18 luglio 2011

Iamme ah



Non credo che andassi già a scuola, o forse si. E comunque se andavo a scuola avrò fatto si e no la seconda elementare se non la prima. Non mi ricordo molto, ma quel poco che la mente ha conservato è una fotografia nitida dai contorni sfocati. Se muovo lo sguardo della memoria, quello che metto a fuoco sono altri ricordi, altri momenti della stessa casa che, per osmosi, si associano a questo ricordo. Pensieri più che altro, vaghe associazioni di sapori, colori: una scatola marrone con il disegno della pizza sopra, il profumo che usciva dal forno. Buono, una falsa sensazione di piacere che oggi trovo solo in rarissime pizzerie.
Pizzerie che nella mia infanzia non esistevano. Non chiedetemi perché, ma per la prima pizza al piatto ho aspettato di essere diciassettenne, fine anni settanta o giù di lì. Prima di quel tempo, la pizza era rarissima e solo al taglio quando passavo le estati a Viareggo, o quella in scatola della "Catarì" che preparò quella volta mia madre.

Da lì in poi è stato un po’ come quando tutti dicono che un certo film è bello, bellissimo, ma a te non piace proprio. Te ne stai zitto ecco. Magari non commenti, o lasci che il dubbio venga interpretato, ammiccando distratto per far capire che non era proprio ‘sto granché. Per la pizza è andata un po’ così, tendenzialmente pochi posti che mi dessero soddisfazione, parlo sempre delle mie zone si intende, e quando ne trovai uno che mi piaceva, anche se era un filino fuori mano, mi chiuse le porte in faccia dopo un paio di anni diventando un semplice bar. Da lì ho cominciato a farmela, chiaramente seguendo le istruzioni, che oggi considero “bestemmie”, che un qualsiasi mortale trova sui pacchi di farina: venticinque grammi di lievito per mezzo chilo di farina, oggi ci impasterei trentatre chili virgola tre periodico di farina.
Diciamo che rimaneva giusto il piacere dello stare insieme, e di qualche amico d’oltralpe che apprezzava oltremodo. Io continuavo a nicchiare, ammiccavo storcevo la bocca e biascicavo qualche si, senza vantarmi troppo.

Poi ho aperto questo blog, un paio di mesi dopo ho anche messo la ricetta, di quel tempo, della pizza. Un post di qui mi vergogno profondamente, oggi, ma che non cancello, perché è il segno che solo i coglioni non cambiano mai idea. Da lì ho iniziato a cercare informazioni, a sperimentare ricette, a spiare i forum o blog di altri, a provare pizzeria vere, a chiedere, "Huè guagliò mo basta addumannà !!" . Diciamo che ad un certo punto, dopo qualche anno, sono arrivato a qualcosa che ho considerato “straordinario”. Una domenica decido che si pranza con la pizza, una ricetta di Paoletta rivista e rimaneggiata, 36 ore di maturazione dell’impasto, in teglia con forno elettrico. Una sorta di apoteosi, godimento allo stato puro, quasi. Esco in giardino tutto soddisfatto e il vicino: l’amico Massimo, con cui condividiamo la passione per il cibo, sforna una delle prime pizze cotte con il suo nuovo forno a legna, e me la passa da sopra la rete che divide i due nostri giardini.

Il mondo addosso mi è crollato: fragrante un cornicione che si scioglieva in bocca, un calcio nel basso ventre e mentre in ginocchio cerchi di riprenderti uno dritto in bocca, chiaramente una metafora, il calcio, non la pizza. E allora giù sotto a riprovare, pietre refrattarie, alta idratazione, maglia glutinica accentuata, glutine inesistente, puntata corta, puntata lunga, frigo, temperatura ambiente; e se mi son dimenticato qualcosa mettetecelo voi che comunque, io, l'ho sperimentato. Dall’altra parte della recinzione nel frattempo si sfornavano pizze che avevano una curva di miglioramento come le mie, ma che erano partite molto più avanti. E allora ? E allora ...

Mi son comprato il forno a legna



E ora volete la ricetta !? Si ma quale ? La 1, la 2, la 3 o la 4 o ... eh si perché ne ho provate tante:

1
Impasto a mano, maturazione di 48 ore, puntata di 40 ore in frigo a 6°C, staglio e appretto a temperatura ambiente: cornicione enorme, da arrampicarcisi su e tentare il suicidio, bolle come quelle che i pagliacci fanno al circo, centro evidente e spesso.

2
Impasto a macchina, maturazione di 30 ore, puntata di 40 minuti, staglio e appretto in frigo a 6°C, 4 ore prima della cottura rigenero e temperatura ambiente: cornicione evidente, non ci sali ma ci resti aggrappato con le mani. bella "leopardatura" con tanto di ruggito, centro sottile.

3
Impasto a mano, maturazione di 14 ore, puntata di 9 ore a 19°C, staglio e appretto a temperatura ambiente. Cornicione alto e fragrante meno evidente che nelle maturazioni lunghe, ma se lo metti in bocca scompare velocemente, sciolto senza riserva.

4
Impasto a macchina, maturazione 14 ore puntata di 40 minuti a temperatura ambiente, staglio e appretto di 9 ore a 19°C, 4 ore prima della cottura rigenero del panetto e fine appretto a temperatura ambiente: cornicione evidente e "leopardato" pizza fragrante e centro consistente.

5
Impasto a macchina, maturazione 12 ore puntata di 40 minuti a temperatura ambiente, staglio e appretto di 8 ore in frigo a 6°C e 4 ore a temperatura ambiente: cornicione meno evidente di tutte, pizza morbida che puoi piegare a portafoglio senza problemi, centro sottile.


E allora prendiamo la numero 3:

1600 gr di farina non troppo forte W 250/260 (Spadoni da supermercato se non avete una Caputo Pizzeria)
1000 gr di acqua
1,2 gr di lievito di birra (in inverno raddoppiate)
50 gr di sale

Sciogliete il sale nell'acqua aggiungete metà della farina non setacciata e impastate fino ad ottenere una crema liscia e uniforme. Aggiungete il lievito di birra che avrete spezzettato in poca farina, poi continuate con la restante farina aggiungendo un cucchiaio alla volta, aggiungete il cucchiaio successivo solo quando l'impasto avrà preso il precedente. Occorreranno circa 20 minuti, e se siete bravi vi avanzerà anche un po' di farina. L'impasto deve risultare morbido e non troppo liscio. Mettete in un contenitore ermetico e lasciate riposare in un luogo fresco max 19°C. Dopo otto ore circa formate i "panielli" di ca. 240 gr (ne vengono 10 con queste proporzioni). Lasciate ancora maturare, sempre in contenitore ermetico, per altre 6 ore a temperatura ambiente non superiore a 25°C. Stendete a mano (Vietato il mattarello) condite a piacere e poi infornate per 60/90 secondi a seconda della temperatura del forno a legna 350°C / 400°C

Questo tipo di impasto potrebbe essere anche usato in forno elettrico, usando una pietra refrattaria come base che deve essere portata almeno a 200°C, posizionatela a max 10 cm dalla resistenza a cielo del forno. Infornate la pizza quando la resistenza è accesa, in tre minuti dovreste avere una pizza simile a quella cotta in un forno a legna ma simili solo in parte.
Per essere tranquilli in un elettrico seguite questa ricetta o quella del "Maestro" Adriano.



Iamme ah

07 luglio 2011

Incatenato ai ricordi


C’è un’aria che pesa. Che pesa come tutte le sfighe del mondo. Un cielo più basso dei minareti delle moschee, nero, rotondo di nuvole gonfie, come i grassi osti dei locali che affollano questa viuzza, stretta e scoscesa.
Arranco tra la cacofonia di tutte le voci che mi urlano contro, raccolte in questo unico suono, che ogni tanto si mischia al clangore dei taxi intasati nelle vie laterali. Il giallo è il colore vincente fra le auto in coda perenne in questa città. Giallo canarino carico, giallo antico, giallo arrugginito, giallo fiammante pronto allo sfregio, giallo taxi e giallo privato. Tassisti, ex tassisti, finti tassisti e taxi di seconda mano. E poi mani inchiodate sui clacson, braccia come appendici dei volanti, o volanti appendici di braccia al volante stesso. Si consumano più trombe di clacson che chili di olio ad Istanbul.

Ogni tanto la mia guida mi indica qualcosa da guardare, veloci attraversiamo strade e stradine lui parla, cita la storia, tutta la storia di cui questo posto è impregnato. Tremila anni sotto ai miei passi, tremila anni tra le mura rifatte. Cammino qui “sull’opposto del cieco” dove l’oracolo ha indicato il punto della fondazione di questa città, la città del re Byzas. Ogni tanto tra questi pezzi, oramai moderni, di storia antica, si affaccia il corno d’oro, lontano, sinuoso come un grande serpente, si infila nella terra. Non brilla al sole di questo tramonto grigio, come nelle cartoline che ogni tanto si affacciano, sembra più una grande pozza di melma nera e marrone, attraversata da un paio di ponti, da un paio di navi, da un paio di mondi. Rimane lì, del tutto anonimo a quell’aurea disegnata dai libri di storia, dai romanzi, e dalle leggende. Neanche la catena che lo chiudeva riesci ad immaginarti più, incastrata oramai tra il traffico e i palazzi.

Un profumo di pioggia imminente mi assale, lo respiro preoccupato. Guardo Mustafà correre davanti a me, driblare il flusso umano che ci viene incontro: siamo gli unici in pausa pranzo, per tutto il resto del mondo è l'ora del pranzo. Non è un quartiere di affari, è un posto per turisti segnato dai pantaloni corti, le snickers degli americani, le ciabatte dei tedeschi, le tuniche dei locali. Accelero il passo, una grossa goccia mi colpisce precisa, vedo Musta indicarmi qualcosa, lo sguardo soddisfatto da scopritore che cerca consenso. Seguo il suo braccio, la mano e poi il dito, oltre: la grossa torre di Galata, rotonda con il suo tetto a cono, troneggia presuntuosa, affacciandosi sulla piazza, mi volto verso il mare e verso il "corno", certo che una catena da qui fin dall'altra parte ! E poi arriva.

Lo scroscio d'acqua mi sorprende quasi al centro della piazza. Corro e forse per una teoria fisica che non ho ancora capito, peggioro le cose. Prendo una strada, ora, in leggera discesa, mi sembra che Mustafà si sia infilato giù di qua, ma non lo vedo. La pioggia ha fatto saltare gli “schemi di gioco”: lo strombazzare del traffico ha raggiunto livelli allarmistici, la gente corre in maniera disordinata, le tende, le pensiline, i rifugi alla pioggia sono assaltati, lungo il bordo del marciapiede già scorre un fiumiciattolo di acqua che trascina con sé la lordura delle strade. Cerco con lo sguardo un ancora di salvezza, la giacca è ormai zuppa e sento la sensazione decisa del bagnato sulle spalle. Poi l’ancora mi afferra per un braccio, un uomo grosso e ingombrante vestito di una maglietta che una volta è stata bianca, mi butta dentro ad un locale: una sorta di budello lungo e stretto un bancone nel fondo circondato dai fumi della cucina, qualche tavolo lungo le pareti e uno stretto passaggio al centro. I tavoli sono tutti occupati in uno se ne sta seduto Mustafà mi sorride beato, miracolosamente asciutto e mi indica un grosso piatto di:

Boulgur di pesce e verdure


O come preferite chiamarlo: bulgur, bulghur, boulghour, boulgour, boulgoul, boulghoul, bulghul o bulgul non è altro che il grano cotto al vapore, essiccato e poi ridotto in piccoli pezzi. Lo lasciate ammollare in acqua fredda per una decina di minuti e poi lo lessate in una quantità di acqua pari al doppio del suo volume per una quindicina di minuti, scolate e lasciate riposare per qualche minuto e poi lo servite caldo come se fosse un pilaf o freddo come taboulé.

La mia ricetta prevedeva una cottura in un fumetto di pesce, nessun tipo di “sgranatura” che consiglio nel caso di taboulé, un ripasso in padella a fiamma viva, dove precedentemente avevo cotto in poco olio delle zucchine a tocchetti, aggiungendo a fine cottura dei pomodorini datterini che hanno appena sentito il calore, salatura in ultimo per evitare i liquidi.


Dopo aver fatto insaporire il Boulgur, l’ho servito accompagnandolo ad una insalata di mare tiepida fatta di seppie, mazzancolle, cannocchie, “moscioli”, vongole e polipo. Tutto condito con un ottimo olio extravergine di Cartoceto.

20 giugno 2011

Magari serve

È ritornato il sole. Un sole che ancora non bolle, un sole fresco, piacevole. La galleria in cui mi infilo me lo nasconde di nuovo, come ha fatto quella prima, e quella prima ancora. Riappare alla fine, come se mi aspettasse dall’altra parte del buco, per accompagnarmi in questa giornata. Lui per una strada io per quella opposta. Vado verso il mare, ma per fermarmi prima, pochi chilometri dalla costa, in mezzo alle colline. Un altro mare fatto di vigne, poi campi di grano, strisce di macchia a circondare i "fossi" che abitano le depressioni di questa terra. Poi di nuovo su a risalire: grano, vigne, stradina, paese, e poi di nuovo giù, ancora così fino al mare.

Un senso di ansia mi prende alla gola, un lieve fastidio che mi fa tirare un paio di bei respiri . Mi capita quando devo incontrare persone che non conosco o che conosco poco. Un senso di ansia che mi divide, tra l'io che dice ma che ti frega. E quello che dice: tornate a casa, lascia perdere, che ti frega! In effetti. Magari alzo il telefono e chiamo: un imprevisto, mi hanno anticipato il volo di domenica sera, sto male, la mamma, il figlio quello piccolo che fa sempre più effetto rispetto al grande. Macché, sto benissimo stanno tutti bene. O meglio io ho questo velo di ansia e questo senso di colpa per il tempo che sto rubando a quelli lasciati a casa. Ecco, è anche il senso di colpa a pesare: un furto di due settimane, il doppio rispetto alla consuetudine ricorrente di lavoro in trasferta.

A che servirà ? Ma servirà ?

Magari si.
Magari serve a conoscere posti nuovi, dove non passerei neanche se mi pagassero, ma dove adesso passo, causa mia distrazione, forzatamente guidato dalla voce della scatoletta attaccata al cruscotto.
Magari serve a scoprire un posto che sicuramente non conosco e che forse avrei dovuto conoscere, e che se avessi conosciuto, avrei riconosciuto.
Magari serve a riabbracciare un paio di vecchi amici abbastanza nuovi, che conosco da quando sono qui, a scrivere.
Magari serve a conoscere chi conosco da tempo, ma non ho ancora mai conosciuto, se non per quello che scrive.
O magari serve per imparare a fare le:

Freselle

(direttamente dai corsi di Paoletta e Adriano)
Ingredienti:

600 gr di farina così miscelata: 525 gr di “00” per pane + 75 gr di rimacinata di grano duro
120 gr di LM appena rinnovato
5 gr di lievito di birra fresco (LB) (aumentare fino a 10 gr in inverno)
14 gr di sale
1 cucchiaino di malto
420 gr di acqua a Temperatura Ambiente (TA)

Sciogliere il LM a piccoli pezzetti in 350 gr di acqua direttamente nel bicchiere della macchina ( o in una ball capiente se si impasta a mano).
In un contenitore a parte sciogliere nella restante acqua il LB e il malto.
Aggiungere metà della farina nel contenitore grande e avviare la macchina a vel.1 con la foglia (a mano impastate con una spatola direttamente nel contenitore) quando la farina sarà assorbita aggiungete la restante acqua con LB e la metà (25% del tot) della restante farina. Continuate ad impastare fino all'assorbimento. Aggiungete il sale e la farina rimanente, fate assorbire. A macchina inserite il gancio e fate andare a vel. 2 per 15 minuti finché l'impasto non pulisce la tazza e incorda. A mano trasferite sul piano di lavoro appena infarinato e lavorate a mano e spatola incorporando più aria possibile.

Disponete sul piano di lavoro e lasciate riposare per 30'. Diamo una prima piegatura di sovrapposizione e lasciamo riposare per altri 30'. Torniamo ad allargare senza sgonfiare l'impasto e facciamo le pieghe di “tipo 1” e mettiamo a lievitare, in un contenitore chiuso da pellicola a TA, fino a oltre il raddoppio 3-4 ore.

Allarghiamo l'impasto con delicatezza e poi formiamo dei panetti da 100gr circa e lasciamo lievitare sul piano coperti per 50 min circa. Foriamoli inserendo un dito con decisione, e poi giriamoli sul dito per formare l'anello, allarghiamo molto il foro e rotoliamo l'anello tra le mani. Mettiamo su una placca con carta forno. Lasciamo raddoppiare, poi inforniamo a 230° per ca. 20'.
lasciamo intiepidire e tagliamo a metà, facciamo asciugare in forno con tagli rivolto in alto a 150° per circa 25' con sportello a fessura.

Nella foto sono condite con i classici pomodorini aggiunti di olive taggiasche, In seconda battuta con melanzane grigliate e condite con olio e una spruzzata di aceto di vino.

La tazzina?
Nella tazzina giace una spuma di pomodoro, siffatta: Fate a pezzi 400gr di pomodori ramati, scottatoli in una scodella antiaderente a fuoco medio per un 15 minuti. Passate il pomodoro con il passa verdure, e poi con un colino finissimo. Rimettete sul fuoco finché non raggiunge il bollore e fate andare per 10 minuti a fuoco basso. Pesate 200 gr di salsa (dovreste averne tanta così), conditela con sale, pepe (macinato finissimo), olio al peperoncino, mezzo cucchiaino di zucchero e, se piace, un poco di salsa Worcestershire. Incorporate 1 foglio di colla di pesce, che avrete ammollato in acqua fredda, ben strizzato. Lasciate raffreddare e poi inserite tutto in un sifone, caricate con una cartuccia e riponete in frigo capovolto per almeno 2 ore. Al momento di servire decorate con pomodorini secchi o confit.


13 giugno 2011

La prima volta


Il maresciallo sta camminando su e giù lungo la stanza, misura a grandi passi l’ufficio: tre passi e mezzo soltanto. Da una parte la sua scrivania, di lato a questa, sulla sinistra, la finestra che da sul giardinetto della caserma, dalla parte opposta un piccolo tavolino con una macchina da scrivere, e una sedia che sembra di quelle dei banchi di scuola. Sopra la sedia un altro carabiniere, le spalle della giacca con una punta di freccia rossa. Di fronte alla scrivania, tra la finestra e il banchetto di scuola ci siamo noi quattro. Fa caldo il sole di agosto picchia di brutto nel pomeriggio pieno, le cicale "ragliano" che sembrano un macchinario a motore: la finestra che da sul giardinetto è aperta, ogni tanto folate di vento caldo vengono dentro, a farmi sudare più di quanto già non faccia. Con la coda dell’occhio osservo la strada oltre il giardinetto, se qualcuno dovesse passare, potrebbe anche vederci, vedermi. E se qualcuno mi vede in caserma, e lo dice a mio padre, mio padre mi ammazza. Sicuramente mi ammazza. Oppure mi riempie talmente di botte che, forse, sarebbe meglio se mi ammazza. Quelle morti, subito, istantanee.

Ecco adesso se potessi rimettere indietro l’orologio del tempo … Ci deve essere un modo per fermarsi, per dire: “no fermi, non vale”. Come quando giochiamo a nascondino e uno non riesce a trovare un nascondiglio, e allora si ferma tutto il gioco. E no, appunto, non vale. Si, non vale neanche fermare il gioco. Se in 100 secondi non riesci a trovare un nascondiglio, sei tu che hai problemi, mica il gioco. Comunque rimetterei indietro l’orologio del tempo, fino a ritrovarmi sulle scalette della chiesa quando qualcuno ha detto, “andiamo giù a Camartoni a fregare le ciliegie da Mazzi" Ecco io se potessi adesso direi “No, raga. Aspettate.” Invece siamo partiti, la strada in discesa ha aiutato lo slancio e neanche in cinque minuti ci infilavamo tra le vecchie case della Croce. L’orto di Mazzi in bella vista, la recinzione con la rete a rombi larghi che poco può contro lo slancio di questi dodicenni eccitati dal "vietato". Un salto e via chi si arrampica sull'albero, chi sotto tiene la maglietta allargata per raccogliere i frutti, le foglie, i rami. Ma come i rami? Ma come ti è venuto in mente di spezzare un ramo? Per far prima ! Per far prima? Ma sei deficiente ?! I rami ? Se c'è una cosa che ti insegnano a non rompere i rami degli alberi da frutto.

E’ che a dodici anni se non sei stupido, sei deficiente, se poi di dodicenni ne metti insieme quattro non fai 12x4=48 per qualche strano motivo di matematica che si mischia ai neuroni 12x4 in questo caso fa un 8 scarso.

“Signor poliziotto …!” Qualcuno rompe la sequenza dei miei pensieri. A parlare credo sia stato Massimino. Non ha fatto in tempo a finire “…ziotto” che il maresciallo che camminava per la stanza in maniche di camicia rimboccate, la giacca appoggiata sulla sedia, è diventato tutto rosso e si è messo a urlare. Urla che sembra matto, mi urla in faccia convinto che a parlare sia stato io. Urla talmente tanto che mi tremano le gambe. Il mucchio di ciliegie appoggiato sopra la sua scrivania è scomparso dietro di lui. Ciliegie calde prima, figurati adesso, caldo su caldo. Il ramo spezzato, invece, lo tiene in mano, ancora, il signor Mazzi, in piedi dietro di noi. Sembra un bastone tipo quello del papa, solo che è pieno di foglie, che si stanno appassendo, e di ciliege. Ogni tanto una ciliegia cade e allora il signor Mazzi la raccoglie e la tiene nella mano libera. Intanto le urla continuano "CA-RA-BI-NIE-RE, CA-RA-BI-NIE-RE "Se continua ad urlare giuro che mi metto a piangere. Speriamo che passi mio padre, così mi vede mi ammazza ed è tutto finito.

Poi è un attimo, si sente solo il suo respiro, son tutti in silenzio, non che prima parlasse qualcuno, ma adesso non respirano neanche. Aspettano qualcosa, qualcosa da me, perché tutti gli occhi sono puntati su di me: i miei amici mi guardano, il carabiniere alla macchina da scrivere mi guarda, il signor Mazzi mi guarda e anche il maresciallo mi guarda. Io lo guardo mentre piegato sopra di me, paonazzo dall’arrabbiatura, punta il dito indice all’altezza dei miei occhi. Suggerite ! Ecco mi passa per la testa lo stesso pensiero che ho, quando la prof mi chiama alla lavagna per l’interrogazione: suggerite per favore ! Ma per quanto resto in ascolto non sento nessun sussurro. Ha fatto una domanda. Si sicuramente ha chiesto qualcosa. Ma cosa ? Una goccia di sudore mi scivola lungo la schiena, sempre più veloce, e per come sono seduto rigido e teso in avanti, non c’è nulla a fermarla, si infila nelle mutande e arriva fin giù dentro alle chiappe. Ingoio, prendo fiato e …
“Sc... scusi … signor ... Poliziotto, mi ripete la domanda ?!”

L’avessi mai detto in due secondi due, ci ritroviamo tutti fuori dalla caserma, con il maresciallo che ci urla dietro, strappa i fogli dalla macchina da scrivere per tirarceli. Abbasso la testa mentre un foglio mi si volteggia davanti c’è scritto:

“lajsd kjaskjqj kjsadlkudo lakjsdaklsu kasjlkjdlqkje iqjkajkj jkaljsda jkdhqo khsakjh pakshdiuywp​qiw djaskj dqwi ojdoijdkajio hjw d oi jdijo ….” ma che lingua è ?

Restiamo in mezzo alla strada la porta della caserma sbarrata, tesi, disorientati, ma anche rilassati, il signor Mazzi col ramo in mano ci guarda la faccia in una smorfia di diniego. Ma come poliziotto ? Quello è un carabiniere !
Visto mai un carabiniere nei telefilm: Staschi e Ach sono poliziotti, Ponciarelli è un poliziotto, Kogiac era un poliziotto, e anche sulle strade di San Francisco, dove c'è quello con il naso grosso, tutti poliziotti, mai visto un carabiniere.
Tutti annuiamo alle affermazioni esperte di Massimino. Il signor Mazzi butta il ramo e se ne va. E con le ciliegie che ci facciamo ?

Strudel di ciliegie con crema frangipane


Per la pasta tirata dello strudel
150 gr di farina per dolci
80 gr di acqua tiepida
1 cucchiaio di olio di oliva
1 pizzico di sale
1 cucchiaio di aceto di vino bianco

In una scodella impastate gli ingredienti fino ad ottenere un impasto liscio e morbido, che farete riposare in frigo per una mezz'ora.

Per la crema frangipane
125 gr di mandorle macinate (o farina di mandorle se preferite minor consistenza)
100 gr di burro
125 gr di zucchero
50 gr di farina setacciata
1 uovo intero
1 tuorlo
Con una spatola amalgamate il burro morbido con lo zucchero, aggiungete le mandorle, incorporate l'uovo e il tuorlo, e poi la farina. Inserite tutto in una sac à poche e lasciate per mezz'ora in frigo, per riacquistare consistenza.


Preparazione finale
400 gr di ciliegie snocciolate
2 cucchiai di mandorle tritate o pan grattato
Burro fuso per spennellare

tirate la pasta con il mattarello stendendola su di un canovaccio infarinato, lavoratela a lungo fino a renderla sottile e trasparente, se la pasta resta troppo spessa risulterà dura dopo la cottura. Imburrate tutta la pasta con un pennello e del burro che avrete fatto fondere. Cospargete 1/3 della pasta con un po' di farina di mandorle o del pan grattato, disponete un poco di crema frangipane sopra alla zona dove avete cosparso le mandorle, stendete le ciliegie, ricoprite con la restante crema frangipane (io per la cronaca ho anche aggiunto gocce di cioccolato) e richiudete a rotolo, avendo cura di imburrare ancora mentre arrotolate.

Infornate a 180 gradi, per circa 40 minuti a metà cottura spennellate lo strudel, con un rosso d'uovo a cui avrete aggiunto due cucchiai di zucchero di canna, che deve rimanere consistente.

Io dovrei confessare altre piccole cose:

  • la distruzione di tutti i vetri delle finestre di una casa che consideravamo "abbandonata", i proprietari vivevano a Ferrara e quella era la loro casa di vacanza;
  • il furto di varie cose nell'alimentari del paese, un estate venimmo colpiti dal raptus cleptomane;
  • la distruzione della tenda in plastica dello stesso alimentari, andavano di moda gli Scoubidou ve li ricordate ?
Per tutto quanto sopra, abbiamo sempre avuto colloqui con la "polizia" locale. E voi avete mai combinato qualcosa da ragazzini ? Un po' di sano coming-out coraggio !