30 dicembre 2007

Ipo crisi a

Guardare la televisione è importante, aiuta a crescere e aiuta anche a capire. La televisione italiana è piena di qultura e di intelligienza, di programmi che aiutano ha capire il mondo e ha conoscere le qulture diverse. Io in cuesti giorni o passato un pò di tenpo davanti alla televisione, e mi sento veramente di verso, un'altro. Si nota ?

Ho ascoltato anche quello che dicono dalla televisione e non è vero che dicono tutte cazzate. Dicono cose anche tanto intelligenti, per esempio il TG5 chiede di esprimere tre desideri per il nuovo anno? Aaaah fermi. Guai a chi si mette a pensare per conto suo, e che? Facciamo come ci pare? Per questo ci ha pensato il TG5 vai sul sito e scegli tre desideri per il 2008:

La pace nel mondo
Bé ... sì ci mancherebbe
La salvaguardia dell'ambiente
Embé anche questo lo prendo, sai il mio senso civico.
Lo stop alla pena di morte
Bé anche qui come paese abbiamo fatto tanto e ora tirarsi indietro.
I mutui meno cari
O c****. Posso ridare indietro la pena di morte? E' che ho un mutuo di quindici anni a cui tengo particolarmente.
Più lavoro
por... a parte che adesso un lavoro ce l'ho ma magari in futuro, va bé questo ci penso per il 2009
Meno tasse
O c*** un'altra volta, e no le tasse mi interessano. Allora do indietro la pace nel mondo, tanto per quella c'è poca speranza e mi tengo: ambiente, mutui e meno tasse.
Stop agli incidenti sul lavoro
Ma certo che questo lo vorremmo tutti, ma sai io alla fine faccio un lavoro di scrivania, e alla più brutta potrei cadere dalla sedia.
Meno malasanità
Bé anche qui, che vuoi io sto benino ma sinceramente non si sa mai allora scambio questo con l'ambiente, tanto il buco dell'ozono ormai non lo tappiamo più
La riforma elettorale
Bé si, ma non è così indispensabile, tanto la prossima volta sopra la scheda ci scrivo una ricetta.
Un nuovo governo
Sicuramente. Però dovremmo metterci d'accordo su quello dopo, che non voglio mica star qui a continuare a sentir cazzate.
Più donne al potere
Assolutamente sì, anche dentro casa mia, così ad organizzare le vacanze ci pensa Lella, però non scambio nulla.
Meno criminilatà
Va bé vi ridò indietro la mala sanità e mi prendo: meno criminalità
Successi azzurri
Sai che c**** me ne frega

Oggettivamente in questo intelligentissimo test mancano un paio di cose:
Farla finita con le cazzate della televisione.
Più pilo pi tutti



Il test non lo linko, mi vergogno. Ma lo trovate sulla pagina principale del TG5

27 dicembre 2007

Riflessioni di fine anno

Uno verso la fine dell'anno dovrebbe tirare il bilancio dell'anno appena passato, le cose belle che sono accadute, qualcuna, le cose brutte passate, non me le ricordo, e i propositi per il nuovo anno, diversi.
E proprio ieri sera, a cena con dei cari amici, che lei la mia cara amica mi invitava a riflettere, davanti ad una pizza. Per la cronaca da queste parti, le mie parti, ci sono ancora posti dove per 6 pizze (discrete), un primo, un antipasto, 3 litri d'acqua, 2 birre medie, un sei o sette caffè, si spende nientepopodimenoche cinquantacinque euri e settanta centesimi. Roba che ti costringe poi, per quel po' di senso civico che ancora abbiamo, a ricontrollare il conto per accertarti che non te ne stai andando con un palese errore della cameriera in mano.
Comunque dicevo che la mia amica, che tra le altre cose possiede un cane, un cane piccolo e nero, che ogni volta risveglia il desiderio canino di "Spaccaball". Ecco a lei, la mia amica, piacerebbe che io postassi una foto della bestia nel mio blog, ed ogni volta che ci incontriamo ne fa un accenno distratto. Ora io, per quanto possa "odiare" cani e gatti, non metterò mai la foto di uno di essi nel mio blog, in quanto le uniche foto di animali che qui appaiano, sono solitamente quelle di animali morti e cucinati. Ecco che a questo punto a guadagnarci è il cane sicuramente.
Ma non era questo l'argomento che la mia amica ha affrontato ieri durante la cena. In effetti lei è anche una grande esperta di lavoro a maglia, ogni volta che ci incontriamo è dietro a sferruzzare su di un nuovo lavoro, apparentemente si tratta di maglioni, i quali ho scoperto poi, vengono tutti terminati senza maniche, stile gilet. Questo non perché lei non sappia o non voglia fare le maniche, ma perché sembra che i destinatari di tali lavori preferiscano così: dei gilet. Anche il cane usufruisce del suo hobby, e lo si vede spesso girovagare per le strade del paese con quella camminata, sculettante e sostenuta, di chi indossa capi all'ultima moda.

Ora la mia amica, con la quale spesso passiamo la serata a lanciarci frecciatine ironiche, credo che questo post ne sia un esempio, (e se non vuoi mancare, devi commentare!!). Dicevo la mia amica a cui, qui davanti al pubblico del mio blog, dichiaro il mio infinito volerle bene, anche se non ho ancora ricevuto un gilet. Dicevo la mia amica, in quel ristorante dove si paga poco, ieri sera, tra una frecciata e l'altra, di fronte al fatto che a fine anno si dovrebbero tirare le somme e fare i bilanci, la mia amica, quella con il cane nero e piccolo, proprio lei. Lei mi faceva notare che essendo quasi finito un altro anno, io, e qui il suo sguardo aveva un non so ché, di sadico, io, dunque, sono invecchiato di un altro anno e non posso sfuggire a questa legge divina.

La cosa debbo dire che mi ha lasciato un po' sconcertato è che in quel ristorante, che ha un "look" che richiama la fine degli anni settanta e i primi di quelli ottanta, bé in quel ristorante il menù non fa riferimento a nessun piatto tipico di quei tempi. Ecco io ho riflettuto molto su questo fatto, e la prossima volta consiglierò al proprietario di aggiungere al menù almeno una:

Penna alle "3P"


Il classico degli anni '70 prevede che vengano lessate le penne in una quantità oscillante tra gli 80 e i 100 gr a persona. In poco olio si facciano cuocere i piselli, freschi o congelati, aggiungendo poco brodo vegetale se occorre, finché i piselli non siano cotti. Aggiungete ora del prosciutto cotto fatto a tocchetti grandi, una sola fetta di mezzo centimetro di spessore è sufficiente per quattro persone. Fate rosolare a fuoco vivo e aggiungete 50 ml di panna fresca. A parte portate ad ebollizione 150ml di panna fresca, fermate il fuoco e incorporate 80 gr di parmigiano grattugiato. Scolate la pasta molto al dente e saltatela nel sugo, ripassatela ora al grill per 5 minuti. Impiattate e condite con la salsa al parmigiano. Mi preme una raccomandazione: usate panna fresca, e non quella che riesce a sopravvivere fuori dai frigoriferi e con scritto sopra "panna da cucina".

Bene ora devo scappare mi attendono nell'ordine una partita di pallacanestro con "Spaccaball" e "Chi?Che?Co?Io?", poi una ricostruzione della casa della "Lego" che sembro un carpentiere diplomato, una partita a "monopoli" che non ne posso più e poi vuoi che negli intermezzi non ci sia da fare una lottata o qualcosa di simile?

24 dicembre 2007

Buon Natale ?!



fatevi un mondo di auguri qui, oppure qui ci vuole pochissimo, un gesto che questi giorni abbiamo fatto decine di volte: quello di estrarre la carta di credito. Un paio di click e non avete neanche la scocciatura di riportare a casa pacchi ingombranti.

20 dicembre 2007

La musica del vino

Bisogna aver cultura, cultura musicale in primis per scrivere di questo argomento, il vino non basta più. I Sorsetti si sono sbizzarriti e hanno buttato lì un argomento tosto, difficile, per il tredicesimo vino dei Blogger: Vino e Musica.
Per me che se ascolto un pezzo musicale che mi piace e dico: lo voglio, poi davanti agli scaffali dei cd non ricordo mai chi fosse l'interprete, il lavoro sembra quasi impossibile. E dove vado allora a cercare l'argomento, mi metto ad ascoltare tutta la musica ascoltabile, o mi metto ad aprire tutte le bottiglie apribili? Come faccio? Penso... ricordo...

Matti aveva quasi due anni un inseparabile ciuccio con su scritto "I love papà" dove la parola love era sostituita da un cuore. Leo aveva otto anni, una parlata svizzero ticinese che ricordava tantissimo il dialetto del lago, nei ristoranti di Menaggio facevamo ordinare a lui: così da confonderci con la civiltà indigena. Giravamo per quella regione di confine tra la Svizzera e l'Italia, curiosavamo, guardavamo: Menaggio, Colico, Tirano, Pontresina, Maloja, Chiavenna, Menaggio. Oppure il contrario invece di salire scendevamo quella valle meravigliosa di vigneti arrampicati sull'impossibile. La Valtellina, enologicamente, è la mia grande passione: c'è dentro un grande vitigno: il nebbiolo, che sta sopra ad una terra dura, ripida e generosa, che si lascia lavorare da un uomo testardo, ma buono che sa come prenderla.
Ci fermavamo nelle cantine: Triacca, Rainoldi, Sertoli e Salis solo per citare quelle a cui sono affezionato. Compravamo il Prugnolo a Chiuro, il Prestigio, l'Inferno e il grande Sfursat a Tirano.

Giravamo in auto e suonavamo all'infinito i tre, a quel tempo, dischi di Davide van de Sfroos. Così le curve del passo del Maloja, sapevan di "Pulenta e galena fregia" Il paesaggio dell' Alta Engadina profumava di "Foemm e profemm", e lungo le vigne della Valtellina, cantavamo a squarciagola "Sugamara" con Matti impazzito a tenere il tempo con la testa.

Ecco, è questa la musica del mio vino, quando io apro una bottiglia della Valtellina o di prezioso Sforzato, risento le ballate di Davide, ripenso alla parlata di Leo e al ciuccio di Matti, ai capelli corti di Lella, al sole nelle giornata di ottobre, alla nebbia giù in basso, e tutto è chiuso nei profumi di quel bicchiere, anche la musica.



Lo Sfursat del Valtellina, è il vino più raro di quella regione. Si ottiene dopo un lungo appassimento dei grappoli di Nebbiolo, che qui, ultimo limite dell'italica terra, prende l nome di Chiavennasca. I grappoli vengono lasciati sulle ”mantavole” una sorta di telaio in legno con cannicciato, messe nei solaio sino a fine Gennaio e, in qualche occasionale vendemmia, anche fino ai primi di Marzo.
Il freddo dell’inverno "asciuga" l’uva facendogli perdere tra il 30 e il 40 per cento di peso, concentrando gli aromi, i sapori, i tannini nobili e gli zuccheri. È un vino rosso secco, di corpo, di grande carattere e calore. Passa 18 mesi in tonneaux di rovere, dopo quattro o cinque anni è in grado di esprimere eleganza, e armonia affascinanti, vicino ad un pezzo di formaggio di quelle valli o ad una polenta con il capriolo. Io aspetto il 2014 per questa bottiglia.



Questo post partecipa al Vino dei Blogger #13

17 dicembre 2007

Il profumo del Natale

Di cosa profumano i tuoi Natali?
Profumano di neve fresca, appena caduta? O forse hanno il sapore degli aghi di pino? Magari sanno di polvere, di quella polvere che si posa sulle scatole degli addobbi natalizi? Oppure sanno di legna, di camino, di cenere? O magari non sanno di nulla, magari non ti sei mai accorto del loro profumo. Allora fermati. Chiudi gli occhi,odora con la mente, e ascolta il profumo del Natale.

I miei Natali sanno del profumo che, la mattina, danno le lenzuola fredde fuori e calde dentro, quel profumo di umido che avevano le case di un tempo. I miei Natali profumano dell'odore degli armadi vecchi: quell'odore di legno antico e di palline di naftalina. Profumano di quell'odore che si attacca addosso ai cappotti dei vecchi la mattina a messa. Profumano dell' odore delle vecchie foto sul comò della camera di mia nonna. Profumano dell'odore del cassetto dove lei teneva le medicine. Profumano di fumo, di quell'odore che mi colpiva appena uscivo dalla camera, il fumo della stufa in cucina e del camino nello studio. Profumano del legno delle finestre bagnato dalla condensa. Ma soprattuto, i miei Natali profumano di brodo, di brodo caldo.

Di quel brodo messo a bollire la mattina di Natale, molto presto. Perché le donne della mia infanzia prendevano la prima messa, per restare a casa poi a cucinare. A preparare l'arrosto le verdure mentre quel brodo, fatto con la tacchina e la vaccina, andava, adagio, gorgogliante . Quel profumo che riempiva le stanze e invadeva la casa. I movimenti veloci di mia madre e mia zia, i grembiuli legati sugli abiti della festa. I movimenti più lenti e misurati di mia nonna, il suo grembiule grande per la sua piccola taglia.
I miei Natali sapevano di allegria, l'allegria di stare insieme, tutti nella stessa casa. L'allegria di poter parlare con mia nonna, mio zio e non di immaginarli dalle lettere scritte, con una calligrafia incerta e sgrammatica. L'allegria semplice fatta del poco, del quasi niente, ma di quel tanto che bastava.

Di quei Natali mi ricordo vaghe immagini, di più i profumi, meno i visi, meglio i luoghi. Poi mi ricordo di un Natale, un po' strano. Nel piatto invece dei cappelletti della tradizione, mi ritrovai un'altra cosa. Non so perché, forse qualcuno stava male, o non c'era stato tempo i giorni prima per preparare il piatto tradizionale. Ma io mi ricordo che, con grande sorpresa e in uno strano silenzio, quel Natale mangiammo i:

Passatelli


I passatelli in brodo sono un piatto Romagnolo, ma anche in questo caso il Montefeltro Pesarese fa da calamita e fagocita la tradizione (vero signorQ ?). Una tradizione che in Romagna considera questo piatto, un piatto delle feste, di tutte le feste ad esclusione del Natale, dove il cappelletto in brodo la fa da padrone. A parte il mio caso descritto sopra, vi garantisco che questa minestra è una succulenta e gustosa alternativa alla tradizione più fondamentalista.

La cosa difficile è la ricetta, la difficoltà è data dalle proporzioni degli ingredienti e dalla loro natura. Mi spiego la ricetta dice: 150 gr di parmigiano grattugiato, 150 gr di pane raffermo grattugiato, 4 uova, 30 gr di burro morbido (una ma variante), la buccia grattugiata di un limone, noce moscata, pepe e sale. Io faccio questo piatto da una vita, vi garantisco che le volte che mi è riuscito al primo colpo si contano sulle dita di una mano. Il rischio è che quando si buttano i passatelli nel brodo questi si disfino. Allora una volta preparato l'impasto lo si mette in frigo, per un'ora, poi si schiacciano i passatelli con il ferro, o lo schiacciapatate se non avete il ferro, con pochi di essi si fa una prova nel brodo bollente. Il passatello deve rimanere integro anche dopo i 3/4 minuti di bollitura, se ciò non si verifica aggiungete un uovo, ben battuto prima, a tutto l'impasto, e ricominciate da capo. Il fatto che la ricetta sia così complicata è dato da una serie di fattori che influiscono sugli ingredienti: il parmigiano è fresco o stagionato? Le uova sono grandi o sono piccole? La parte di albume delle uova è abbondante o meno? Il pane è vecchio di un paio di giorni o molto vecchio? Un consiglio evitare il pangrattato che si trova in commercio, in esso vengono macinati anche i panini all'olio, bestia nera per il passatello. Qui la ricetta del brodo e qui come chiarificarlo per farlo diventare un consommé.

Ah dimenticavo: di cosa profumano i vostri Natali?

15 dicembre 2007

Letterina di Natale

Caro babbo Natale
ti prego, porta un'altra agenzia media a Gianfranco Vissani. Una che a differenza di quella che ha ora, gli sappia curare l'immagine un pochino meglio. E che puntando sempre ai soldi (business must go better), eviti di fargli fare cadute di stile peggiori di queste. Altrimenti dopo le patatine, dopo le padelle dozzinali a 9 euri e 90, con un millimetro di spessore, che se ci metti una mazzancolla, quella anche dopo morta si alza e si va a suicidare da sola nella pattumiera, ci ritroveremo il maestro chissà dove.
Aivoglia a scrivere il Direttore che a noi italiani non ci si fila più nessuno.


12 dicembre 2007

Conta fino a ...

Io stasera volevo scrivere un post che parlasse di .... Ecco il fatto è proprio questo, non mi ricordo proprio di cosa volessi parlare. Perché mentre stavo scrivendo, non ora prima, è suonata la chiamata di Skype. Si dice "è suonata"? Bè di là in video c'era "Spaccaball" che mi doveva raccontare una cosa che lui oggi ha fatto a scuola. Mi ha raccontato che in pratica lo hanno fatto contare, e lui sa contare fino a 100 e allora ha cominciato: " Senti papà 1...2...3...4..." Forse volevo parlare di quel gallo che "abita" sotto la finestra della mi camera e che comincia a cantare già alle due del mattino. "...17...18...19..." O magari forse volevo parlare di questo sciopero degli autotrasportatori, che se non finisce prima di venerdì, io venerdì a casa non ci torno. "...27...28...29..." O magari parlare di quel mio amico che ora sta a Genova e che oltre ad aver finito gasolio, e provviste in frigo è anche rimasto con soli quattro toscani, e questo è male, molto male. "...37...38...39..." Forse volevo parlare del Natale e dell'iniziativa bloggeriana per aiutare chi ne ha bisogno intitolata MenuforHope "...47...48...49..." O forse non avevo molto da raccontare, o forse le cose che ho da dire hanno bisogno ancora di decantare. Quando Matti è arrivato tra 50 e 60 io avevo perso il filo del post. Perdo spesso il filo dei "post" quando sto con lui, anche se usare il verbo stare in questo caso è un po' forte. E anche a leggere storie con lui mi riesce poco, meglio inventarle e raccontarle, ma questa è un'altra storia. Alla fine della conta ci siamo messi a parlare di cibo, chissà perché finisce sempre così. E tu che hai mangiato papà. E mica gli spieghi dei camion, dei petrolio, dei blocchi, del fatto che l'insalata non c'era più, e che quello che avevo trovato erano solo pomodori:

Pappa al pomodoro

La risata gli fa buttare la testa all'indietro, e la sedia della mi scrivania, dove è seduto scivola verso il muro, ride forse a causa della parola "pappa". E come è fatta? E facile fai rosolare un paio di spicchi di aglio e una mezza cipolla fintanto che appassiscono allungando magari con dell'acqua. Poi aggiungi della polpa di pomodoro spellata e senza semi, la quantità dipende da quanti sono a mangiare. La fai andare per qualche minuto per "asciugare" un po' l'acqua. Alla fine aggiungi qualche pezzetto di pane raffermo un filo d'olio a crudo e mangi.
Ed era buona? Si era buona, Me la fai anche a me quando torni a casa? Si ma adesso vai a dormire e ricordati che devi scrivere la lettera a babbo natale, per chiedere quale regalo farti portare.
E qui è ritornato lo Spaccaball di sempre,facendomi notare che con babbo natale lui ci ha parlato al telefono e che non c'è bisogno di scrivere niente. Mi sono permesso di chiedere cosa avesse chiesto a babbo natale in quella telefonata, e lui mi ha risposto di non preoccuparmi che la questione era tra lui e babbo natale. Ora se qualcuno di voi avesse il numero di babbo natale per aiutarmi a scoprire cosa mio figlio vuole per regalo, mi farebbe un gentile favore.

09 dicembre 2007

A volte le strade

A volte le tradizioni ci si attaccano addosso come spezzoni di vecchie canzoni, che ritornano in mente senza tregua. Le canticchiamo per qualche nota, qualche nota soltanto, perché il resto lo abbiamo dimenticato. E così magari ti ritrovi, a Pasqua, a parlare e a regalare conigli di cioccolato al posto delle uova, perché vivendo in Svizzera non potevi fare altrimenti. Oppure se penso al cibo le mie tradizioni si legano al "cappelletto" perché la Romagna scivola oltre il confine che l'uomo ha disegnato, entra nelle Marche si allarga nel Montefeltro e giocoforza da un colpetto di coda oltre alla collina lì di fronte, e influenza anche qui dove siamo noi.

Quando ero un ragazzino, passavo i miei Natali da mia nonna, quella nonna. Ad ogni vacanza e così anche a Natale, la compagnia del paese si ritrovava a ravvivare l'unica solitaria strada di quel villaggio di ex minatori. Chi risaliva da mare come me, chi arrivava da Monza, i più da Ferrara. Era lì che la chiusura della miniera aveva trasferito buona parte della forza lavoro. I miei compagni di gioco erano, come me, i figli o i nipoti degli ex minatori, che tornavano "a casa".
Di cosa parlavi quando eri ragazzino? Di tutto, di quel mondo che ancora non ti toccava, di calcio, di musica, poco di scuola e qualche volta di cibo. Che mangi a Natale? E' stato lì in quella compagnia che ho sentito parlare per la prima volta di lei della "Salama da sugo Ferrarese". Sugo per me voleva dire pomodoro, condimento di pasta, e non era facile sentirsi raccontare di un salame grosso e rotondo che veniva bollito: non capivo. Facevo domande, e a forza di chiedere appariva anche un cucchiaio che serviva a scavare il salame. Poi faceva capolino il puré, e io cercavo con la logica di incastrare la pasta in tutto questo. Ci rinunciai, avevo tredici o quattordici anni e chiusi lì il mio rapporto con quella tradizione.

Ma a volte le strade riportano, direttamente, o indirettamente, nei luoghi dei misfatti della memoria. Ogni volta che, oggi, per il mio lavoro, passo davanti a Ferrara, cerco nei ricordi i visi di quegli adolescenti. Li vedo riapparire, come la nebbia che il lunedì mattina mi viene incontro in autostrada. I loro sguardi, le loro camminate, la bicicletta che ognuno sfoggiava, le risate di quel tempo. I giochi, i bagni al fiume in estate, le carte da gioco al "club" in inverno. Ripenso a quel gruppo di ragazzini che eravamo, e agli adulti che siamo e che saremo oggi. Mi fermo. Cerco quello che una volta avevo sentito nei racconti, quello strano salame da bollire, tipico piatto, mi raccontavano loro, MarchigianFerraresi, del loro Natale:

La salama da sugo





Ora il problema primo, è rimediare questo pezzo d'Italia culinaria, di cui per niente sentirete parlare in giro per i programmi di cucina, non saprei che indicarvi una qualunque macelleria nella zona di Ferrara. E poi per cucinarla, bé qui non c'è che da affidarsi al decalogo per la salama, che il buon Antonio Tombolini, ha raccolto in rete.

06 dicembre 2007

Abbinarsi in tutto

Raccolgo la mia borsa termica, apro il congelatore e infilo nelle tasche interne due piastre di ghiaccio artificiale. Esco. Oggi voglio comprare il pesce alle sette di mattina e non di sera. Una nebbia bastarda mi fa vedere cinquanta metri di strada, il traffico è scarso. Ogni tanto lungo la strada incrocio, ferme ai bordi, piccole figure sltellanti nel freddo: il bus della scuola non è ancora passato. Parcheggio, scendo e vado verso la porta. Chiusa. Guardo l'insegna, è proprio quella della pescheria, poi guardo dentro. Il locale è bianco, deserto, da qualche buco sui muri si affacciano grovigli di fili, degli aloni più scuri ricordano le forme di un banco, di una vetrina, di una cassa. Sembra di stare in quel film con Michael Douglas, dove tutto è un gioco. Un gioco assurdo e bastardo, come la nebbia, ma io stasera che ceno? Mi guardo intorno, magari sperando di trovare qualcuno a cui chiedere dove sia finita quella pescheria, magari si è trasferita a cento metri ma io non la troverò mai, magari invece è fallita, non che si possa tenere in piedi un'attività a cassette di sgombro. Ma non passa nessuno e se qualcuno passasse, dentro la nebbia, sul marciapiede opposto non lo vedrei comunque. Risalgo in auto, triste e sconsolato, debbo rifare il menu per la cena. Torno indietro, sulla strada, in punto in cui al Sile han fatto fare un ansa strettissima, c'è una chiesa, quattro case è un negozietto di alimentari. Il padrone mi accoglie in grembiule bianco da lavoro, annodato sopra un giaccone pesante, mi accoglie con fare cortese, timido, lo sguardo nascosto dietro alle lenti degli occhiali, un sussurro di voce, un viso magro nascosto da un cappellaccio imbottito con una lunga visiera. Mi guardo attorno, la merce è disposta con cura, ma lo spazio è poco e la fa sembrare accatasta, i biscotti troppo vicini ai saponi, i formaggi appoggiati sopra e dentro al banco con cartellini scritti a mano per decretarne la provenienza e la DOP. Vago per l’ovale che il negozio disegna, uno spazio lungo e stretto che diviene un corridoio circondato da prodotti. E un negozio che non fa venire troppe idee, anzi le poche che hai te le confonde, le mischia diluendole e le annacqua rendendole informi, piatte e le senti uscire dalla porta come un secchio d’acqua gettato sul pavimento, saturo di sapone ma senza schiuma.
E' solo la zona della verdura che evita di farmi fare la stessa fine del secchio d’acqua. Ci sono due cassette di radicchio trevigiano, ci mancherebbe, freschissimo ! Non ho idea della ricetta ma ne prendo due ceppi, magari per mischiarli all’insalata che già ho, qualche pera da usare come dolce, un etto di prosciutto e una fetta di quel formaggio lì, che sembra Asiago ma che ha la crosta nera. L’ uomo taglia, affetta, pesa, incarta, chiude con lo “scoc” e scrive con un penna, che appare e scompare veloce dal taschino, l’importo di ogni cartoccio. Era tempo che non vedevo questo gesto ormai “antico” e soppiantato dalle bilance elettroniche che sputano quei cartellini appiccicosi.
Esco deluso e triste e me ne vado al lavoro rimandando alla sera il pensiero della cena, probabilmente prosciutto e insalata, pera e formaggio… E invece no il mio spirito indomito guidato da pscicofame atavica, si inventa un:

Risotto al radicchio con pere caramellate e asiago



Dosi per 4 anche se ero solo.
In una casseruola fate caramellare due pere fatte a tocchetti piccoli per una decina di minuti, poi tenete poi da parte. Nella stessa casseruola lasciate ora andare a fuoco basso in poco olio un trito di scalogno e di cipolla. Appena prende colore aggiungete le pere, e un ceppo di radicchio trevigiano tagliato sottile. Lasciate che il radicchio appassisca e poi aggiungete il riso 80g a persona che lascerete tostare a fuoco medio per un paio di minuti. Ricordate che il riso deve “scrocchiare” nella padella. Sfumate con del vino bianco meglio se dealcolizzato , e poi cominciate a cuocere il riso aggiungendo di volta in volta del brodo vegetale. Quando il riso sarà cotto, che vuol dire al dente, spegnete il fuoco, aggiungete 200g di Asiago DOP grattugiato grossolanamente, una noce di burro e mezzo ceppo (la parte colorata superiore) di radicchio trevigiano tagliato finemente. Mantecate finché formaggio e burro non siano sciolti completamente, coprite con un canovaccio lasciate riposare per un paio di minuti


Non ci ho bevuto il bianco per sfumare, non lo cito neanche, ma va da se che terra chiama terra, un bianco veneto con una bella alcolicità ci muore, mi viene in mente, così al volo, un Soave Superiore.
Comunque non è facile "abbinarsi", credete. E poi mi chiedo, ma a che ora cantano i galli?

04 dicembre 2007

I post(i) del cibo

La stube ha le pareti in legno, un grande banco bar di fronte all'entrata. Alla sinistra, di questo, una grande sala accoglie i pochi avventori del pomeriggio. Chi entra batte i piedi e si toglie la giacca a vento. Il mucchietto di neve che si crea, resiste qualche minuto prima di sciogliersi definitivamente nel calore del locale. Nella sala gli sgabelli, sono ricoperti con cuscini di pelliccia bianca. Sotto le grandi finestre, una panca corre senza soluzione di continuità. I tavoli formano un piccolo anfiteatro, che si affaccia sulla sala. La neve sui vetri ha scolpito strani disegni. Il vento, silenzioso da qui dentro, fuori si aggrappa ad ogni superficie della terrazza. Ghiaccia la condensa e lascia la sua impronta, in tanti ghiaccioli lattiginosi a forma orizzontale. Ho letto da qualche parte che questa formazione di ghiaccio, ha un nome particolare. Mi sforzo di ricordarlo, o di ricordare dove lo abbia letto. Son quelle cose che ti si piantano in mente e non escono. Chiudo gli occhi per concentrarmi. Eeeiiine schwarz teee. La cameriera appoggia la tazza di vetro sul tavolo di fronte a me, con una cantilena lenta e lunga. Erano tre le "e" ne sono sicuro, se ne va annunciando un: eine moment.
Sotto di noi la valle è solo immaginaria, nascosta dal turbinio dei fiocchi. Dalla foschia, sbucano le punte dei grandi abeti del bosco, vuoti di neve, incuranti della tormenta. Nel locale siamo rimasti in pochi, un basso brontolare, scandito da qualche colpo, ci da la dimensione di cosa stia accadendo fuori. Dentro è caldo. Me ne sto seduto, le gambe allungate sotto il tavolo, la mia tazza di tè che fuma lenta. Le spalle appoggiate alla spalliera, che sta contro la finestra, da lì alla neve, e poi al vento. Mi sdraio. Volo, sopra la valle, in un'immaginaria nuotata a dorso, portato dal vento fino alla montagna di fronte. Atterro. Con un movimento lento, cullante, come quelle foglie che cadendo ritardano il toccare la terra; come a voler ritardare la fine. Una risata, più forte delle altre mi riporta nella stube. Ho ancora gli occhi chiusi, in un torpore stanco, il nome del ghiaccio non molla, è ancora lì, anonimo a rubare la scena agli altri pensieri.
Sollevo le spalle e allungo una mano verso la tazza. Sorseggio il te bollente, mi riappoggio alla spalliera. La tazza in equilibrio sul petto, le mani incrociate intorno, il calore che le scalda e allunga il suo tepore al viso ancora freddo. Fame. Il te ha risvegliato la fame. La cameriera va veloce verso il tavolo accanto, Prende gli scontrini e su un taccuino, della iegermaister fa il conto. La penna scorre le cifre, la mente somma. Mentre annuncia l'importo apre un grande portamonete nero che era infilato in una tasca laterale del pantalone, ritira le banconote, restituisce monete, chiude, rimette nella tasca, solleva la testa e si guarda intorno. Mi vede. Gli sguardi si incrociano, non muovo un muscolo, aspetto, con il te caldo sul petto che sale e che scende al ritmo del mio respiro. Spalanca prima gli occhi e poi la bocca, e quindi fugge in cucina. Ritorna il piatto in mano, la faccia mortificata e la sua voce che sembra recitare un rosario di enciuldigen, enciuldigen, .... Mi mette il piatto sul tavolo. Sorrido. Lei risponde al sorriso, riconquista la calma professionale e poi annuncia: Eine Apfeeeel ....

Strudel


Stavolta le "e" mi sembravano quattro. Oggettivamente quattro, e il nome del ghiaccio non mi viene ancora, ma certi cibi mi piace mangiarli in certi posti.

Il segreto dello strudel, sapevate che in tedesco significa vortice, gorgo, turbinio? La causa è nella spirale che la pasta disegna arrotolandola. Dicevo il segreto è nella pasta, io ne conosco due tipi, uno sottile e croccante,oggi non parlo di quello e uno più consistente, di origine "nonnesca" e quindi parlo di questo. Quindi vi occorrono 300 g di farina 100 g di burro ammorbidito, un uovo, 50 ml di acqua, 30 g di zucchero e un pizzico di sale. Lavorate gli ingredienti fino ad ottenere un impasto morbido che lascerete riposare al caldo per venti minuti. Per creare un ambiente caldo all'impasto, riponetelo in un piatto che coprirete con una bastardella che avrete scaldato prima sul fuoco. Ora tirate l'impasto con il mattarello fino ad ottenere una sfoglia sottile, squadratelo con un coltello. Cospargetelo con del pan grattato tostato su di una padella, mischiato a zucchero semolato. Abbiate cura di lasciare due centimetri liberi per parte e di coprire d'impasto solo per 2/3 della lunghezza pasta. Aggiungete ora quattro mele renette tagliate a tocchetti e bagnate appena di rum, dell'uva sultanina ammollata in acqua calda per una ventina di minuti e strizzata, e della frutta secca a piacere, non fate mancare le noci, triturata al coltello. chiudete arrotolando e saldate i bordi spennellando con del burro fuso. Disponete lo strudel su di una placca coperta di carta forno imburrata. Cuocete in forno a 180° per 45 minuti. Alla fine spennellate ancora con il burro fuso e cospargete di zucchero a velo.

Aldilà della ricetta, mia o di altri, e aldilà della vostra bravura, ci sono piatti che si apprezzano meglio quando il contesto ambientale, si armonizza con essi. Che vuol dire: evitate di fare lo strudel se la giornata non è uggiosa o ancor meglio invernalmente innevata.