Chissà cosa sarà
Sono tutti uguali i fine settimana in giro per lavoro. Sono sempre stati così, a cercare di capire il mondo, in una sorta di spirale che, piano piano, si è sempre più allargata arrivando fino a qui.
Il pomeriggio sa, stranamente, di sole, per un attimo, ma solo un attimo, profuma d'infanzia. M'incammino leggero e sbracato, un taxi mi carica per lasciarmi nel centro di questa città fatta da contadini che son venuti fin qui per fare gli operai.
Cammino con la musica che mi isola da questo mondo, in una sorta di colonna sonora della giornata.
Vago tra la folla, il traffico, e gli odori. Schivo, bambini in fuga, auto indifferenti, e puzze nausenati.
Ogni tanto ascolto, sfilo una delle due cuffie, e la musica diventa il sottofondo della cacofonia. Torno a questa realtà di gente, che per due ore scende in centro a vivere l'illusione di un' improbabile ricchezza. Di un tentativo di occidentalizzarsi? In abiti, in telefoni, ma non in cibo
Un cibo che incontro solo per strada, fatto di polpette di pesce, dal moderno imballaggio, a scimmiottare i grandi del fast-food. I loro spiedini multi-animali, fatti di calamari, salsiccie, maiale e pollo. Cosparsi di salsa e "avvelenati" da una mistura di pepe e peperoncino del Sichuan, che farebbero impallidire il più calabrese dei calabresi mangiatori di piccante. Una frittura che pesa come la sugna che crea. Un venditore di papate bollite, offeso dalla mia macchina, o forse dal mio non acquisto. Ristoranti improbabili dove il cibo resta per strada, esposto ad attirare clienti, che come le mosche fuggono via. O dove cuoche veloci preparano i piatti in strada per clienti seduti nel locale.
Contraddizione, è la parola che più spesso mi ritrovo a ripetere. Contraddizione tra dentro e fuori, tra povertà e ricchezza, tra essere e avere. Tra un mondo che era e che non è, e che chissà cosa sarà.
Il pomeriggio sa, stranamente, di sole, per un attimo, ma solo un attimo, profuma d'infanzia. M'incammino leggero e sbracato, un taxi mi carica per lasciarmi nel centro di questa città fatta da contadini che son venuti fin qui per fare gli operai.
Cammino con la musica che mi isola da questo mondo, in una sorta di colonna sonora della giornata.
Vago tra la folla, il traffico, e gli odori. Schivo, bambini in fuga, auto indifferenti, e puzze nausenati.
Ogni tanto ascolto, sfilo una delle due cuffie, e la musica diventa il sottofondo della cacofonia. Torno a questa realtà di gente, che per due ore scende in centro a vivere l'illusione di un' improbabile ricchezza. Di un tentativo di occidentalizzarsi? In abiti, in telefoni, ma non in cibo
Un cibo che incontro solo per strada, fatto di polpette di pesce, dal moderno imballaggio, a scimmiottare i grandi del fast-food. I loro spiedini multi-animali, fatti di calamari, salsiccie, maiale e pollo. Cosparsi di salsa e "avvelenati" da una mistura di pepe e peperoncino del Sichuan, che farebbero impallidire il più calabrese dei calabresi mangiatori di piccante. Una frittura che pesa come la sugna che crea. Un venditore di papate bollite, offeso dalla mia macchina, o forse dal mio non acquisto. Ristoranti improbabili dove il cibo resta per strada, esposto ad attirare clienti, che come le mosche fuggono via. O dove cuoche veloci preparano i piatti in strada per clienti seduti nel locale.
Contraddizione, è la parola che più spesso mi ritrovo a ripetere. Contraddizione tra dentro e fuori, tra povertà e ricchezza, tra essere e avere. Tra un mondo che era e che non è, e che chissà cosa sarà.