28 maggio 2008

Una risata non mi seppellirà

Ho sempre pensato che come andavo, andavo bene.
Certo non hai nessuno con cui confrontarti quindi vai e dici: ca*** come vado. Le gambe girano, il fiato pompa aria, le ruote volano sull’asfalto, con un fruscio di foglia portata dal vento.
E se qualche volta venivo superato, dicevo: bé mi sembra abbastanza allenato un mezzo professionista. Se poi superavo, bé allora mi sentivo quel’orgoglio adrenalinico scorrere dal petto alle gambe, e passando biascicavo un “’ngiorno” quasi distratto a fiato trattenuto.
Io andavo, e per come andavo, pensavo che andavo bene. Ridevo e per come ridevo, mi sentivo soddisfatto.

Poi è arrivato lui. O meglio lui ci sta da un pezzo, ma era un bambino. Se lo portavo in bici con me, era per fare un giretto intorno casa. Come tutti i papà fanno con i loro bimbi, “Stai attento! Stai vicino al marciapiede! Guarda avanti! Stai diritto !” Cose normali no?
Poi qualche tempo fa l’ho guardato con un occhio diverso, dal basso verso l’alto: è cresciuto. Gli ho detto: “Ti va di venire a farti una pedalata con me ?”
Si è vestito con le mie giubbe invernali da ciclista, che gli stanno larghe e corte, non ha le scarpe con l’aggancio, il cardiofrequenzimetro è troppo largo per il suo petto. Io rido . La prima volta è andata tranquilla, lui un po’ spaventato dal traffico, dalla parole cinquanta e chilometri. Io fuori forma, che facevo da professore: tieni la ruota, fai il cambio, la postura, la curva, la salita, la discesa, il fuori sella, bevi, mangia. E ridevo quando gli gridavo “Tira!”. Ridevo della mia esperienza riversata sul bambino. Tira ! Che io non pedalo.

Ora se ne sta lì davanti a me, seduto a terra a sgranocchiare una barretta. Soffia un vento caldo di scirocco su questo colletto tra lo Strega e il Catria.
Mezz’ora fa eravamo ai piedi di questa salita. E io lo avevo capito che il bambino non c’era più. E che chi mi pedalava a fianco era un ragazzo a cui il traffico non faceva più così paura. Un ragazzo che forte dei consigli del padre, ora “cambiava” e non tirava più fino allo stremo della fatica, si risparmiava. E rideva.
Quando è cominciata la salita me lo sono tenuto vicino: “Non conosci la strada! La salita è impegnativa!” Scuse banali da vecchio capitano spompato, al giovane gregario.
Quando posso andare? Quel sorriso sotto gli occhiali da sole, il baffetto appena imperlato di sudore, la bocca chiusa in un normale respiro nasale. “Quando sulla destra ti trovi un abbazia puoi andare”.
Pedala “frenato”, le gambe potrebbero girare al doppio, ogni tanto si volta a guardarmi, e ride. E io con indifferenza faccio finta di respirare normale, anche se sto andando quasi al massimo. Che mi inventerò dopo? Quando la salita si mette in piedi, e le gambe si inchioderanno? Intanto lui si volta, mi guarda e ride, soddisfatto e contento.
E adesso dietro alla curva appare l’abbazia, non è sulla sua destra, è ancora di fronte, ma è il segnale, e parte. Non si volta neanche. Scarica un paio di rapporti, si alza sui pedali e parte. Se ne va, incurante che la strada davanti a lui sembri un muro, fregandosene che alzando la testa, a sinistra, in alto, sopra di lui, si affaccia il primo tornate, come la prua di una nave messo lì a guardare la valle. Pedala di pancia, di forza, per di niente di testa. Ma a quindicanni della testa te ne freghi.Te ne freghi se il rapporto e così duro che ti scompone, stringi i denti e passi davanti al cartello del dodici percento con una risata beffarda e te ne freghi. E’ stato un attimo, ed è già scomparso dietro la curva, e quando io ci arrivo non lo vedo più. E’ avanti e magari ride, soddisfatto e contento.
Se ne andato, lo sapevo, sono tornato a pedalare da solo su queste salite. Sarà così anche la vita, ad un certo punto si alzeranno sui pedali e partiranno, scattando in avanti, verso le loro salite, verso le loro montagne. E noi fermi lì, a fare cosa? Ad aspettare? Ma per carità! Mi alzo anche io sui pedali, più forte di un tempo, mettendocela tutta, stringendo i denti in una grinta ritrovata. Perché quando arrivo su in cima, non sia troppo il distacco che prendo. Orgoglio di vecchio ciclista incallito. Speranza di padre.

Ora se ne sta lì davanti a me, seduto a terra a sgranocchiare una barretta. Soffia un vento caldo di scirocco su questo colletto tra lo Strega e il Catria. Respiro a fatica spompato dalla rampa, e lui ride soddisfatto e contento “Due minuti e mezzo. Ti ho massacrato”. Ride.
Due minuti e mezzo? Ma allora ancora vado! Per come era partito me ne aspettavo quattro o cinque. Invece due e mezzo sono ancora una speranza. Lo penso in silenzio il viso affranto, per non dare a vedere quel filo di orgoglio che ho dentro, mentre mi tuffo in discesa, stavolta lui dietro spaventato dalla velocità, ma ancora per poco, che ride soddisfatto e contento.
Dai che è ora di pranzo, andiamo a casa a farci una:

Risata con girdiniera e la salsa tonnata




Non vi dico cosa fare del riso, vi dico solo di usare un buon carnaroli, di scolarlo al dente e di freddarlo in un piatto di portata allargandolo bene.
La giardiniera invece è un lavoro da orefice per ottenere una brunoise quasi perfetta, fatta di carota, sedano, zucchina e peperone rosso spellato. Una volta tagliata la verdura va cotta in acqua e aceto 4:1, soluzione che va salata e zuccherata a piacimento. La cottura va fatta separatamente per le verdure, ottenendo una cottura uniforme e che lasci la croccantezza in evidenza. Condite la giardiniera con olio evo buono e correggete di sale se occorre. A parte preparate una salsa tonnata ottenuta con 300gr. di tonno sott'olio buono, e 3 uova sode che hanno bollito sette minuti e mezzo, se vi piace aggiungete un paio di filetti di acciuga sotto sale, ben puliti. Passate al mixer aggiungete olio evo, sale al bisogno e un goccio di marsala.
Servite a tavola lasciando ai commensali il divertimento di incorporare gli ingredienti.
E ridete, perché nella vita non ci si deve prendere troppo sul serio.

25 maggio 2008

... e di altri giochi

Dove andiamo papà?
A vedere una partita.
Una partita papà? Come quelle in televisione? Quelle dove tutta la gente urla e dice anche le parolacce?
Rubare una domenica pomeriggio, caricare tutta la famiglia e portarla a vedere una partita.
Ecco questo è l'ultimo gesto che farei. A meno che quella partita non sia una di quelle partite da non perdere.
Una di quelle partite dove puoi dire a tuo figlio: vedi quello? Quello è un campione, uno che gioca da quando aveva cinque anni e non sapeva ancora che sarebbe diventato un campione.
E allora carichi la famiglia in auto. Qualche cosa per la merenda, perché non sai se è il cibo che ruota intorno, o se il mondo che ruota intorno al cibo, comunque meglio non correr rischi.
E vai.
Si parte. Appuntamento lì. Hai presente dove la strada fa un incrocio e poi va su verso il poggio? Ecco lì. Si... ci vediamo lì.











Ecco un modo come un'altro per far capire, alle "leve del futuro", che non esiste solo il calcio e la pleistescion. Che ci sono tradizioni, che anche se sono sport riconosciuti, rischiano di scomparire. Che ci sono vecchi che alla vista di un gruppo di "giovani" che giocano a ruzzola, gli brillano gli occhi. Vecchi che si prendono un quattordicenne da parte e per un'ora lo iniziano alla ruzzola, regalandogliene anche una. Un modo per scoprire che, alla fine, una merenda sul prato tra sole e nuvoloni, val bene qualche chilometro di strada a girar spaghi su ruzzole.


22 maggio 2008

Del gioco del ... pallone

Non amo il calcio, non sono mai stato un appassionato di questo sport. O meglio, avevo una grande passione, ma credo che sia finita intorno ai dodici anni.
Avevo la passione per quel calcio praticato per strada: sull'asfalto con le breccioline, che quando cadevi si incastravano nelle ginocchia insanguinate.
Quel calcio dove la porta era una sola, ed era per davvero una porta, o meglio, il portone della chiesa del paese.
Quel calcio che prima di cominciare dovevi per forza darti un nome di un calciatore famoso, e io, che non ero appassionato, non ne conoscevo nessuno.
Quel calcio dove era fallo se usciva sangue.
Quel calcio dove per verificare il gol in mancanza di una traversa, il portiere alzava la mano e tutti lì a litigare per stabilire se la palla era finita sotto o sopra, dentro o fuori.
Quel calcio dove le partite duravano tutto il pomeriggio e ricominciavano il giorno dopo.

Non avendo io passione, non ne ho neanche trasmessa. I miei figli parlano di calcio solo dietro stimoli esterni alla famiglia. Qualche volta vengono coinvolti, per procura dalla tifoseria "familiare" di mio fratello, da cui vanno a vedere una partita sui canali televisivi che non abbiamo a casa. Ma la cosa non attecchisce: "Spaccaball", abbandona quasi subito, e a cavallo della sua scassata bici, si butta nel folle gioco di larghe rote disegnando il campo, di fronte casa. "Chi?Che?Co?Io?" regge fino al primo tempo e poi riappare, biascicando un commento buttato lì sulla tensione che si respira nella tifoseria locale.
Io non sono mai andato, e non ho mai portato i miei figli, a vedere una partita. Qualcuno mi dice che la dentro si sente la vibrazione della tensione, la tensione del risultato.

Come fai a raccontare ad un figlio che quel tizio che corre, ha la passione che lo spinge,
che il sudore fumante di quelle groppe di granito, che appesta le nari, è lì ad eccitarlo,
che l'urlo della gente sul bordo del campo "Dai... tira!" lo spinge alla rincorsa.
Come fai a dirgli della fatica del gioco, su e giù per il campo,
sotto il sole...
per ore...
senza sosta ...
un tiro dietro l'altro...

Mi sa che mi toccherà portarli a vedere una partita.
Una partita vera...
Mi sa che mi tocca farlo.




Per gioco, ho inserito due citazioni di classici della letteratura italiana, due scrittori di correnti differenti ma coetanee. Se ne avete voglia provate a scoprire. Se non vi riesce con la letteratura magari provate con la foto sopra.

18 maggio 2008

Freddo

… Freddo

Qualcuno ha detto: freddo.
Nella cacofonia della tavolata, ho sentito distintamente quella parola. E’ uscita da quella mischia di chiacchiere, bianca e lattiginosa che staziona in mezzo al tavolo, e che sembra una massa di cotone idrofilo galleggiante, evanescente, impalpabile. La parola “freddo” è uscita da lì. Netta, diritta, si è alzata sopra quella nube come, quei bastoni da passeggio neri che i maghi fanno apparire dai fazzoletti colorati con un movimento verticale della mano. E’ restata un attimo sospesa, forse era accompagnata da altre parole, forse era la conclusione di una frase, ma mentre lei era un bastone nero il resto sembrava uno sbuffo leggero di quella nube bianca. Ha sostato per una frazione di secondo: distinta e chiara rispetto alla massa del vociare , poi è scomparsa senza lasciare eco, senza rimbalzare su vetri o pareti, semplicemente è rientrata nella nube con la stesa magia che l’aveva fatta uscire.

Chi l’ha pronunciata quella parola? Son tutti concentrati sui piatti, forse un pezzo di carne è risultato freddo? Forse qualcuno ha detto: “questo piatto è troppo Freddo”. O magari qualcuno ha detto “Lo avrei preferito più Freddo”. Ma chi?
Forse Sandro che a testa bassa e con la soddisfazione di un bambino sta scarpettando la salsa che accompagnava la carne, lasciando sul piatto quasi candido dopo il passaggio del pane, un velo di unto a ricordare che comunque quel piatto si dovrà lavare?
Oppure è stato Ricky che lento, lui mangia lentamente alternando al cibo il piacere della chiacchiera, sta raccogliendo in un taglio preciso e deciso l’ultimo pezzo di carne. Lo sospinge, aiutandosi con il coltello, attento a disporlo parallelamente alla lunghezza della forchetta e poi, con cura, ci fa scivolare sopra l’ultimo pezzetto di carota e l’utimo ciuffo di insalata che lo accompagnava.
Oppure no è stata Robi che nonostante non riesca ad alzare gli occhi dal piatto, continuando a seguire il movimento dei suoi attrezzi, parla e tiene viva la conversazione, alternando ad essa complimenti e mugolii di soddisfazione ?
Qualcuno l’ha pronunciata quella parola. Qualcuno voleva passare un messaggio, lanciare un avvertimento, fare una critica. Ma chi?

Freddo !
Grido quella parola ad alta voce, forte, cattiva a spazzare la nuvola di bambagia sul tavolo. Le facce sono rivolte verso di me, con fare interrogativo, sorpreso, disorientato. La domanda è lì appesa alle labbra di tutti, ma nessuno parla, nessuno dice: cosa? Mi guardano le forchette sospese a mezz’aria, le bocche semiaperte, qualcuno timidamente ingoia il boccone, ma il risultato è un rumore enorme , in quel silenzio, ed imbarazzante, come di qualcosa di flaccido che batte sull’acqua.

Chi ha detto “Freddo” ?
Stavolta la domanda è diretta decisa e pretende una risposta. E adesso vediamo cosa c’è che non va in questo piatto, che magari sarà anche freddo, ma che in effetti è tiepido come dovrebbe essere, e ci sta pure bene con il caldo che fa fuori.
Io. Ho detto che se non ti conoscesse, potresti sembrare un tipo “freddo”.

Ah. Scusate, mangiate pure, finite questo:

Carpaccio scottato in salsa profumata



Per la salsa: pulite e tagliate a bastoncino sottile un paio di carote, tagliate finemente un cuore di sedano, schiacciate uno spicchio di aglio e aggiungetelo alla verdura, salate e pepate con un sarawak tritato al mulinello, aggiungete i fiori del rosmarino selvatico e della santoreggia, condite con abbondante olio evo, e un paio di cucchiaini di balsamico tradizionale. Lasciate insaporire per qualche ora. Al momento di servire scaldate una padella antiaderente, tagliate a fettine sottili, quasi come un carpaccio, un pezzo di filetto. Passate le fettine in padella, qualche secondo per parte e servite accompagnate da un insalatina e condite con la salsa.


13 maggio 2008

Son tornate !?

Pensavo fossero morte, scomparse, dimenticate nell’oblio di un retaggio del passato, e non venite a dirmi che non era così fino ad un po’ di tempo fa. Un po’ come la fine fatta dalla frutta al ristorante, che quando garzoncello cameriere, lavoravo nelle estati marchigiane mi complicava la vita nella sequenza di servizio: prima il dolce e poi la frutta o viceversa ?
Meno male che mentre ho fatto altre cose la frutta è scomparsa dalle tavole dei ristoranti se non per apparire sotto forma di qualche macedonia con gelato o fragole al naturale, con panna o con zuccheroelimone. Lo so, lo so, che i grandi ristoranti intelligentemente mettono sempre un dolce a base di frutta, ma provate ad andare in un “posto normale” e chiedete frutta di stagione alla fine di un pasto; vi va in crisi cameriere, il maitre, la cucina fino al lavapiatti.
Ecco all’ insalata è(ra) successa la stessa cosa, normalmente le trovate nascoste nei “contorni”, se non dimenticate del tutto a favore di verdure fritte. A volte appaiono come “INSALATONE” con all'interno una vastità di ingredienti spesso imbarazzanti: mais, maionese, gamberetti in scatola… ma che sono immancabilmente un piatto unico e a volte di più.
Io invece amo l’insalata come antipasto, come fresco inizio del desinare, mi piace sentire i diversi sapori, le diverse consistenza, le croccantezze, i profumi, e poi gli odori, e poi l’olio, il sale, il pepe, l’aceto, o il limone o il balsamico.
Bé pare che la cosa stia tornando di moda se il gambero rosso gli dedica la storia di copertina di questo mese, anche se è vero che bisogna entrare in locali selezionati per trovare una semplice insalata come hors d'oeuvre, di un certo livello.

Eppure basta così poco per portare sul piatto quei profumi di campo, quella freschezza, senza uccidere tutto con quantità spropositate di aceto o di olio nel tentativo di “dare sapore”. Quando mangiate un’isalata chiudete gli occhi, e quello che deve venirvi in mente deve ricordarvi:

Una passeggiata nell’orto



Procuratevi dell'insalatina freschissima: gentilina,, valeriana, radicchio, rucola, poi carote freschissime e dei fiori di zucchina anch'essi appena raccolti, oppure cambiate tutto e fate come vi pare. Spellate e private dei semi quattro o cinque pomodorini a testa, passateli al frullatore e poi al cinese, mettete in fresco per una un'ora. Lavate un bel mazzetto di basilico e frullatelo velocemente con un paio di cucchiai di olio, è preferibile lasciare il frullatore e le relative lame in congelatore per almeno un'ora prima di passarvi il basilico, eviterete che questo scaldi troppo. Impiattate stendendo nel fondo del piatto il succo di pomodoro che avrete condito con olio e sale, disponete la verdura, aggiungete qualche oliva taggiasca, salate con un fior di sale di vostro piacimento, condite con un filo di olio evo abbastanza delicato tipo un ligure o un garda, profumate con l'olio al basilico.

Poi chiudete gli occhi.


09 maggio 2008

Liber liber (primus)

Ordunque accade, anche, nella letteratura che la "moda", intesa come momento di tendenza, di popolarità, di andazzo o di costume, inteso come moda, visto che i precedenti ne sono sinonimi, accade dicevo, che anche in letteratura si abbiano di questi momenti. Momenti che a volte durano anni: la saga di Harry Potter ad esempio, momenti che riportano in luce scrittori e scritti di qui nessuno, o pochi, avevano sentito parlare. Se chiedete quando è stato scritto "Il signore degli anelli" molti vi risponderanno dopo il duemila e comunque successivamente alla famosa, e onestamente benfatta (caso raro), trilogia cinematografica. Pochi sanno che quel libro, anzi quei sei e non tre, libri, sono stati scritti tra il 1937 e il 1949, e che sono il seguito di un altro libro intitolato "Lo Hobbit" scritto e pubblicato nel 1937. Ma quasi nessuno sa che prima di dar vita alle avventure di Frodo, John R.R. Tolkien, ha creato il suo mondo addirittura dal "big bang" della terra di mezzo con "Il Silmarrillon" pubblicato postumo dal figlio dello scrittore.
Ma io non voglio parlare di Tolkien e di tutto quello che ne è seguito, anche se quando a metà degli anni '70 per procurarmi una copia de "Il signore degli anelli" dovetti chiedere ad un amico di Milano di trovarmela perché la distribuzione era limitatissima.
Oggi volevo accennare ad un'altro filone modaiol-letterario il romanzo storico-cattedralico, conio al momento tale definizione.

Tutto nasce, secondo me, con un romanzo di Follet "I pilastri della Terra" prosegue, cronologia di pubblicazione, con "La cattedrale del mare" e ritorna di nuovo su Ken Follet con "Mondo senza fine" che forse innervosito dalla presunzione di Falcones, autore del secondo libro, gli piazza lì un suo best seller, spezzagambe.
Mentre il primo è ambientato intorno al 1100, gli altri due sono ambientati intorno al 1320-1360, coincidenza ! Il filo conduttore di questi romanzi, magari ce ne sono altri: segnalatemeli gentilmente, dicevo che il filo conduttore è: la Sfiga, con la "S" maiuscola.
Dietro alla scena principale in cui il romanzo si svolge c'è sempre un edificio, o più, in costruzione, generalmente una cattedrale, anche perché a quei tempi erano gli edifici più importanti, e il personaggio è lì che interagisce più o meno direttamente con l'architettura del palazzo. Ma è la Sfiga che la fa da padrona, il personaggio principale vive sempre sull'orlo del precipizio che per quei tempi vuol dire rischiare la morte praticamente un giorno sì e l' atro pure. Normalmente nasce abbastanza sfigato, poi col tempo, se possibile, la sfiga gli si attacca ancora di più addosso, muoiono padri, perde il lavoro e deve emigrare, la peste uccide quasi tutti quelli che gli stanno attorno, a volte risolvendo anche questioni affettive un tantino delicate, generalmente, anche se a quel tempo si rischiava la scomunica, il personaggio è un "tombeur de femme" notevole, con tutte le conseguenze del caso che neanche ai giorni d'oggi ti capitano. Dopo un periodo di relativa sfiga, c'è la svolta: arriva la fortuna, insieme alla fortuna, tutta una serie di vendette, per riportare in equilibrio la sfiga delle prime 200 pagine. Con la fortuna arrivano anche colpi di culo non indifferenti, navi arrenate che risolvono battaglie, cardinali sorpresi fortunosamente in atteggiamenti poco consoni e via dicendo, la fortuna dura solitamente un 100/150 pagine. La parte finale del libro le ultime 100 sono dedicate all'epilogo, in questo senso la sfiga tende a riapparire, magari riequilibrando un pochino i pesi, ma non torna mai in maniera preponderante, anzi in una sorta di tregua, si divide il campo e le pagine con la fortuna, per arrivare insieme: sfiga e fortuna, ad una conclusione che renda il lettore soddisfatto stile: "va bé non è andata benissimo, ma neanche male come si era messa, un pareggio !".
Ecco: libri da pareggio.

05 maggio 2008

Le cose strane

C'è confusione in giro, tanta confusione. Se uno pensa a cosa è accaduto questi giorni, roba da pazzi, solo in un paese come il nostro possono succedere queste cose. Onestamente è difficile capire come possa il futuro essere prevedibile: fino a ieri c'era un sole spettacolare, e oggi il tempo fa schifo. Ci sarebbe da starsene allegri se non avessi passato un ponte con mal di gola e febbre, e oggi che lavoro sto bene. Roba da non credere. Tu ascolti le previsioni e quelli ti dicono una cosa e poi succede il contrario. Son tornate le mezze stagioni, anzi forse ci sono solo quelle e mancano quelle intere.
Oggettivamente son difficili da gestire 'ste cose, tu pensi una cosa e poi ne scopri totalmente un'altra, guarda per esempio quel poveraccio di Ronaldo ! O ragazzi quello ha rischiato grosso sapete!? Adesso quanto grosso, lo sa solo lui, che ha potuto rendersi conto in prima persona. Ma se ci pensi lui ha fatto un banale ordine al telefono, è come se io chiamassi la pizzeria vicino casa, che fa servizio a domicilio, e ordino una margherita: poi una volta presa e chiusa la porta, apro la scatola e mi accorgo che mi hanno portato un calzone.
Ora magari qualche dubbio ti viene, ma che avrò chiesto? Una margherita o un calzone?
Come la signora che puliva il carciofo e gli è scoppiato in mano, qualcuno ha buttato lì che la causa potrebbe essere la forte concentrazione di nitrati dei concimi. Bé speriamo sinceramente si tratti di un novello e innoquo "unabomber" perché se poco poco si tratta dei nitrati, e la sfiga non me lo fa esplodere in mano, non voglio pensare a cosa succederebbe una volta ingoiato il carciofo.
Onestamente è dura riuscire a stare dietro a tutte le cazzate che uno sente, vede e (per par condicio metto anche questa) pensa.
La stessa cosa vale per la mia:

Salsa tartara (finta)


Ora te la guardi e dici: ma questa non è una salsa tartara. E io ti dico: e certo che credi che so' stupido. Ma ora dimmi : come faccio ad andare dalle donne della mia famiglia, a cominciareda mia zia e per finire a mia madre, a dire che la salsa tartara è questa e non quella che vedete in foto, ma che loro chiamano salsa tartara da sempre ?
Ti pare facile? Ti dico che se mi dovessi chiedere, tu caro lettore di questo blog, di fare un tentantivo, quasi quasi invidio Ronaldo quando ha aperto la porta al suo "pizzaiolo".

La ricetta? Ma certo !
Per fare questa finta salsa tartara da usare come contorno vicino ad un roast-beef freddo (per esempio) o come antipasto; prendi, per 4 persone: 200 gr di piselli, 200 gr di carote e 200 gr di patate, fai le carote e le patate a brunoise e cuoci separatamente le verdure al vapore lasciando le carote leggermente croccanti. Una volta che le verdure sono fredde incorpora ad esse 200 gr di buonissimo tonno sott'olio, aggiungi dei capperi, condisci con olio evo, sale, pepe e una spruzzata di limone. Incorpora la metà di una maionese fatta con 3 tuorli e 200 gr. di olio (io faccio metà evo e metà mais). Lascia in frigo per un due o tre ore e poi servi ripassando un po' di salsa maionese.