono strettamente limitati all'entroterra marchigiano, o qualcuno di voi ne conosce il significato anche fuori dalle Marche.

Ma tra venti anni qualcuno si ricorderà dei piatti della tradizione, quelli legati strettamente alla terra e alla stagione? Tra venti anni si parlerà ancora di miaccetto, di frascarelli, di brustenga di passatelli? Quest'ultimi forse si. Ma già oggi in molti mi dicono, eh si una volta si faceva anche da noi, ma oggi non la fa più nessuno. E allora per evitare che la gente se ne dimentichi vi racconto la tradizione di:

Fare le olive


Il periodo è questo quando l'oliva diventa nera ma, non è ancora, del tutto matura per farne olio. Allora si comprano le olive dai fruttaroli, una volta si andava dal contadino. Ci si procura qualche barattolo, a seconda della quantità, di vetro a chiusura ermetica. Si lavano le olive e le si asciugano bene. Si mangia una certa quantità di arance, perché la buccia, eliminato il bianco, serve ad insaporire la salamoia.


Si va a fare una passeggiata in campagna e si osserva con molta attenzione i bordi delle strade, per riconoscere gli arbusti di finocchio selvatico che in questo periodo, raggiungono anche il metro e mezzo di altezza, prima di seccare e rinascere a nuova stagione. Ci si procura il finocchio che dopo lavato va tagliato a pezzetti e mischiato ad olive e buccia di arancia. (Aggiornamento un anno dopo : non ci si dimentica di qualche abbondante spicchio di aglio, che va lasciato in camicia). Si mette il tutto nel barattolo, alternando strati di olive con pizzichi di sale grosso. E qui si fa ad occhio, perché a volte bisogna improvvisare. Magari per evitare risposte come quella che questa mattina la mia fruttarola ha dato ad una signora che insisteva nel conoscere le dosi di sale: "Cocca mia. Se non sai quanto sale mettece, ché le comprate a fà quelle du cassette de olive!".


Mettete i barattoli fuori all'aperto sulle terrazze di casa o sui davanzali, lontani dal sole, perché deve essere il freddo a "cuocere" le olive. Ogni mattina girate più volte il barattolo. Venti giorni, o un paio di settimane se dovesse capitare qualche gelata, e saranno pronte. Allora una sera, magari insieme a qualche amico, rimediate un salame buono, un pecorino più buono, del pane fatto in casa o un pane tipo toscano, aprite una birra e con qualche cucchiaiata di quelle olive cenate così. Raccontandovi, magari, di quando eravate bambini e facevate cose che oggi non fate più.

22 ottobre 2007

Abbinarsi con la gente

Andrea Gori per l'undicesimo appuntamento del vino dei blogger la mette sul tecnico. Chiede l'abbinamento perfetto. Io ridimensiono un po' il significato della frase, e tolgo un po' di quella assolutezza che sembra avere. Diciamo che vado alla ricerca di un buon abbinamento. Andrea complica, si fa per dire e per scherzare, ancora le cose e chiede la scheda AIS abbinamento vino-cibo. La scheda per chi ha superato il "terzo livello" ed è oramai sommelier, è uno strumento di uso "quotidiano", o diciamo di quando si degusta il vino. Il problema come nel mio caso, è che io quando abbino, la scheda me la "compilo" in testa, mentalmente. E quindi la complicazione è legata al ritrovare la documentazione dei corsi di sommelier frequentati per ritrovare la fatidica scheda.
Quando si abbina un cibo al vino, lo si deve fare tenendo conto di due aspetti: la concordanza tra i due elementi, vino dolce con cibo dolce, un piatto strutturato con un vino strutturato; e della contrapposizione, grassezza del cibo con sapidità o effervescenza del vino, la succulenza del cibo con la tannicità o l'alcolicità del vino. Bisogna poi tener conto di tutta una serie di fattori che diventano abbastanza soggettivi, come ad esempio e consigliabile abbinare ad un piatto regionale un vino della stessa regione. Ecco me la gioco qui e metto in contrapposizione questo concetto. E prima di abbinare il cibo con il vino abbino le genti e me stesso, in un conscio slancio di trovarmi bene dove andrò a stare
Rompo gli indugi miei e gli equilibri malfermi, magari, del mio amico Piemontese, che tanto avrà sicuramente da ridire sulla base di questo piatto ;). E preparo uno:

Sformatino di ciasculo e pecorino gratinato


Per quattro persone, prendo un pezzo di ciauscolo circa 250 grammi, ne ricavo quattro fette spesse che metto nel fondo di quattro stampini che ho precedentemente imburrato. Il resto del ciasculo lo riduco a tocchetti e lo passo in una padella antiaderente finché il liquido che rilascia non si sia in parte riassorbito. In una bastardella ammalgamo al ciauscolo 300 di patate grattugiate con un mandolina, 100 grammi di parmigiano grattugiato e 50 grammi di burro morbido. Ammalgamo il tutto lo metto negli stampini, dove avevo messo il ciauscolo. Cuocio al forno a bagnomaria per circa 40 minuti a 180° gradi. Prima di servire taglio quattro fette sottili di pecorino che dispongo in un piatto, metto qualche seme di finocchio e qualche fogliolina di timo, al centro del piatto lo sformatino e guarnisco con qualche pezzetto di pizza di formaggio. Passo al grill del forno finché prende colore e il pecorino comincia a sciogliere.

Ho in mano un piatto che parla marchigiano stretto, con una bella grassezza data dal salame, una tendenza dolce dalla patata e dal formaggio, una discreta speziatura e una buona aromaticità che sa di pecorino. E come detto prima al diavolo le regole, le rifaccio, abbinando il piatto della mia regione con un vino di una regione che prossimamente dovrà adottarmi. Abbino lo sformatino ad un Prosecco di Valdobbiadene superiore di Cartizze, massima espressione della Marca Trevigiana, senza nulla togliere alle altre doc. Una bella effervescenza una accennata ma giusta acidità, una piacevole intensità olfattiva che ricorda la mela e la pera, e una discreta persistenza con un retrogusto di mandorla. Il tortino riempie la bocca, morbido, saporito a quel non so che, che sa di qua. Il Cartizze è fresco, piacevole, profuma odora, pulisce e sa di là.

Così mi immagino tra qualche giorno a sgomitare lassù, l'importante è farsi abbinare dalle genti e dai luoghi

La scheda come da compito. Sono andato bene maestro ? ;)
Per il Cartizze non ho voluto indicare un'azienda in particolare, fermo restando che l'abbinamento è buono, secondo me, anche con un semplice Prosecco di Valdobbiadene, qui trovate il sito del consorzio tutela del Prosecco.

Questo post partecipa al Vino dei blogger #11

19 ottobre 2007

Alfabetizzazione

"Aaae - Aaai - Aaao - Aaau"
Sto preparando una ricetta, a farmi compagnia qui in cucina c'è Matteo "Spaccaball".
Se ne sta in ginocchio sulla sedia, i gomiti sul tavolo, le mani quasi giunte in una improbabile preghiera. Un grande quaderno sotto gli occhi. Sul quaderno lettere colorate e frecce a formare protofrasi.
"Eeea - Eeei - Eeeo - Eeeu"
Sta imparando a leggere. La "i" è scritta in giallo quasi illeggibile e quando la deve leggere stringe gli occhi in uno sguardo di quasi cattiveria. Impasto 300 grammi di farina, 150 grammi di burro, un pizzico di sale, due cucchiai di zucchero, un uovo e mezzo bicchiere di acqua, e la punta di un cucchiaino di lievito per dolci. Accendo l'impastatrice.
"Papà!! Ma daaaai!! Non sento quello che dico, con quella cosa accesa !"
Spengo. Tiro fuori l'impasto e continuo a mano. Lo avvolgo in pellicola trasparente e lo infilo in congelatore,per una ventina di minuti. Nel frattempo sbuccio quattro mele.
L'alfabetizzazione continua. Siamo alla "i"
"Iiia - Iiie.... Quetta "i" non la vedo bene e mi fa sbagliare" Ci guardiamo.
"Sono bravo papà?" "Sei un campione!" "Allora dammi tre pezzi di mela grossi!"
Divido uno spicchio in tre, e lo passo al "neo-Gasmann". Bagno il resto delle mele con del limone e le cospargo con due cucchiai di zucchero e un cucchiaio di confettura di albicocche. Le lascio lì vicino ad un bicchiere dove ho messo dell'uva sultanina a bagnarsi di rum.
Imburro una teglia con i bordi asportabili. Matteo si mette in piedi sulla panca di fronte a me. Ha chiuso il quaderno e lo ha messo insieme agli altri "Hai già finito i compiti?" "E certo mi hai detto che sono bravo !"
Riprendo l'impasto lo divido in due e lo stendo con un mattarello, fodero la teglia con una prima metà. Do una forchetta a Matti e gli dico di fare tanti buchi. Posiziono bene i bordi, mischio mele e uvetta, le verso nella teglia e spolvero con della cannella. Stendo la seconda metà di impasto e copro, saldando con la prima.
"Come si chiama quetta torta?"

"Apfeltorte"

"Aaa-eee-ooo-eee" fa lui "pfff-ttt-rrr" faccio io. "Mi sa che è buona ... è?" "Mi sa di sì".
Inforno, con forno già caldo a 180° per 30/35 minuti. Non prima di aver spennellato la superficie di uovo.

Dai mettiamo a posto i tuoi quaderni. Mentre li infilo nello zaino, noto le etichette segna nome incollate sul fronte di ogni quadernone. Hanno disegnati, da un lato, i musi di alcuni cani, nel resto dell'etichetta adesiva ci sono due righe per il nome. Tra le righe c'è scritto: CICO, ZAR, BOBI, .... "Che nomi sono questi Matteo ?" "I nomi dei cani!" "Matti ma qui ci devi scrivere il tuo nome. Non il nome dei cani" "Uffa anche te come mamma. IO CI SCRIVO IL NOME DEI CANI!" Risponde deciso. "Se poi ti perdi i quaderni come fai a riconoscerli con quelli dei tuoi amici ?" Faccio io convinto. "Papàaa.... sono l'unico bambino che ci ha scritto i nomi dei cani!!"

Mi sa che il dolce sta quasi cotto...

18 ottobre 2007

Ma dai !!

Ma dai, Rutelli!
Ma io, qui e qui, scherzavo!
Mica tanto però :))

16 ottobre 2007

Il giorno del pane

Il pane è lavoro , è sudore, è fatica. Dissodare la terra, seminare, raccogliere, macinare. Il pane è notte, è dormire di giorno. Il pane è freddo fuori e caldo dentro. Il pane è una vetrina sempre appannata. Il pane è smettere di lavorare quando gli altri cominciano. Il pane è profumo, fragranza, gioia. Il pane è camminare al passo con mia nonna e staccare pezzi di pane dallo sfilatino che porta in borsa. Il pane è il racconto della fame, quando la farina era di ghianda o castagna macinata, e il companatico era una salsiccia o un'aringa abbrustolita. Il pane è la merenda di quando eravamo bambini. Pane e marmellata, pane acqua zucchero e vino, pane olio e sale, pane e pomodoro. Il pane è memoria, dacci oggi il nostro pane quotidiano, buono come un pezzo di pane.


La prima volta che mangiai questo pane fu in un rifugio tra Svizzera e Italia. Fuori il mondo non c'era più, cancellato da una bufera e l'unica speranza era quella casa abbarbicata sul confine a tremilacinquecento metri. Ci riparammo lì, un gruppetto di una decina di persone e i due gestori. E visto che quando non hai di meglio da fare è bene bere e mangiare ci mettemmo seduti vicino alla finestra a guardar passare la tempesta. Una zuppa d'orzo e poi questo pane scaldato con un pezzo di formaggio e di speck. Sarà stato il freddo o il pensiero di rimaner lassù bloccato, ma quel pane era buonissimo, un:

Pane nero con fichi e noci



Procuratevi della farina integrale già preparata o fate voi una miscela con 400 gr di farina 00, 500 gr di farina Manitoba e 100 gr di cruschello o farina integrale. Impastate la farina con 3 cucchiai di olio, 1 cucchiaino da caffè di sale e una presa di zucchero, aggiungete 40gr di lievito di birra sciolto in acqua tiepida, o se lo avete meglio un lievito madre. Impastate aggiungendo acqua fino ad ottenere un impasto morbido ma consistente. A questo punto aggiungete dei gherigli di noce spezzettati grossolanamente e dei fichi secchi tagliati a pezzetti. Io ho usato un tipico lonzino di fico marchigiano. La quantità la decidete voi. Lasciate lievitare per un paio d'ore. Poi formate tre o quattro pagnotte, che disporrete in una placca da forno unta o coperta da carta forno. Lasciatele lievitare ancora per almeno un'ora. Poi cuocete in forno a 180° per 45 minuti.


Servite caldo o riscaldato in forno, accompagnato da speck, lardo sottilissimo, e salame. Provatelo con un formaggio morbido o erborinato, un gorgonzola da cucchiaio, che si scioglie sopra. E poi capirete perché quel giorno quella tempesta avrebbe potuto durare anche una vita.
Questo post partecipa al "World bread day"

14 ottobre 2007

Fastidiose riapparizioni

Son piccoli, più piccoli della media. Si muovono lenti e silenziosi, quasi che all'inizio non li noti. Cominciano ad apparire in questo periodo per tutto il paese. Non che siano particolarmente invadenti, ma tendono anche loro a dare, ad alcune persone, quel senso di schifo. Per me sono assolutamente indifferenti se li vedo, o se li incrocio passando, li evito, faccio finta che non esistano. Lella invece non li può vedere, non li sopporta proprio. Si incazza con il vicino perché dice è solo colpa sua, se girano intorno casa e se qualcuno entra pure. A lei fanno schifo li vorrebbe tutti morti. Secondo me sono meno sporchi di altre specie di insetti. I moscerini del mosto alla fine viaggiano in mezzo alle uve appese ad essiccare e tra le cantine dove il mosto ribolle. I dispersi entrano in casa e unica speranza di vita, si poggiano sul cesto di frutta. Le mosche fanno ben altre brutte cose.
Quando cominciano ad apparire è il segno che è arrivato il momento. E' il segno che il mosto sta fermentando, che gli zuccheri si trasformano in alcool e che loro giocoforza debbono cercasi altri posti per vivere. E' anche il momento di bussare alla porta del vicino o di qualche contadino, sempre meno, che si fa il vino in casa. Portare in mano una bottiglia vuota, salutare, e buttar lì un paio di chiacchiere. Mostrare con nonchalance la bottiglia vuota, mentre si parla e aspettare che il vicino ti chieda. Che te serve un po' de mosto per i biscotti? E si me voglio fare il:

Tortino al cioccolato con biscotto di mosto



In effetti la ricetta originale l'avevo già scritta lo scorso anno di questi tempi. E debbo dire che rileggendo il racconto che l'accompagnava ho avuto una bella sorpresa: non mi ricordavo di averlo scritto. Questo blog comincia a piacermi, ogni tanto scopro qualcosa di nuovo. La ricetta per il biscotto di mosto o per meglio dire il "maritozzo" di mosto la trovate qui. Invece una variante provata, perché la morte del maritozzo è con la cioccolata, è questa qui.


Fate delle fettine sottili di biscotto, un centimetro circa, metteteli in un piatto e bagnateli con un vino passito, mi go usà un Reciotto de Soave ciò, o con del poco di rum. Preparate un tortino al cioccolato, come da istruzioni, qui. Disponete su di una placca della carta da forno, delle formine per rotonde in cui metterete una fetta di biscotto alternata con la ganache di cioccolata, continuate così fino a riempire la forma. Infornate per 8 minuti e servite caldi con una crema di cioccolata e con delle fettine di biscotto di mosto ripassate in forno.

Di là continuo a sentire colpi di giornale sui poveri moscerini.

10 ottobre 2007

L' aggiustastomaco

Scrive un'amica raccontando di una minestra magica che la nonna preparava nella sua infanzia. Io, purtroppo, non ho ricordi così conditi di magia nelle mie minestre. Ma ho ricordi. Ricordo una buonissima minestra preparata nell'asilo di un paesino di montagna da una "nonna cuoca". Una combinazione di sapori che cerco di ritrovare in vari tentativi alchemici che si susseguono con cadenza quasi settimanale. Tentativi vani perché quel qualcosa di particolare che la memoria ha impresso, non riesco a replicarlo. Forse è la memoria che ha modificato il ricordo di quel sapore, trasformandolo in un "oggetto" completamente diverso: un paesaggio, il viso di un compagno, i blocchetti di legno colorati, le sedie piccoline. Così che io cerco il profumo di una minestra, infilando il naso nelle pentole, quando magari, forse, basterebbe affacciarsi da una delle finestre di quell'asilo per ritrovarne i profumi dimenticati. Un' altra minestra che ha segnato la mia infanzia è quella della famiglia. Preparata da mia nonna prima, da mia madre dopo e ora da me. E la minestra della guarigione, la minestra dell' "imbarazzo" inteso come indigestione, la minestra che "rinfresca" anche se è calda la minestra "aggiusta stomaco". Ricordo ancora in quelle estati Viareggine, trotterellare dietro mio zio verso l'uscio di casa. Per le passeggiata mattutina verso il porto canale. La curiosità quasi febbrile della speranza di un giornalino, magari l'ultimo Tiramolla. Comperato in quel negozio dove un merlo indiano ti saluta e fischia, ogni volta che entri. E proprio mentre la porta si chiude sentire la voce di mia nonna che intima: "Prendi un paio di merluzzetti che gli ci faccio il brodo".

La minestra "aggiustastomaco"


Per quattro persone: due o tre merluzzi medi freschissimi, una costa di sedano due o tre belle carote, una grossa patata, una cipolla, un ciuffo di prezzemolo.
Pulite e lavate tutti gli ingredienti e metteteli in una pentola capiente con acqua fredda, accendete il fuoco e preparate il brodo. Dopo venti minuti di bollore, togliete il pesce facendo molta attenzione a non romperlo. Lasciate andare il brodo per altri 20 o 30 minuti. Nel frattempo pulite il pesce sfilettandolo e spinandolo e tenetelo da parte. Ora filtrate il brodo con un colino fino e recuperate, a me piacciono solo queste, le patate e le carote. Passatele con un passa verdura e incorporatele al brodo. Rifate andare il bollore e aggiungete un pasta da minestra. In effetti la morte di questo piatto è per gli spaghetti, avanzati, fatti a pezzettini. Quando la pasta è al dente aggiungete il pesce che avete sfilettato , un bel goccio di olio evo a crudo e un paio di cucchiai di parmigiano grattugiato. Sì è così questa è la ricetta di casa mia, se poi il parmigiano con il pesce vi scandalizza non mettetelo. Mangiatela calda, e poi ditemi se una volta finita non vi sentite meglio... Rischiate che vi sia tornata la fame.

09 ottobre 2007

Visto che...

Visto che i telegiornali che questa sera ho guardato, eccezionalmente, solo per avere la certezza del servilismo al potere che tutti hanno, non ne hanno fatto neanche un accenno. Pecco di presunzione e dal basso del mio contatore di visite, lo dico e lo urlo. Qurantaquattro anni fa in questo paese sono morte 2000 persone. E visto che secondo me non ricordarle vuol dire ammazzarle di nuovo, fissatevi in mente che il 9 ottobre 1963 accadde la tragedia del VAJONT.




Tra i blogger, ma magari qui è colpa mia, ho trovato solo questo.
Il sito ufficiale QUI

07 ottobre 2007

Questo blog, è scritto da un marchigiano

Chiacchiero con un amico, seduti nel mio studio. Sembriamo gli eremiti della barzelletta, la nostra conversazione ha un velocità meditativa. In mano due bicchieri di passito, la finestra aperta su una delle ultime, speriamo, serate di quasi estate. Le volute lente del suo toscano salgono adagio, in una quasi perfetta verticale. Poi quando arrivano all'altezza dello stipite superiore della porta, uno spiffero ribelle le tira verso la finestra e verso il giardino. Prima di uscire solleticano, per un attimo, la mia voglia di ex fumatore.
Non sembra un blog marchigiano il tuo.
Non ho capito. Non ricordo l'argomento, ma di certo non era il mio blog. Stringo gli occhi, lo fisso, nel tentativo di capire se l'espressione del suo viso tradisca ilarità. E' serio. Tira un' altra boccata di sigaro. Butta indietro la testa e apre la bocca, lasciando che il fumo trovi da solo la strada d'uscita.
Che hai detto? Soffia via il fumo, raddrizza la testa, mia guarda. Dicevo che il tuo blog non sembra marchigiano. Sorseggia il passito, mi fissa. Dovrebbe sembrarlo?
Il fumo annebbia le linee del suo viso. Sonno. Ho un sonno cane mi butterei sdraiato qui in terra. Ma sta cosa del blog mi forza a cercare l'ultima carica di concentrazione. La trovo, l'avvito e la sparo nel cervello.
Tu sei marchigiano quindi il tuo blog dovrebbe ricondurre in qualche modo alle Marche.
E invece non riconduce?
Poco!

La carica sta finendo, un paio di minuti e poi il cervello chiude. L'ultimo sorso di passito continua a scaldarsi nel bicchiere. Se lo bevessi, anche quei due minuti evaporerebbero nei fumi dell'alcool. Nell'ultima flebile schiuma di concentrazione, sento me stesso domandare:
Ma è male?
No!

Uff ! Me l'ero vista brutta. Il passito scivola mieloso in bocca. In testa sento chiaramente il rumore della saracinesca che scende, le chiavi che girano nella toppa, e il ciavattare solitario del mio cervello che se ne va a dormire.
Un' ombra si affaccia sulla porta. La distinguo benissimo, anche attraverso il fumo. Perché l'ombra è nera e la porta è chiara. Spalanco gli occhi. L'ombra chiede se vogliamo un caffè. Si con il Varnelli. Fa il mio amico. Lo guardo, forse stupito, ammicco spalancando gli occhi. Il cervello si ferma, si volta, costruisce l'ultima frase, preme invio e la manda alla bocca. Ma se sei Veneto!?

Ecco questo succedeva ieri sera. Dopo che a cena abbiamo apprezzato uno dei piatti marchigiani per eccellenza: il piccione.
Lo so un settanta per cento di voi avrà storto la bocca e magari schifato se ne sta andando senza leggere la ricetta. Diciamo la metà? Bene al restante sessantacinque per cento racconterò del mio:

Piccione scaloppato e il suo ripieno, con salsa al miele e tortino di erbe "strascinate"




Per quattro persone prendo 4 piccioni già puliti. Taglio via cosce e ali che tengo da parte così come i petti, che disosso. Le carcasse le passerò poi in forno per 20 minuti insieme al ripieno. Ripieno che faccio con 200 gr di carne magra di manzo e 50 gr di prosciutto crudo macinati finemente. Preparo una farcia amalgamando alla carne 50 gr di mollica di pane ammollata in poco latte, un uovo, 50 gr di parmigiano reggiano grattugiato e 30 gr di pane grattugiato. Profumo con prezzemolo tritato, noce moscata, salo e pepo. Con le carcasse una volta ripassate in forno, preparo un fondo bruno con 2 litri di acqua e odori vari. Lascio bollire e ridurre di 2/3 per un paio di ore. Rosolo i petti, le ali e le cosce in poco olio evo, per una decina di minuti a fuoco vivo, metto da parte. Deglasso la placca con mezzo bicchiere di grappa buona e un cucchiaio di miele di acacia, e tengo da parte il tutto. Le "erbe di campo" rare nelle frutterie, vanno cercate nei campi incolti. Vanno pulite e lavate, lessate in acqua e sale, e freddate in acqua ghiacciata. Va eliminata l'acqua in eccesso prima di ripassarle in padella con olio evo buono, uno spicchio di aglio e peperoncino. Poco prima di servire, affetto il ripieno, a cui ho dato la forma di un piccolo polpettone. Lo assemblo mettendolo tra due mezzi petti con due foglie di salvia, fermando il tutto con uno spiedino piccolo. Ripasso la carne al grill per dieci minuti, impiatto e servo con la sua salsa e con le erbe strascinate.


Le "erbe strascinate" sono tipiche della nostra campagna (ma credo di tutta), vengono raccolte nei campi incolti. Qui si usano tre varietà: grugni, rapastelle, cicoria. In italiano corrente una di queste prende il nome di "tarassaco". L' aggettivo strascinate: spostare strisciandolo, è dato dal ripassare le verdure in padella, facendole strisciare su quell'olio agliato.
Consiglio vivamente di accompagnare questo piatto con un Rosso Piceno, per non far torto a questa terra che é le Marche. Se qualcuno avesse ancora dubbi ;)

03 ottobre 2007

Malato e bambino

Il "gancio" è dato dal mio post precedente, e Mara racconta il suo pensiero sul Parmigiano Reggiano. E' vero, usiamo questo spettacolare formaggio, grattugiandolo ad insaporire un'altra pietanza. Io per primo ho difficoltà a tagliare quel cordone ombelicale che mi tiene legato alla tradizione che mi ha insegnato a grattugiare il Parmigiano.
Il Parmigiano è uno dei pochi, insieme ad altri tre "cugini" che riesce ad invecchiare per oltre 36 mesi. Un prodotto che il mondo ci invidia e noi lo grattiamo sulla pasta. Però quando varchiamo il confine d'oltralpe andiamo in "brodo di giuggiole" di fronte ai formaggi Francesi. Nulla contro i Francesi, ho vissuto in quel paese e sono ingrassato dei loro formaggi, e ci ritornerei di corsa. Ma mi meraviglia quando come quegli scopritori di acqua calda ci ritroviamo a pavlave di fovmaggi fvancesi e di vini bovdolesi, che tanto fa moda.
Pensate e dite ad alta voce il nome di un formaggio francese A.O.C. (la DOP italiana) invecchiato almeno 12 mesi, senza andare su internet a cercarlo (che dopo vi do il link io). Fatto? Dura è?
Adesso dite tre nomi di formaggi francesi. Ecco dovreste aver citato tre nomi di formaggi freschi, o a pasta molle o semi molle, il cui invecchiamento va dai 15 giorni ai tre mesi. Ora ditemi tre formaggi DOP italiani escludendo il Parmigiano, se siete food blogger, ditene cinque.

Cosa significa? Significa che credo che come in molte altri settori, il nostro territorio ha prodotti eccezionali ma che non conosciamo. Tanto che, escludendo quelli che come me del cibo e delle cose buone ne fanno una "malattia", la maggior parte delle persone non conosce che una parte delle DOP Italiane: Fontina, Valle D'Aosta formadzo, Bra, Castelmagno, Gorgonzola, Murazzano, Raschera, Robiola di Roccaverano, Toma Piemontese, Bitto, Formai del Mut, Grana Padano, Provolone Valpadana, Quartirolo, Taleggio, Casera, Spressa delle Giudicarie, Asiago Monte Veronese, Montasio, Parmigiano reggiano, Pecorino toscano, Casciotta d'Urbino, Canestrato Pugliese, Mozzarella di Bufala, Caciocavallo silano, Pecorino siciliano, Ragusano, Fiore Sardo, Pecorino Romano, Pecorino Sardo. Ho citato solo le DOP escludendo i presidi SlowFood come ad esempio: Toma di Gressoney, Cevrin di Coazze, Bagoss, Puzzone di Moena, Vezzena, Pecorino dei Monti sibillini, Canestrato di Castel del Monte, caciocavallo Podolico del Gargano, Provolone del Monaco, Casieddu di Moliterno e tanti altri. E ci sono, anche, formaggi senza consorzi di tutela che sono da spettacolo: Scimudin, Bettelmatt, Testun, TrentinGrana, Casoèt, Cansiglio, Carcia o Cuc, Formaggio di Fossa, Pecorino di Pienza, Fiore sicano, e Piacentino siciliano.

Molti, tanti, la massa non sa, altrimenti non mi ritroverei così spesso di fronte a signore che al banco dei formaggi, chiedono ementall (lo scrivo male volutamente) e indicano il Leerdammer, o chiedono Fontina e si fanno dare un edammer con la crosta di cera rossa. Nel ristorante italiano, a meno che non sia stellato, il piatto di formaggi non esiste. In Francia "le chariot des fromages" è un "must di piacevole fine pasto.
Il consiglio? Un bel tagliere, un coltello per formaggi, e ogni tanto quattro o cinque pezzetti per scoprire la storia e la tradizione di questa terra, accompagnati da chicchi di uva, un miele di acacia o una confettura di pere.
Fermo restando che quando si è di fronte ad un Parmigiano Reggiano Vacche Rosse trenta mesi, ad un buon burro VERO, come si fa a non concedersi uno spettacolare :

Spaghetto "senatore Cappelli" con burro vero, parmigiano vacche rosse e pepe di Sechuan



Io cuocio la pasta al dente, quando è pronta metto da parte un 100 cl di acqua di cottura, scolo la pasta lasciando un poco di acqua e, nella pentola dove ha cotto, aggiungo una noce di burro VERO per ogni commensale, tenendo il fuoco al minimo aggiungo acqua di cottura se manca e manteco la pasta. Gratto il pepe direttamente sul piatto, impiatto la pasta, con ancora poca acqua di cottura, un'altra noce di burro e poco parmigiano, tiro velocemente una salsina, che metto sopra glii spaghetti. Poi, come dice Mara, gratto grossolanamente il parmigiano direttamente sulla pasta e... mangio, ceno, poi piango, poi rido, non parlo, non grido, rimangio, gaudente, sorrido e godo, piacente di gusto, lacrimando, felice :)

01 ottobre 2007

Educatamente irrispettoso

Sono poco incline al rispetto di regole che non abbiano fini oggettivi, o che se soggettivamente imposte non vengano opportunamente spiegate. Non sono un ribelle o un anarchico che fugge dalla "società civile". Ma non mi piacciono le cose imposte per autorità piuttosto che per autorevolezza, non mi piacciono le regole che penalizzano l'intelligenza e che castrano l'inventiva. Anzi questo atteggiamento tende a farmi un tantinello inc****re.

Come successe una volta in un noto, notissimo ristorante d'oltralpe. Capitati, quando lavoravamo da quelle parti, per una cena di lavoro, io e il mio amico delle crocette, ci ritrovammo nel'ameno silenzio della sala. Il ristorante era mediamente frequentato quella sera. Non mi ricordo l'offerta della carta ma ricordo che dopo un antipasto ordinai, quasi distrattamente, una pasta fresca, tipo "strozzaprete" acqua e farina senza uova, con i porcini.


Una volta serviti assaggiai il piatto di porcini, e forse a causa della stagione non ancora ideale, o perché la pasta non era l'ideale, o perché magari io non ero in vena, mi sembrano sinceramente poco saporiti e profumati. Sapevano poco di porcino per dirla breve. Chiamai il cameriere e chiesi del parmigiano grattugiato. Con la coda dell'occhio,mentre seguivo al discussione al tavolo, mi accorsi del "moto di disperazione" dell'uomo. Attesi. Dopo qualche minuto mi si presentò lo chef in persona, con fare discreto mi chiese se fossi io colui che aveva chiesto il parmigiano per metterlo sui suoi porcini. Risposi di sì giustificando la mia consapevole richiesta anticonformista, con il poco sapore del fungo. Apriti cielo chi ero io per giudicare il sapore del porcino, chi ero io per capire l'equilibrio del piatto tra sapidità e sensazione dolce della pasta, chi ero io che giudicava lui stellato chef. Avrei potuto rispondere: "Assolutamente nessuno, ma questo non fa tornare il sapore ai Porcini!". Ma considerato che sono anche una persona educata risposi, che se la cosa non lo avrebbe fatto dormire di notte, poteva dimenticarsi la mia poco conformista richiesta e tornare nel suo invidiato antro. Mi mangiai quei porcini che non sapevano di porcino e misi la famosa croce sul ristorante: non ci tornai più.
Da quella volta mi è rimasto questo dubbio, ma sui porcini ci si mette il parmigiano o no? La domanda è per tutti, in particolare per quei due o tre cuochi di professione che passano di qua. Io per non saper ne leggere ne scrivere, mi affido ai miei gusti. In pieno autunno quando i profumi sono decisi e forti, non serve il parmigiano. Di questi tempi invece ne metto, ché i profumi sono ancora scarichi e così mi faccio una:

Tagliatella con porcini, salsiccia e riduzione al parmigiano


Capita a volte che i porcini non hanno quel deciso loro profumo, allora me ne bastano 100 grammi a persona e 50 gr. di salsiccia, mezza più o meno. Spezzetto la salsiccia e affetto i porcini, puliti e passati con un panno umido. In una padella faccio rosolare i poco olio evo uno spicchio di aglio aggiungo poco prezzemolo tritato, e poi butto salsiccia e funghi. Faccio andare a fuoco vivace per pochi minuti, alla fine salo e spengo il fuoco. Butto la pasta e mentre cuoce in un frullatore metto tre o quattro cucchiai del condimento, un paio di piccoli mesti di brodo di carne una noce di burro e tre cucchiai di parmigiano grattugiato. Frullo il composto e lo rimetto sul fuoco per regolarne la consistenza. Scolo la pasta la salto in padella con il sugo.

Specchio la salsa sul piatto, metto la tagliatella, aggiungo un filo di olio e servo. Faccio la foto, urto un bicchiere di Villa Antinori Rosso, senza infamia e senza lode, che cade nel piatto delle tagliatelle, passa oltre allaga il raccoglitore delle foto della cresima di Leo, le rovina praticamente tutte, blocco il vino che cade dal tavolo, salvo la Canon, ma non un felpa, corro in cucina prendo un paio di canovacci, recupero tutto il vino, prendo le foto corro in bagno, metto le foto in ammollo nel lavandino, ricorro in cucina prendo la felpa, la infilo in frigo e con fare indifferente sorrido a mia moglie che scende da sopra e mi chiede "Tutto bene?"

Meglio ricomprare le foto, rifare la cresima o il parmigiano con i porcini ?