27 aprile 2009

Arriverà l'estate

Arriverà l’estate.
Ci vorrà del tempo, ma arriverà. E allora tornerò a sedermi su questo prato a guardare il mio cielo. Silenzioso di pensieri nel fresco del mattino, mi lascerò portare lontano oltre quel monte, un poco più in là. Aspetterò che il sole si alzi più in alto oltre il ciliegio, e solo allora mi deciderò a muovermi.
Comincerò a cucinare, solitario, solo la musica a tenermi compagnia. Poi pian piano mentre la banda scenderà, alternerò soffritti a caffè, fondi a tazze di latte.
Mi lascerò aiutare dal gigante di casa, mentre il nano si appollaierà sulla penisola come sempre, a guardarci lavorare. Le chiacchiere correranno sul filo dell'ironia del sarcasmo, della presa in giro fin quasi al limite di un broncio d'offesa. Basterà una spallata, un coppino improvviso, a riportare il sorriso e l'allegria di una passione condivisa. Aspetteremo gli amici, torneranno anche loro a sedersi caciaroni e distratti ai tavoli sulla terrazza. Mangeranno di gusto, di piacere di fame. Berranno di sete e di voglia di quel leggero senso di sopore che solo il buon vino sa dare. L'aperitivo li terrà impegnati, lontani dalla cucina, sopirà la loro curiosità mentre veloci e stanchi impiatteremo:

La pasta della Colica




Il nome del piatto è frutto della fantasia di uno, o due, dei tanti amici. Venne preparato in occasione di un anniversario della nascita di questo blog, e giocoforza gli venne affibbiato il nome

Per la pasta: se non avete un torchio per divertirvi, usate una pasta all'uovo o di grano duro, comunque che sia un formato "corto"

Per il ragù di verdura: cuocete anticipatamente tutte le verdure disponibili in stagione: zucchine, melanzane e funghi, per le più coriacee come le carote, serve un colpo di vapore prima. Poi andranno slatate separatamente in padella antiaderente con poco olio per una decina di minuti ciascuna, curandosi si non perdere la croccantezza. Al forno andrà cotto un eventuale peperone, che pulirete dalla buccia "bruciacchiata", infilandolo prima per una decina di minuti in sacchetto di carta o da congelatore. Incorporerete questo alle altre verdure. Preparate dei pomodorini confit: sbollentate in acqua per un minuto una ventina (si riducono molto) di pomodorini piccadilly belli rossi, che avrete inciso nella parte superiore, spellateli, eliminate i semi e metteteli in una placca da forno, condite con sale, olio, timo o origano ed un cucchiaino di zucchero. Infornate a 90° per circa tre ore.

Per la crema di piselli: mettete i piselli (200gr per 4 persone), anche congelati, a cuocere in una scodella con una pari quantità di brodo di verdure. Quando il brodo si sarà ristretto passate i piselli al passaverdura, per eliminarne le bucce. Regolate la crema di sale, dopo averla insaporite con del parmigiano reggiano, dategli la densità desiderata aiutandovi con del latte.

Impiattate specchiando la crema di piselli, e saltando la pasta una volt lessate, insieme alle verdure, condite con un filo di olio evo buono



Però intanto continua a piovere

19 aprile 2009

Un altro fish


Non succederà mai. Non parteciperò mai ad un evento da blogger. Così i saloni del gusto, le terre madri e ora anche i pesci lenti, non mi vedranno mai aggirarmi per la calca afosa dei padiglioni con fare incuriosito, mentre sorseggio un bianco ormai caldo, e sgranocchio un sarago scottato. Non sarò mai oggetto di sguardi curiosi, additato da improbabili fans con fare dubbioso sullo stile di un "... ma quello non è !?". Non avrò mai il mio momento di gloria e di fama, con l'etichetta dello sponsor bella in vista, e l'ultimo blogger-regista ad intervistarmi.
Resterò lontano dalla cacofonia burlesca di un evento cibocentrico.
Rimarrò seduto su questo muretto in riva al mio mare, dove lentamente sono arrivato.

Guarderò oltre la spiaggia deserta, i piedi a disegnare una sabbia dura di pioggia e di sole inaspettato, dura di un inverno che non finisce, di un sole che appare e scompare, di un caldo che manca. Respirerò l'aria salmastra che la brezza mi porta fin qui, un libeccio leggero e caldo, che quando girerà a scirocco tornerà a bagnare questa tarda primavera. Ma non ora. non ancora. Aspetterò che il "tuc-toc, tuc-toc, tuc-toc..." del motore di Alfredo mi arrivi alle orecchie prima di veder la sagoma della sua barca, oltre la linea degli scogli. Aspetterò le manovre di avvicinamento, lo guarderò arenare la chiglia e scendere in acqua con i vecchi stivaloni. Aspetterò che lui e il suo amico abbiano portato a secco la barca con quell'arrugginito carrello a motore. E solo allora mi alzerò da questo muretto e gli andrò incontro.
Lo vedrò strizzare gli occhi piccoli e chiari, sulla sua faccia abbronzata del sole di tutta una vita. Lo osserverò riconoscermi, mentre una smorfia di un mezzo sorriso, gli disegnerà il viso. Aspetterò la sua battuta sul bianco della mia barba, non bianca come la sua e lo lascerò prendermi in giro sulla mia montanarità. Aspetterò che finisca di mettere a posto la barca, di scender le cesti di reti, lo guarderò lavorare senza fretta. lentamente. Camminerò sulla battigia e disegnerò gli animali per qualcuno che non c'è. E solo quando lo vedrò accendersi una sigaretta e aggiustarsi il vecchio cappello sulla testa calva, solo allora gli chiederò: "come è andata ?!"
Aspetterò che sciorini tutto quello che ha da sciorinare: una vita sui pescherecci in giro per l'adriatico, una pensione su questa barchetta, passatempo più che lavoro. Una clientela piccola, che si aggira nel raggio di qualche centinaio di metri e che aspetta già sul marciapiede.
"Mosciaroli. Non so come, ma ho tirato su un sacco di mosciaroli"
E allora vada per i mosciaroli. Me ne mette un tre manciate in un sacchetto di plastica azzurro, si muovono ancora. Faccio per prendere i portafogli, ma un suo sguardo mi fa rinunciare.
"Tornate questa estate ?"
"Sicuramente a prendere il tuo pesce."
Mi avvio verso l'auto, Alfredo lontano. Il sole che scalda quel poco che basta per starsene in maniche di camicia. Un aria che sa ancora di mare, il libeccio alle spalle, che sa già di scirocco e che mi porta un suo ultimo grido: "Ma che ci fai ?"... un:

Rigatone Cocco in guazzetto di moscardini



Ho scaldato un paio di cucchiai di olio evo, ci ho lasciato colorare appena uno spicchio di aglio e un paio di rametti di basilico. Ci ho tuffato sei o sette piccadilly sbucciati e privati di semi. Dopo 3 minuti ho buttato i moscardini due o tre per persona di più se sono piccolissimi. Ho coperto e ho lasciato andare pianissimo per 15/20 minuti. Ho lessato un rigatone Cocco, scolato al dente e saltato in padella con il guazzetto. Spruzzato di un trito di prezzemolo e di un filo d'olio a crudo.

12 aprile 2009

Se giogava a coceta



Pasqua; giorni de sole e de fiori,
d'ovi penti de tuti i culori,
de ramete d'ulivo e campane.
Le memorie sbiavite, luntane,
rismugina qui drento ala testa....
Te ricordi, ale Grazie, che festa?

Fra scachini in fiocheto e paieta
se giogava cu'j ovi a coceta
e la banda sonava sonava
e i crestiani beveva e magnava
e i amichi cantavane i cori
e parevene mazi de fiori,
a braceto, le bele d'Ancona
che, a vardàle: "Oh, jeso, Madona!"

I zizoni faceva el sordì,
i vechieti scialava col vì;
tra i cariòli de fave e sumente,
face alegre, beate, cuntente.
Pasque mosce, robete, sciapate
che, a penzàce, ce fai le risate,
dice ogi che i tempi è gambiati.

El progresso ce porta difati
ovi grandi, infiocati in vetrina;
miga queli che fa la galina!?
Ovi dolci ch'ène opere d'arte;
l'ovo fresco ogi è meso da parte
ch'è cresciute un bel po' le pretese
e se guarda de più le surprese
e se cerca qualcosa de novo.

La speranza sta tuta in qul'ovo
che de drento nun zai cusa c'è.
Finché speri e t'iludi va bè
ma per belo e prezioso che trovi
quando sbreghi la scorza a qùj ovi,
el suriso te dura un mumento
pò se smorcia e aritorni scuntento
perchè, vedi, ce manca qualcosa
culorito de bianco e de rosa,
quel che c'era in t'i tempi passati,
sciapi sci, ma tranquili, beati,
che... la Pace, me pare ch'j diga,
una roba che usava al'antìga,
quando alegrì in fiocheto e paieta
se giogava cu'j ovi a coceta.


Ceriago 1950 - da: "Sfrigi"

01 aprile 2009

Nessuno davanti

Ho sette anni. Sono sul punto più alto del mio paese, in sella alla mia bici nuova, rossa fiammante.
In effetti non è che sia proprio nuova: era di mio cugino. Però lui ci si è schiantato contro un muro per guardare i barattoli che aveva attaccati dietro. Due settimane di ospedale, una faccia irriconoscibile, un osso rotto di cui non ricordo il nome, ma che ha qualcosa a che fare con il “mago Zurlì”.
I genitori volevano buttarla, la sua bici, ma io non ho sentito ragione e adesso è mia. In effetti non è proprio rossa, è un color vinaccia sbiadito, ma poco importa. In effetti non so neanche andarci non riesco ancora a pedalare e restare in equilibrio. Mia madre si è raccomandata che mi venisse insegnato. Ma la pazienza di un genitore non supera le due cadute e i quattro sbandamenti da novello velocista.
Quindi avanzo spingendo con i piedi, e se trovo un piccolo avvallamento mi sento il Polidori della situazione, libero di scivolare in quell’attimo di velocità.
E’ stato dopo un paio di questi avvallamenti davanti casa, che ho rrealizzato che se fossi salito qui, in cima al paese, l’avvallamento diventava una discesa di mezzo chilometro. Una discesa che dopo un paio di buoni tornanti si infila nel paese, supera un incrocio e risale verso il centro storico. Sarà quella risalita, nel mio immaginario, che fermerà la corsa.
E si perché la mia bicicletta ha un difetto: non ha il manubrio dei corridori. Loro quando vanno in bicicletta tengono le mani basse, la schiena piegata, e la testa giù. Neanche guardano avanti, tanto la strada è libera, è la loro, nessuno si sogna di mettersi in mezzo alla strada quando passa un corridore. Ecco, allora io per simulare quella posizione bassa e, scoprirò poi da grande, aerodinamica, devo tenere le mani sui freni che sono la cosa più bassa che ho sul manubrio. Si lo so che così non freno, ma quando passa un corridore si fermano tutti. Quando passa un corridore la gente urla, gli corre dietro, gli butta l’acqua sulla schiena, e lui si alza sui pedali, e spinge verso la montagna, e sale tra ali di folla, con le moto che gli corrono avanti. Quando passa un corridore la strada è sempre libera.

Prima mi muovo piano, le gambe larghe per anticipare un eventuale sbandamento, ma la discesa mi porta subito in velocità. E allora mi piego in avanti le gambe raccolte sui pedali il naso a toccare il manubrio. La strada mi scivola veloce sotto le gambe, qualche buca ,l ‘asfalto sconnesso. Sul primo tornante mi allargo verso il muretto che mi separa dal vuoto: sotto il campo di bocce del bar del paese. Un attimo, un flash, ritorno a guardare la ruota, e la strada che mangia. La seconda curva è più difficile sembra larga ma poi si stringe improvvisamente, non lo avevo mai notato. La faccio contromano, ma tanto quando passa un corridore … Subito dopo la curva c’è casa mia, un flash mia mamma sul terrazzo le braccia aperte come se volesse raccogliere un pezzo di questo cielo azzurro, la bocca spalancata in un respiro di sole. Il vestito a fiorellini rossi, i capelli neri. Ritorno sulla strada tra poco ho l’incrocio e poi la risalita a fermare questa corsa. Ma prima passerò davanti al bar dove mio padre stava chiacchierando con i suoi amici, quando alla chetichella sono salito in cima al paese. Ed è lui, adesso davanti a me, in mezzo alla strada, le gambe e le braccia spalancate. Sembra un disegno che ho visto sfogliando un libro di mi zio, un uomo nudo con quattro gambe e quattro braccia in un cerchio. Non lo evito, non posso evitarlo. Non era previsto che frenassi e non si è mai visto che qualcuno si metta in mezzo alla strada quando passa un corridore.

Non credo di avergli fatto molto male, quando siamo caduti entrambi in mezzo alla strada. Forse gli han fatto male le risa dei suoi amici davanti al bar. A me ha fatto male il secondo calcio nel culo, il primo lo avevo attutito, ma il secondo è arrivato inaspettato e il dolore è stato intenso, ho fatto anche qualche salto sul posto, tenendomi la parte offesa con le mani. Poi sono tornato a casa a testa bassa. La bicicletta spinta a mano. Un ferita che sanguina dal ginocchio destro. Un altra che fa male dentro, ma che non si vede. Ho lasciato la bicicletta per terra davanti alla porta di casa, ho salito le scale, pronto ad un paio di scapaccioni di mia madre, che invece mi guarda comprensiva e con un mezzo sorriso mi chiede: "che cosa mangiano i corridori a pranzo ?"...

Gli spaghetti col tonno per modo di dire




Non sono quelli che mi preparò quel giorno mia madre. Ma nel frattempo ho cambiato anche tante biciclette, sono finito per terra tante volte, sono stato ricucito dagli amici medici, ho i segni del mio andare su braccia e ginocchia, e ho anche molte più ferite che dolgono dentro. E ci sta quindi che gli spaghetti non siano quelli di quella volta.



Ho preso le punte di un mazzo di asparagi selvatici, le ho lavate e le ho messe a scottare in padella con un filo di olio ed uno spicchio di aglio. Ho aggiunto appena un poco di acqua e coperto per qualche minuto per terminare la cottura. Ho lessato la pasta, anche qui, erano delle linguine MaKaira e non spaghetti. Poco prima di scolarla ho aggiunto dei pomodorini secchi, dolcissimi e buonissimi, che ora non ho più, ma potete usare dei piccadilly confit o addirittura seccati in forno con olio e timo per 4/5 ore a 75 gradi. Insieme alla pasta ho incorporato del tonno fresco fatto a cubetti e ho mantecato per un minuto o poco più. Ho servito con un filo d'olio.