Vecchi pipistrelli
La casa è fredda. Di più: è ghiaccia come solo le case disabitate sanno esserlo. Fuori potrebbe esserci la più calda giornata d'estate, ma qui dentro farebbe comunque freddo. Di quei freddi solitari, che solo l'abbandono riesce a dare. Di quei freddi attaccati alle mura come pipistrelli neri, che quando ti infili nelle stanze, con un battito d'ali svolazzano sulle tue spalle, e li restano per tutto il tempo che servirà alla memoria per farli scappare via.
Mi muovo piano come un intruso, un ladro, in mezzo a questo nulla che resta. Apro porte di stanze, che sono come laghi di ricordi in cui tuffarsi. Sul suo comodino la vecchia radiolina nella custodia di finta pelle, matite gialle, e un piccolo fascio di "settimane enigmistiche". Cassetti che il tempo ha chiuso per sempre, gonfi di umidità che non li fa più scorrere. Il salone oramai vuoto, qualcuno ha portato i mobili in altre stanze, altre case. I passi rimbombano sul pavimento, contro le mura macchiate di muffa. Sul tavolo della cucina restano oggetti irriconoscibili, pezzi di dispensa e vecchi piatti "sbeccati". Solo la crepa sul muro, é ancora attuale, oggetto di una vecchia e infinita causa legale con i vicini, resta la sola ad aspettare che un giudice la faccia sparire. La porta dello studio é un invito ad entrare, il nulla che resta é un invito a fuggire. I libri che tappezzavano queste mura, il divano di lana rossa, il vecchio giradischi, tutto sparito, donato ad un museo, ad altre case. Resta solo la poltrona di mia nonna accanto alla finestra. Mi seggo, lo sguardo sul vecchio orto e più oltre verso il paese. Non se ne vanno i pipistrelli, per quanto mi stringa addosso la giacca a vento, restano aggrappati ai ricordi che riaffiorano.
Le giornate passate in questa stanza lei su questa poltrona, immaginava, più che vederlo, il mondo fuori di quella finestra, mentre io sul divano sfogliavo libri quasi più grandi di me. Restavo per ore ad ascoltare. Il suo ciacolare era la colonna sonora della mia immaginazione. A volte mi riportava a terra con una domanda diretta o con un racconto che dovevo per forza seguire, ascoltare. Altre volte impartiva ordini, seduta su quella poltrona, alle figlie che di la in cucina che preparavano il pranzo, più salato, meno cotto, la pasta da buttare per il figlio; mio zio. Passavano così i sabati e le domeniche d'inverno, davanti al quel camino sonnecchiante, davanti a quell'orto affacciato sulla finestra di quello studio. Da quella libreria lessi i miei primi romanzi, raccolsi le prime emozioni della carta stampata, i viaggi più belli quelli che solo la fantasia sa far fare. Su quel divano che non c'é più, tra quei libri ormai scomparsi.
I pipistrelli mordono ancora, svolazzano ogni volta che provo a scacciarli in cerca del calore di quei ricordi. Resto a guardare la mia immagine sfocata sul vetro, l'orto é nascosto dall'erba ormai alta, a malapena intravedo la punta del campanile del paese, lontano tra gli alberi di fico. Aspetto in questo silenzio che qualcosa si possa rianimare, che una voce mi possa far trasalire. Ma non ci sono rumori, non ci sono voci e non ci sono più i profumi. Solo l'odore languido di terra fredda, della muffa dei muri, invece dei profumi di un'infanzia prima e di un'adolescenza poi, così vicina in questa stanza, così lontana da questa casa.
Mi alzo, me ne vado, torno nel mondo, attraverso il corridoio buio e lungo e lascio che i pipistrelli fuggano via, mentre la fantasia mi tiene ancora bambino a correre tra queste stanze invase dalle nostre grida e dal profumo caldo della zuppa di ceci che bolliva in cucina.
I ceci vanno al mare
(il grillo con i ceci in zuppa)
Per 4 persone vi occorrono due astici e 200 gr di ceci di Colfiorito secchi, o quelli che preferite voi.
Lasciate i ceci in ammollo per almeno un giorno intero, cambiate l'acqua un paio di volte. Metteteli a lessare in poca acqua salata,(usate poco sale questa è anche la zuppa) che dovrete aggiungere man, mano che occorrerà. Profumate con 2 spicchi d'aglio in camicia e un paio di rametti di rosmarino. Un paio d'ore a fuoco lento e coperti dovrebbero bastare e comunque decide la cottura a vostro piacimento.
Preparate il sugo di Grillo: sciogliete un paio di scalogni, tritati finemente in poco olio evo. Lasciateli appassire aiutandovi con poca acqua calda quando questa sarà del tutto evaporata, aggiungete una decina di pomodori piccadilly o 5 di quelli ramati, privati dei semi e della pelle e fatti a cubetti. Lasciate cuocere a fuoco vivo per una decina di minuti, profumate con qualche foglia di basilico, salate, pepate e poi mettete da parte in un contenitore. Nella stessa padella mettete i due astici. Gli astici devono essere divisi in due per il senso della lunghezza. Se questa operazione che porta alla morte l'animale non riuscite a farla, chiedete al vostro pescivendolo di fiducia di sostituirvi nell'incombenza, eliminando anche le viscere (ma solo quelle). Rosolate gli astici a fuoco vivo e coperti, quando risulteranno belli rossi spegnete, incorporate il liquido rimasto al sugo fatto precedentemente. Recuperate tutta la polpa, spezzando le chele e le gambe, poi rimettete tutto in padella, sugo, polpa e a questo punto i ceci con parte del loro brodo di cottura. Correggete si sale e pepe. Lessate dei maltagliati che avrete ricavato da una sfoglia classica, tagliandoli a rombi abbastanza grandi. Scolateli al dente, poi finite la cottura saltandoli in padella, aggiungendo se occorre il brodo di cottura dei ceci. Servite con un filo d'olio a crudo.
Il cece cosí cotto e condito anch’esso con un filo di olio evo e accompagnato da una fetta di pane bruscato "tostato" é uno dei piatti della tradizione di questa parte di Marca e della mia famiglia.