29 novembre 2006

Peccare di presunzione.

CiboePoesia? Chissà dove mi porterà sta cosa?!


Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l'umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento

Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso

Locvizza, il 2 ottobre 1916

Una poesia che definisce cosa sia la Poesia, quale miglior inizio.

Ungaretti scrisse questi versi dopo aver conosciuto Ettore Serra che eglì definirà così: "Parlare di Ettore Serra è un po’ parlare di me". S'incontrano per caso a Versa, nelle retrovie friulane del fronte orientale del Carso. Serra s'informa degli scritti di Ungaretti e Lui, spiega cosa sia Poesia: essenza e linfa vitale. Qualche commilitone che assiste, schernisce il poeta quando egli spiega che: "... la poesia non poteva essere se non pura, venendo da un atto purificatore". Le ultime tre righe, rispondono allo scherno, chiudendo definitivamente il discorso, come una pesante sentenza.
La prima strofa, invece, è dedicata allo stesso Ettore Serra, caratterizando significativamente il concetto di poesia, la quale fin dall’esordio, appare strettamente connessa con l’amicizia, con la gentilezza, con la sfera degli affetti.
La totale mancanza di punteggiatura rende, poi, profonda e totale la definizione di poesia stessa, con quell’accostamento de il mondo l’umanità la propria vita senza soluzione di continuità.

Quel giorno Serra se ne andrà con il tascapane di Ungaretti, come egli stesso ricorda qui. Quando lo riporterà avrà "confezionato" e curato, la prima raccolta del poeta: "Il Porto Sepolto". Mancherà solo l'ultima poesia quella sopra: "Commiato".
Che cibo abbinare ad una poesia così, meglio, ad un poeta così ?
Il cibo della sua terra, quella dove nacque ad Alessandria d'Egitto, e dove la madre, anche dopo la morte del padre, continuava a gestire un forno alla periferia della città, ai confini con il deserto: "la casa d'infanzia dista quattro passi dalla tenda del beduino, in una zona di subbuglio."

Cous cous di verdure e tonno

Tagliate a tocchetti le verdure: zucchine, melanzane e peperoni, saltatele in padella dove avrete fatto imbiondire, in poco olio buono, uno spicchio d'aglio e una cipolla affettata. Cuocete le verdure a fuoco vivo e quando sono pronte spegnete il fuoco e salate. Aggiungete qualche oliva taggiasca sott'olio, del tonno rosso sott'olio anch'esso e qualche cappero sotto sale. Preparate il couscous 5/7 minuti ammollato in acqua calda, usate una forchetta per tenerlo ben separato. Incorporate alle verdure, aggiungete due cucchiai di aceto di vino e un poco di olio buono a crudo.

Vino di terra siciliana profumato e delicato Viogner di Calatrasi.

26 novembre 2006

Tra poco è Natale... era ora!

Ci sono cibi che, lontani dalla loro terra di origine, non riescono ad uscire dalla loro "stagionalità". Legati, troppo, alla tradizione di un evento, di una data. Il Cotechino è uno di questi. Lontano da Modena, dove sicuramente lo si torva tutto l'anno, questo profumato salume compare solo a "ridosso" del Natale.
Il cotechino è inserito nell'elenco "nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali", mentre il cotechino di Modena è un prodotto IGP con regolamento CE 590/99.
Quest’insaccato, fatto con la carne del "buon porco" ha una composizione di carne magra, grasso e cotenne (cotiche) in proporzione, circa, di 1/3 ciascuno. La carne deve risultare di una granulosità media con le cotenne a conferire quella consistenza gelatinosa. È insaccato in budello di suino, una tempo asciugato in stanze con la presenza di braceri o camini, oggi con metodi meno tradizionali, dopo un mese può essere consumato. Il profumo e il gusto sono assolutamenti "tipici" e inconfondibili. La ricetta? Un segreto per ogni norcino.
Qualche giorno fà passo a trovare il mio "amico" macellaio. Avevo da ritirare una certa quantità di cose, due chiacchere sempre in argomento, e mentre stiamo disquisendo sul pezzo migliore per un brasato (per me stinco e guancia), mi cade l'occhio alle sue spalle. Noto partendo da sinistra verso destra, tre lonze una decina di salami, qualche pancetta e quattro o cinque cotechini. Memorizzo. Saluto. E vado a casa.
Qualche ora dopo, mentre "defininiamo" il menù della settimana, Lella, suggerisce almeno una cena, a base di legumi. Facile come bere un bicchire d'acqua. Lenticchie (passione familiare), ma stavolta con cotechino e purè. Detto fatto:

Cotechino con lenticchie e purè.

Lenticchie di Colfiorito, se possibile, queste poi sono "super". Non è necessario ammollarle, basta cuocerle con gli odori, carota, sedano, cipolla, per un novanta minuti, assaggiate: la cottura varia molto. In una pentola a parte preparate un soffrito di aglio cipolla e pomodoro, odori se piacciono (salvia, timo, maggiorana), ripassateci le lenticchie con pochissimo brodo di cottura, facendo appena alzare il bollore.
Preparate il purè nella più tradizionale delle ricette, patate lesse, sale, latte, burro e parmigiano. In un piatto disponete il cotechino che avrete fatto bollire per un 40-50 minuti a seconda della grandezza, affiancandolo dal pure e dalla lenticchia. Dimenticate il pane e nella migliore tradizione di abbinamento regionale tra cibo e vino aprite una bottiglia di Lambrusco Grasparossa di Castelvetro di Cleto Chiarli. Qui il sito del consorzio di tutela dei Lambruschi.

Sarà che non passiamo direttamente alla possima estate, saltando il Natale, con il caldo che fà.

25 novembre 2006

Cronache "cicerchiane"

Faceva caldo ieri sera, roba da andarsene in giro solo con una felpa, ed era il ventiquattro novembre. Alla festa avevano acceso, come sempre, anche i "foghi", così faceva ancora più caldo.


La slow food ha premiato, prima edizione del premio sulle biodiversità, un contadino che si impegna a non far sparire prodotti tipici e destinati all'estinzione. Me lo immagino in questo suo orto circondato da filo spinato e con una mitragliatice in mano a difender pomodori e melanzane come quei soldati giapponesi ritrovati, trent'anni dopo la fine della guerra, dimenticati nelle isole in mezzo del pacifico: in bocca al lupo.


"Spaccaball" era nervoso, sarà stato il caldo, ma era nervoso. "chi?che?co?io?" ha fatto il servizio fotografico della festa, ... ! Alle sei avevano già fame ho cercato di intrattenerli spiegando la cicicerchia e come si usa, peggio, la fame è aumentata. Li ho coinvolti in una mostra fotografica, di un bravo fotografo che ha messo le Marche nel suo obiettivo. Li ho distratti con l'acquisto del legume alla cantina de "La Buona Usanza", e di un ottimo formaggio di un buon produttore che presto andremo a trovare a casa di lui. Ma dove ti giravi era tuttto commestibile, tanto che "chi?che?co?io?" ad un certo punto è sparito. Lo abbiamo ritrovato nei pressi di un chiosco che vendeva "pane e gaungiola". Il guanciale tagliato sottilisimo viene scottato in padella con odori e vino e poi messo tra due fette di pane. "Hai mangiato un panino?!" "Chi io? No". Aveva gli occhi che stentavano indifferenza, le labbra unte e la bocca impastata da quella patina di grasso succulento. Invidia.
Alle sette non li ho più tenuti, "spaccaball" voleva a tutti i costi i biscotti di una pesca di beneficenza e "chi?che?co?io?" continuava a lamentarsi dei crampi allo stomaco. Cantina della Botte. Cresciola di polenta con le erbe tanto per gradire, zuppa di cicerchia con maltagliati e tagliatelle di cicerchia (ottime), maritozzi di mosto e "nutella". E' finita che mi sono ritrovato completamente zuppo di vino, "chi?che?co?so stato io?".
Presto qualche ricetta a base di cicerchia.

23 novembre 2006

Ricette sparse ..(3)

Ne avevo accennato qualche post fà, ma poi non era mai capitata l'occasione propizia per consumare, seriamente, il "prezioso" fungo. Ho evitato di "postare" la ricetta di bresaola e insalata di porcino crudo, mi sembrava poca cosa, anche se a me piace da morire, specialmente se la bresaola è quella vera. Ammetto, comunque, di esser cosciente che il porcino, come tutti i funghi in genere, andrebbe consumato immediatamente dopo la raccolta, ma a volte è impossibile. Quindi congelatore, e debbo dire con discreto risultato, avendo l'accortezza di congelarli tagliati e separatemente, cuocerli poi senza decongelazione. Il mio porcino preferito? Il porcino nero meglio definito come boletus aereus , una volta cotto semplicemente saltato in padella è "krokkante" (uso le k sperando di dare maggiore sensazione). E come farlo morire ?
Metodo 1:
Ravioli di magro ai porcini.

Preparate i ravioli usando per la sfoglia 500gr di farina 00, 5 uova, un pizzico di sale e un cucchiaio di olio di oliva xv (extravergine). Mentre per la farcia occorrono: 500gr di ricotta vaccina, 500gr (a crudo) di spinaci, che cuocerete saltando in padella nel loro liquido, 100gr di parmigiano reggiano, 50gr di pecorino di fossa di Talamello (sciovinismo puro), sale, pepe e noce moscata.
Saltate i porcini con aglio e prezzemolo in poco olio e burro buoni, appena colorano fermate e salate. Lessate i ravioli poi saltateli in padella con i porcini, aggiungendo una noce di burro.
Parmigiano ? Qui potremmo disquisire per giorni, se ne può mettere, ma poco, guai a coprire il porcino. Altri non ne vogliono sentir parlare. Ricordo quando mangiando in un trestellato ristorante ebbi l'ardire di chiederne su di una pasta ai porcini, appunto (tipo strozzaprete o pincinelle). Il cameriere corse a chiamare lo chef/patron, il quale partendo da una sua sana ragione di fondo, arrivò a farmi una lezione sul senso della vita e del cibo. Potevo capire le ragioni di fondo e avrei accettato, di buon grado, la preparazione senza parmigiano, ma la cosa andò troppo in là: pretesi il parmigiano e ne feci scempio.
Metodo 2:
Tartare di filetto ai porcini.

La ricetta della vera tartare la trovate qui, io evito la cipolla, lascio l'erba cipollina (ciboulette), e pastorizzo le uova a bagnomaria. Ma se dovete abbinarla con dei porcini va un pò modificata.
Per cominciare la carne deve essere acquistata da un macellaio "amico", la fiducia non basta quando si mangia carne cruda. Si può usare anche il controfiletto, ma il filetto è l'ideale. Non va macinata ma battuta al coltello.
Poi preparate una salsa con un cucchiano di mostarda dolce, una spruzzata di tabasco e un cucchiaino di salsa Worcestershire. Aggiungete due capperi a testa, timo, maggiorana, origano freschi e un cucchiaio di olio buonissimo. Ammalgamate il tutto e aggiungete due rossi d'uovo che avrete ridotto a crema fluida cuocendoli a bagnomaria. Aggiungete il composto alla carne, e servitelo con i porcini, non che avrete saltato in padella con olio e con gli stessi odori della carne.
Il vino? Quel giorno ho dato priorità alla pasta (non posso aprire due o tre bottiglie da solo) e quindi sono andato con la Bonarda di Caseo, OPP (Oltrepopavese), stupenda sulla pasta ripiena, tranquilla per i porcini. Per la carne, confesso che io ho continuato con la Bonarda (non posso aprire due o tre bottiglie da solo), sarebbe, però, da preferire una maggiore morbidezza ed una struttura più decisa, sempre da Caseo, le opportunità sono un riesling renano "Le Segrete" o uno chardonnay "I Ronchi".

19 novembre 2006

La merenda ... di Nonna

Ho un caro amico, che è stato sempre di poche parole. Ci siamo conosciuti lavorando: Abbiamo passato qualche anno assieme. Bellissimo periodo di quelli che quando ricordi dici, "ci siamo divertiti", poi ci pensi e stavi lavorando. Dovrebbe essere sempre così.
Oggi siamo rimasti amici con lavori diversi e ogni tanto ci ritroviamo a mangiare buon cibo e a bere un bicchiere buono.

Un giorno d'estate, dopo un pranzo veloce e gustoso, ci mancò il dolce. Attaccai allora con una sequela di ricordi legati alla mia
infanzia. Cominciai a scodellare tutte le "merende di quando ero piccolo": paneacquazuccheroevino, paneburroezucchero, paneecioccolata, e via dicendo. Lui non disse nulla. Si alzò. Prese dal frigo un po' di ricotta, la mise in un piattino e ci spruzzo intorno zucchero e cannella in polvere. La mangiammo spalmandone generose cucchiate sul pane, "pucciate" anticipatamente tra zucchero e cannella. Quando tutto fu finito, mandò giù un sorso di passito, si accese un mezzo toscano e mi disse: "Questa era la merenda che mi preparava mia nonna".

Tempo dopo ho cominciato a rimuginare su questo piatto, per reinterpretarlo in chiave un po' più moderna. Così via sms ho fatto una proposta, bocciata
, un'altra, bocciata, un'altra, richiamo all'ordine: nulla a che vedere con l'origine della ricetta.
Poi tra le ricette della mia famiglia, che sto cercando di raccogliere, ho trovato il dolce che mia nonna mangiava un secolo fà. Quando scrivo un secolo, non è un secolo come quando dici ad un amcio:"... è un secolo che non ci vediamo!". Il mio secolo sono 100 anni, mia nonna nacque nel 1901 e io penso che lasciandomi tra i suoi ricordi di bambina questo dolce, i suoi cinque anni fanno un secolo. Questo dolce, dunque, sempre a base di ricotta, veniva condito con lo zucchero e, indirettamente, con la cannella. In effetti questa ci finiva in forma diversa dalla polvere. La ricotta e lo zucchero venivano bagnati dall' Alchermes.

Alchermes etimologicamente dall'arabo Al(il) e Qirmiz(verme), deve la sua colorazione rossa al Coccus bophica o al Planococcus. Che altri non sono che: cocciniglie, animaletto infestante delle piante. I quali venivano seccate e ridotte in polvere. la preparazione casalinga prevedeva alcool in infusione con chiodi di garofano e cannella ed altri aromi. Lo zucchero, un secolo fà, era poco usato, roba troppo fine, il succedaneo per eccellenza, il miele.
La nonna della pianura rovigiotta, incontra la nonna dei monti marchigiani in una simbiosi dolce e profumata e quindi caro Tu, la prossima volta che vieni a pranzo da me (anzi muoviti), ti faccio trovare una:

Mousse di ricotta e cannella, con sciroppo di alchermes e miele di acacia.

In una terrina impastate la ricotta con poco zucchero e una spruzzata di cannella. Disponete nel piatto dando la forma preferita, spolverate con zucchero e cannella e disponete miele di acacia e sciroppo si alchermes, ottenuto sciogliendo 200gr di zucchero e 6 cucchiai di alchermes.

18 novembre 2006

Facciamola in casa.

Qualche sera fà mi viene un'idea grandiosa: non ho voglia di cucinare (capita no!) e allora lancio la proposta di andare a provare una vecchia pizzeria riaperta dopo molto tempo. Reazioni del nucleo familiare:
"spaccaball" (figlio piccolo), "Tsiii viva io vojo la pizza bianca".
"cheèchedevofare?" (figlio grande), "Siamo sicuri? Non è meglio farcela in casa, come sempre ?".
Mogliepensiero "meglio così non devo lavare i piatti".
Tra me e Lella c'è una "regola" (almeno per me) mai detta e mai dichiarata che io pulisco fintanto che cucino e poi i piatti li fai lei, (speriamo che adesso non cambi idea). Comunque si parte, destinazione pizzeria vecchi ricordi. Mentre andiamo "spaccaball" parla, tendenzialmente, da solo. La sua pizza bianca diventa prima con il pomodoro ma senza mozzarella, poi ci mette la mozzarella, alla fine, non si sa come, arrivano i wurstel. Cerco di impormi, di far capire che i wurstel non fanno parte della ricetta originiaria della pizza, che alla fine non sai neanche che cosa mangi. Ma fagliela cambiare te idea ad un "grillo" di cinque anni. Bene che ci sbatta il muso da solo.
Arriviamo: il luogo è piuttosto "standard" simil pub, stile camera da letto, si vede che l'architetto è la prima volta che progetta e arreda una pizzeria. Tovagliette e tovaglioli di carta, ottimo ci stanno (ma poi perchè pago sto c... di coperto?). Ordiniamo la pizza, cerco con disperazione un'insalata o anche una verdura cotta, ma nel menù nessuna traccia. Chiedo.. "Lo chef non fa insalate e verdure cotte, siamo una pizzeria." Allora non è "chef" ma un piazzaiolo, e poi dove sta scritto che non devi fare verdure aldilà di patate fritte congelate e finte olive e cremini all'ascolana? La birra non ha marca, nonostante la richiesta di informazioni resta totalmente anonima. Allora, per non saper ne leggere ne scrivere, chiediamo della gazzosa per autoprepararci una "panachè". "La gazzosa è finita". Mi viene in mente di chiedere cose che non berrei mai, per capire cosa hanno e non hanno. Ma Lella mi da un calcio e mi fulmina con lo sguardo.
Arriva la pizza, estremamente fina come non piace a me, la mozzarella deve aver deciso di non collaborare e se ne andata. Il centro della pizza ha subìto una modificazione organolettica e si è fuso con gli ingredienti in una "pappa" dove riconosco solo un' oliva e un carciofino. I carciofini sono tanto sottaceto, un po' sfatti dall'ossidazione. "Spaccaball" sta scartando tutti i wurstel, ha già deciso che non fanno per lui. Leo mi guarda, commiserandomi mi dice "Che t'avevo detto?". Mangiamo, l'immangiabile, la sola pizza che si salva è quella di Lella: bianca con mozzarella, pomodori e rucola fresca.
Chiediamo il conto, se avessimo mangiato bene sarebbe onesto: 4 pizze 28.0€, 2 birre 4.0€, 1 acqua 1.5€, 4 coperti 4.0€, totale 37,5€.
Ritorniamo a casa, commentando che no non ci torneremo più. Leo protesta "Domani sera mi fate la pizza." L'abbiamo fatta e ho fatto anche una piccola analisi dei costi degli ingredienti casalinghi non sono riuscito a superare i 15€ per 4 persone, contemplando 300gr di mozzarella seria (4€), 100gr di prosciutto cotto (1,7€), 50gr carciofini (1,2€), 50gr olive taggiasche "S.Lorenzo" (0,47€), 500gr di farina (0,6€), 250gr di salsa di pomodoro (1€), 2 birre Menabrea (2€), altro e costi fissi (3,5€).
Quindi, a meno che non abbiate una "signora" pizzeria sotto casa questa è la ricetta per la:

PIZZA

Sciogliete 25gr di lievito di birra in poca acqua, unitevi un pochino di farina fino ad avere un impasto fluido ma omogeneo, coprite e lasciate riposare almeno mezzora. Mettete la farina (300gr di tipo 0 e 200gr di Manitoba) sulla spianatoia, o se l'avete nell'impastatrice, aggiungete 3 cucchiaini di sale e 2 cucchiani di zucchero, Impastate con 100gr di latte e 150gr di acqua (quest'ultima deve essere aumentata o diminuita a seconda della consistenza dell'impasto), e aggiungete la pasta già lievitata. Impastate con energia e lavorate a lungo fino ad avere un'impasto che sia morbido, elastico e non si attacchi alla spianatoia, mettetelo in una terrina, incidete una croce sopra e coprite, lasciando lievitare almeno 2 ore. Rieseguite la lavorazione sull'impasto fino a ridurlo di volume poi stendete su delle placche da forno, condite l
a pizza. Infornate in forno ventilato a non meno di 220°.


Non fate questa pizza! Ero un giovane scopritore e non avevo ancora scoperto nulla andate a vedere questa ricetta oppure questa qui.

16 novembre 2006

Farsi del Bene

Se il cibo è piacere, e lo è, mangiare vuol dire volersi bene. Preparare del cibo e offrirlo a familiari ed amici, è un modo come un altro per dire "ti voglio bene". Di più, cucinare in maniera sana è un modo di aver cura di chi mangia, siano essi figli, amici o clienti. Cucinare bene un cibo potenzialmente "pericoloso" vale di più.

La frittura è uno di quei piatti messi alla gogna da "moderne tendenze salutiste", paraocchiate, e poco obiettive che serpeggiano nella cronaca giornaliera. L'accortezza è non abusarne come per tutte le cose. In passato anche chi era costretto a mangiare polenta tutti i giorni incorreva nella famosa pellagra. Ma non era la polenta a far male, lo era invece la mancanza di vitamine che la polenta non apportava e che la povertà faceva mancare.
Una frittura, ben fatta, fa molto meno male di quanto possa farlo una crostata fatta in casa usando margarina invece che sano burro (parlerò presto anche di lui), o magari acquistandoe e mangiando, merendine e biscotti, con prezzi convenienti, ma che usano grassi idrogenati. Leggete le etichette, sempre, il burro e l'olio extravergine costano "troppo" per i grandi produttori alimentari.

Ma parliamo di frittura. Per ben iniziare ci vuole un buon olio per friggere, le cui caratteristiche organolettiche principali sono due: punto di fumo e sapore. Il punto di fumo è la massima temperatura raggiungibile dall'olio oltre la quale questo degrada decomponendosi nei suoi composti principali. Si formano, cioè, composti ad alto peso molecolare (polimeri) non digeribili, nonché alcuni prodotti nocivi per l'organismo (alcoli, aldeidi). A quel punto si forma una sostanza acre e irritante (acroleina) che si volatilizza in un fumo dall'odore sgradevole, mentre a contatto col cibo rimangono acidi grassi liberi, sostanze delle quali è accertata la nocività. Gli oli migliori sono quindi quelli che hanno un punto di fumo alto, Sì ad arachide, olio di oliva, burro chiarificato (non italiano) e strutto. No ai semi vari e ai "friol". In questa tabella troverete tutto.
Poi fate attenzione non fate mai fumare l'olio, munitevi di termometro da cucina e controllate la temperatura, max 180°, dopo un paio di volte avrete esperienza per fare ad occhio.
Il sapore è una questione puramente soggettiva, a me per esempio non piace friggere con strutto e olio di oliva perchè questi due grassi hanno aromi caratterizzanti che si trasferiscono nel cibo. Una zucchina fritta in olio di oliva difficilmente non saprà di olio di oliva. Mentre gli oli di semi sono decisamente più neutri nei sapori. Dedico il burro chiarificato alla preparazione della sola WIENER-SCHNITZEL (un giorno scriverò la ricetta).
Ora vi resta una sola cosa preparare un:

FRITTO MISTO
Per la carne:
Manzo, maiale, pollo e agnello (200 gr a persona) magri, fatti a fettine piccole.
Spolverate la carne di farina, in una bastardella battete 2 uova, bagnateci bene la carne e passatela poi in un composto di 200 gr di pangrattato, 50 gr. di farina di mais e 50 gr. di parmigiano.
Per le verdure:
Zucchine, melanzane, carote, carciofi, fiori di zucca, cavolfiore, cipolla, salvia... continuo?
Preparate la pastella: battete un uovo intero, aggiungete un bicchiere di acqua gassata o birra ambrata freddissima 10 gr di lievito di birra, salate, incorporate farina fintanto che il composto risulti cremoso, lasciate riposare in frigo per un'ora.
Visto che siamo nella "Marca" rimediate Olive all'ascolana DOP. Purtroppo quelle congelate che trovate nei supermercati poco hanno a che vedere con la vera oliva ascolana, tanto che dal marzo 2005, si debbono chiamere ripiene e basta.
Ora considerato che la frittura è buona "cottaemangiata" e che se voi state a friggere non state a tavola, fate così: friggete prima la carne e le olive e tenetele in forno caldo a 90°. Poi friggete la verdura e andate a tavola anche voi.

Cosa ci dobbiamo bere? Qualcosa che "pulisca" la cavità orale (la bocca), allora 3 proposte: Birra Menabrea ambrata (l'effervescenza), un bel Verdicchio dei castelli di Jesi classico (alcool e acidità), o in alternativa un rosso giovane con un buon tannino e una bella freshezza.

Vogliatevi bene!

14 novembre 2006

Sulla bontà di un vino (2^ puntata).

Vi ricordate di questo post ?
Facevo un'analisi sull'attendibilità, meglio sulle affinità di giudizio tra le varie guide. Qualcuno, con più tempo di me, ha avuto la stessa idea, ed ha approfondito e allargato il test a tutti i vini massimopremiati delle quattro (contro le mie tre) guide principali per il 2007.
Leggete e meditate. Buonanotte

12 novembre 2006

'Na magnata de fame !

In televisione stanno regalando cinquanta euro per ogni parola indovinata di un enorme cruciverba. Le domande rappresentano quanto di più falso, per facilità, possa essere concepito. La conduttrice è esteticamente falsa, rifatta in buona parte del viso, cambio canale. Un falso dibattito si sta falsamente surriscaldando, nella matematica booleana falso+falso è uguale a vero, ma qui è doppiamente falso, cambio canale. La prova d’amore tra ammiccanti sguardi dovrebbe essere un risotto: “se mi ami, fammi un risotto”. La soluzione a portata di mano è un vero barattolo di falso condimento per risotti. La risposta dovrebbe essere: “Se però me lo fai con quello, ti caccio di casa”, cambio canale. I punti di vista di una mamma sono contrapposti (vero) da quelli di suo figlio, coincidono (falso) solo nel cibo. False merende fatte con veri grassi idrogenati, sono la garanzia di una crescita falsamente “sana”, cambio canale.
Una falsa nonnina dà un falso consiglio a nipote ed amici su di un vero ristorante, per garantirsi l’esclusiva mangiata di un falso cibo veramente congelato. Vere buste di falsi passati di verdura dovrebbero essere i ganci a vere serate di sesso, su vere terrazze romane. Una falsa mamma abbraccia il falso figlio per le strade di una falsa Emilia, felice, perché ora sa che se vuole mangiare false tagliatelle con vera ocratossina sa dove andare.

Neanche più la fame è vera, “’Na magnata de fame!”, diceva mia nonna quando facevamo gli “schizzinosi” davanti al cibo.
Poi cominciava a raccontarci di quando, ragazza, mangiava aglio in purezza per combattere la “spagnola”. Di quando nascosero la “pista” del maiale murandola in una nicchia della casa, per salvarla dai tedeschi in ritirata.
Mi raccontava de "l'acquaticcio", il vino dei contadini: una miscela di acqua e “vino” ottenuto dall’ultima torchiatura, o dall’acqua aggiunta alle vinacce in fermentazione, dal sapore acetato. Del "caccia e mette" (me lo ha ricordato mio padre), per ogni caraffa di vino spillata dalla botte, ne veniva aggiunta una di acqua. De "l'acetello" acqua con aggiunta di aceto, bevanda dissetante e disinfettante per le giornate di lavoro nei campi. Base questa per la panzanella piatto principe per il recupero del pane secco, bagnato con acqua, aceto e condito con olio, sale, pepe, aglietto fresco e pomodoro. Oggi che i tempi lo permettono aggiungerei origano e basilico.
Si finiva poi per parlare sempre del cibo da miniera (espressione massima della fatica umana) quando i nonni e gli zii scendevano giù in galleria. Il piatto del minatore "nostrano" era la pagnotta. La parte finale della "fila" di pane tagliato e scavato dalla mollica. Lo si poteva riempire con frittate varie o ancora meglio con "foje e salssiccia". Le foje o le erbe, sono verdure cotte: erbe di campo durante la stagione estiva, sostituite poi dal cavolo e patate in inverno. Si lessano le verdure e le patate e poi le si saltano in padella con aglio e rosmarino, a lungo in modo che gli aromi si "impregnino" bene. Si cuociono le salsiccie e una volta fatte a pezzi si riempie la pagnotta alternando foje a salsiccie, per poi richiuderla con parte della mollica. Mia madre e mia zia la preparavano ai fratelli più grandi prima del turno. Finiva nel "tascapane", sorta di zaino con un solo spallaccio, o nella guluppa per chi veniva dalla campagna. I racconti si susseguivano nella cacofonia familiare: il dottor Cazzola, i calcheroni, la teleferica che portava a Bellisio, l'occupazione, la chiusura della miniera e l'emigrazione verso il Trentino e la Sicilia. Finivo il piatto e mi alzavo per scappar via, "Bevi !" diceva mi madre, "Si, ma bevi poco se no, ti viene una colica d'acqua !" rispondeva mia nonna.

09 novembre 2006

Con la Polenta non ci si beve !


Ci sono molte regole per fare e per mangiare una polenta, la prima è quella del titolo. Ripetuta dalla notte dei tempi, da chiunque si appresti a mangiare una polenta. In effetti il divieto serve ad evitare ipotetici e non meglio specificati "gonfiori". Non vale però per il vino, anche se oggettivamente è sempre un liquido e con una percentuale di acqua importante, questo è consentito senza limiti, se non la capacità di restare sobri.

Ma iniziamo dal principio: le regole per la preparazione prevedono alcuni "instrumenti" fondamentali: una pentola (caldaro, caldaio, ecc.) in alluminio, meglio se di rame per la distribuzione del calore. Poi occorre un bastone per girarla, di legno stagionato che non dia odori, meglio se tramandato da tradizione familiare. In ultimo serve una tavola dove stendere e mangiare la polenta. Io parlo di polenta marchigiana, ben diversa da quella del nord italia. Da noi la polenta è il "supporto" del sugo che la condisce e che costituisce la portata del pranzo. Mangiata sulla "spianatora" tutti insieme, è il collante familiare, il luogo dell'amicizia, l'elemento che ti fa condividere, fisicamente, lo stesso piatto. Mangiare la polenta dalla tavola è un rito iniziatorio di fratellanza. Dicevo della tavola: deve essere di un legno che non rilasci resine, giliegio per definizione.
"Guarda che la devi far bollire almeno unoraemezzo" questa è la raccomandazione di mia madre ogni volta che sà che faccio la polenta. Fate bollire l'acqua (circa un litro per persona) salatela, aggiungete un mezzo cucchiaio di olio a persona e mettette il fuoco al minimo.

Armatevi, inizialmente, di una frusta, eviterete grumi, e versate la polenta un poco alla volta nell'acqua bollente. Quando la consistenza è tale che non riuscite più ad utilizzare la frusta usate il bastone.

Dove comprare la polenta? Questo è un buon problema. Dalle nostre parti, qui sotto ai monti, ci sono ancora mulini che macinano il granturco con o senza pietra. In città? Giuro non saprei dove sbattere la testa.


Quando la consistenza è tale che la polenta si stacca con difficoltà dal bastone, se la lasciate colare, avete raggiunto la giusta concentrazione tra farina e acqua. Ora regolate il fuoco e lasciate sobbollire lentamente: devono scoppiare bolle in superficie con la frequenza di una/due per secondo. Lasciatela andara e girate ogni tanto per un'ora.
La polenta è cotta quando si stacca dalle pareti della pentola, esperimento replicabile mettendone un poco in un piatto e lasciandola raffreddare. A questo punto dovete coinvolgere almeno tre vostri commensali, per arrivare ad una squadra di quattro.

Il caposquadra, voi, compito: allargare la polenta e versare sughi e parmigiano;
Il vicecapo, il più sveglio, compito: deve portare le pentole della polenta e dei sughi;
I cesellatori, non sono richieste doti particolari: con una forchetta a testa devono disporre i sughi. Il tutto deve essere fatto nel minor tempo possibile per evitare che si raffreddi.

Una volta che avrete finito di condire con il parmigiano, sedetevi, il bicchiere di vino a fianco e via iniziate a sforchettare.

Regole di "Bon Ton" quando si mangia nella tavola tutti insieme: non vale prendere un pezzo di carne se prima non lo si è raggiunto mangiando la polenta.
Non vale spostarsi estemamente di lato per aggredire la forchetta del vicino.
Non vale lasciare tracce di cibo sulla propria parte, la tavola deve essere pulita. Non vale fare canali o scorciatoie che consentono di raggiungere pezzi di salsiccia o costarella.
Per il resto vale tutto. Dopo la polenta si mangia solo il dolce. E come sempre deve essere goloso. A me lo ha portato Roberta, buono, con un bel passito (che non è bastato). La ricetta la scriverà Lei prossimamente, sono sicuro!

I sughi

Per il sugo rosso
(4 commensali)
400 gr di carne mista di manzo e maiale, 2 salsiccie, un pezzo di pollo (200 gr), le interiora del pollo (maghetti o durelli). Tagliate tutto a tocchetti In una casseruola tritate e fate dorare una cipolla e una carota, con olio buono e burro. Aggiungete la carne e rosolatela per una decina di minuti sfumate con del vino bianco e una spruzzata di grappa, salate, pepate e spruzzate di noce moscata. Aggiungete un chilo e mezzo di pomodori pelati, passati nel passaverdure, una , due chiodi di garofano, alcuni rametti di basilico e fate alzare il bollore. Fate bollire non meno di un'ora (ma anche di più) a fuoco lento.

Per il sugo bianco
(4 commensali)
400 gr di lonza di maiale fresca, 4 salsiccie fine, 200 gr di pancetta magra, 400 grammi di costarelle (o costine) tagliate a pezzi piccoli. Tagliate tutto a tocchetti In una casseruola da forno fate dorare uno spicchio d'aglio con rosmarinio, salvia, timo, maggiorana e la pancetta. Aggiungete la carne e rosolatela per una ventina di di minuti sfumate con del vino bianco e della grappa, salate, pepate. Coprite con carta alluninio e infornate a 180° per 40 minuti.

05 novembre 2006

Novello...! Ma siamo sicuri ?

Dalla mezzanote e un minuto di questa notte (0:01 del 6/11), come prescritto dal DM 13/7/99, è commerciabile il novello italiano 2006. Ma come è fatto un vino novello? Ho chiesto a dieci amici se lo sapevano? Nessuno conosce il metodo di produzione di questo vino, men che meno il disciplinare. La convinzione più comune e che esso sia una parte della nuova produzione messa in commercio anticipatamente, il famoso "mosto". Tutti rispondono, in maniera più o meno diretta, che viene fatto "con l'uva nuova". Teniamo a mente questo concetto.
Spieghiamo allora come è fatto un vino novello.
Pare che esso abbia origini francesi (tanto per cambiare). Se ne attribusce la nascita intorno al 1930 quando un ricercatore, tale Flanzy, sperimentò la conservazione dei grappoli sotto CO2 (anedride carbonica), ed ottenne involontariamente un mosto gradevole e profumato. Il Novello si produce attraverso un processo che prende il nome, appunto, di: macerazione carbonica. Questa tecnica esalta la freschezza e il sentore fruttato, regalando un prodotto apprezzato, beverino e molto commerciale.
Il processo produttivo prevede che i grappoli interi, la rottura degli acini innescherebbe la fermentazione tradizionale, vengano messi all'interno di apposite vasche da 50-70hl. Nelle vasche viene prodotto il vuoto d'aria e poi si immette CO2. L'uva resta lì per un paio di settimane ad una temperatura di 30°. In pratica in questa atmosfera "marziana" i lieviti (batteri) indigeni (presenti naturalmente nell'uva), migrano dalla buccia alla polpa alla ricerca di ossigeno, che trovano solo nell' acqua di qui è compsta la polpa, innescando un processo di fermentazione intracellulare. Dopo queste due settimane l'uva viene pigiata e la si lascia fermentare per altri 3-4 giorni. Successivamente il vino può essere imbottigliato, entro comunque il 31 dicembre dell'anno di produzione.
Dicevamo che questo metodo di vinificazione nasce in Francia, i primi a produrre questo vino furono i vignaioli del Beaujolais, la regione a sud della Borgogna, con l'appellativo di Beaujolais Noveau. In Italia questo fenomeno arriva intorno al 1970 i primi ad impossessarsene sono Angelo Gaja con il «Vinot» e Giacomo Tachis, per i Marchesi Antinori, con il «S.Giocondo». Oggi il fenomeno conta in Italia oltre 350 produttori, suddivisi in 60 denominazioni di origine e 160 indicazioni geografiche, con circa 20 milioni di bottiglie.

Ma diamo unìocchiata più approfonfita ai disciplinari di produzione francese e italiano.
Francia: il vino viene prodotto nella zona di Beaujolais sud della Borgogna, 22.500 ha circa vitati (due volte Parigi e quasi quanto la superficie di vite nelle Marche), di cui solo un 30% destinato al noveau.
Italia: può essere prodotto in tutto il territorio italiano all'interno delle doc e delle igt che lo prevedono.
Francia: può essere prodotto solo da uve di "Gamay Noir à Jus Blanc", probabilmente un clone autoctono del pinot nero;
Italia: può essere prodotto con tutte le tipologie di uva comprese nei disciplinari di cui sopra, circa 59 tipi, con prevalenza di Cabernet Sauvignon, Merlot e Sangiovese.
Francia: il disciplinare obbliga alla macerazione carbonica il 100% dell uve, di conseguenza esse appartengono tutte all'anno di produzione del vino.
Italia: la nostra legge obbliga alla macerazione carbonica solo il 30% delle uve, ammettendo la vinificazione tradizionale per il restante 70%. Non solo, la nostra legge consente per un 55% (cinquantacinque attenti!) il taglio con il vino rimasto in cantina dall'anno prima.

Ora ai miei amici che hanno risposto al test, con la convinzione che Novello fosse sinonimo di nuovo, la domanda è: ma qualcosa che per oltre la metà di cioè che la compone potrebbe essere vecchia, è nuovo o vecchio?
Mentre ci pensate bevetevi un bel bicchiere di vino da meditazione, magari un Tordiruta di Moncaro, e mangiateci qualche castagna cotta nel camino. Altro che novello !!

N.B. Le bottiglie della foto risalgono al 2005, imbevute. Il Beaujolais noveau è commerciabile dalla mezzanotte del 3° giovedì di novembre di ogni anno. Per l'occasione del dèblocage, nella cittadina si tiene una manifestazione molto folkloristica a uso e consumo di turismo enologico nippoamercanoinglese.

03 novembre 2006

Guancalmaz

Questa terra in cui vivo è lontana dal mare. Un'ora di strada e quaranta chilometri in linea d'aria, sono tanti .Ed è per questo che i piatti di mare quassù, verso le montagne, non hanno attecchito. Nella tradizione l'unico pesce che esce dal mare e riesce a "camminare" raggiungendo anche gli entroterra più lontani, è il baccalà o lo stoccafisso. Sempre merluzzo, ma il primo conservato sotto sale mentre il secondo essiccato. Anni fa mangiai del baccalà sull'altopiano di Asiago (80km dal mare). L'ho mangiato anche in Svizzera, se è per questo, ma non so se vale: la cuoca era di origine Cremonese.
Sta di fatto che la tradizione della mia "entro-terra" non contempla piatti di pesce. Chi la fa da padrone quì, è il porco, generossisimo, più da morto che da vivo, animale della nostra campagna.
Ma un'ora di strada e quaranta chilometri in linea d'aria, sono anche pochi. Il problema è far evolvere questa cucina di pesce. Andare oltre la tradizione scritta in riva al mare e riletta sotto ai monti. Una tradizione che vuole le seppie "morire" in casseruola sempre e solo con i piselli. Che vuole l'abbinamento pesce e patata come la sola blasfemia accettata.
Pensavo a questo, quando un paio di giorni fa nella pescheria vicino a casa, mi sono ritrovato a contemplare un pescato di tradizione montanara: gamberetti decongelati, pannocchie, seppie, merluzzi, code di rospo, spigole (allevate), cozze e vongole. Sarà stata la mia espressione, quando la signora davanti a me a chiesto se quei pesci, indicando una cassetta di bei merluzzi, fossero piccoli squaletti. Sarà che ho fatto pena a Gabriele, fatto sta, che è apparsa una mezza cassetta di mazzancolle e calamari, che mi hanno rimesso al mondo.
Li ho presi e portati a casa. Poi ho passato la giornata, fino a cena, a pensare a qualcosa di alternativo, che rompesse la tradizione del "pesce sotto ai monti". Qualcosa che desse al piatto la sua carta d'identità: nato dal mare ma domiciliato sotto ai monti. Ed è stato come se un legame telepatico si fosse innescato tra me e il porco. Me lo son visto davanti con quello sguardo lacrimoso e triste come a chiedermi di "sdoganarlo" ad un piatto di mare. Un puffetto sulla guancia... guanciale... calamari...mazzancolle...

Spaghetti "guancalmaz" al profumo di zafferano.

Tempo prima
preparate un fumetto con lische varie, le teste delle mazzancolle che avrete pulito, carota, cipolla, gambi di prezzemolo, e qualche pomodorino. Fate ridurre almeno di 1/3. Salate e aggiungete due bustine di zafferano.
Pulite i calamari e fateli a rondelle.
Poco Prima
Filtrate e portate ad ebollizione il fumetto, aggiungete acqua quanta ne occorre per cuocere la pasta. Correggete eventualmente di sale, buttate la pasta: spaghetti di Gragnano.
In una padella mettete a rosolare in poco olio buono uno spicchio d'aglio e del guanciale fatto a julienne: striscioline (120 gr per quattro persone). Lasciate che il guanciale cominci a diventare quasi croccante, aggiungete due pomodorini per commensale privati di buccia e semi e tagliati ametà, salate. Subito dopo a fuoco vivo mettete i calamari e le mazzancolle, saltate per un minuto, sfumate con acqua di cottura della pasta. Scolate la pasta e mantecatela in padella con il sugo. A fuoco spento aggiungete prezzemolo tritato, impiattate con un filo di olio a crudo.