20 giugno 2011

Magari serve

È ritornato il sole. Un sole che ancora non bolle, un sole fresco, piacevole. La galleria in cui mi infilo me lo nasconde di nuovo, come ha fatto quella prima, e quella prima ancora. Riappare alla fine, come se mi aspettasse dall’altra parte del buco, per accompagnarmi in questa giornata. Lui per una strada io per quella opposta. Vado verso il mare, ma per fermarmi prima, pochi chilometri dalla costa, in mezzo alle colline. Un altro mare fatto di vigne, poi campi di grano, strisce di macchia a circondare i "fossi" che abitano le depressioni di questa terra. Poi di nuovo su a risalire: grano, vigne, stradina, paese, e poi di nuovo giù, ancora così fino al mare.

Un senso di ansia mi prende alla gola, un lieve fastidio che mi fa tirare un paio di bei respiri . Mi capita quando devo incontrare persone che non conosco o che conosco poco. Un senso di ansia che mi divide, tra l'io che dice ma che ti frega. E quello che dice: tornate a casa, lascia perdere, che ti frega! In effetti. Magari alzo il telefono e chiamo: un imprevisto, mi hanno anticipato il volo di domenica sera, sto male, la mamma, il figlio quello piccolo che fa sempre più effetto rispetto al grande. Macché, sto benissimo stanno tutti bene. O meglio io ho questo velo di ansia e questo senso di colpa per il tempo che sto rubando a quelli lasciati a casa. Ecco, è anche il senso di colpa a pesare: un furto di due settimane, il doppio rispetto alla consuetudine ricorrente di lavoro in trasferta.

A che servirà ? Ma servirà ?

Magari si.
Magari serve a conoscere posti nuovi, dove non passerei neanche se mi pagassero, ma dove adesso passo, causa mia distrazione, forzatamente guidato dalla voce della scatoletta attaccata al cruscotto.
Magari serve a scoprire un posto che sicuramente non conosco e che forse avrei dovuto conoscere, e che se avessi conosciuto, avrei riconosciuto.
Magari serve a riabbracciare un paio di vecchi amici abbastanza nuovi, che conosco da quando sono qui, a scrivere.
Magari serve a conoscere chi conosco da tempo, ma non ho ancora mai conosciuto, se non per quello che scrive.
O magari serve per imparare a fare le:

Freselle

(direttamente dai corsi di Paoletta e Adriano)
Ingredienti:

600 gr di farina così miscelata: 525 gr di “00” per pane + 75 gr di rimacinata di grano duro
120 gr di LM appena rinnovato
5 gr di lievito di birra fresco (LB) (aumentare fino a 10 gr in inverno)
14 gr di sale
1 cucchiaino di malto
420 gr di acqua a Temperatura Ambiente (TA)

Sciogliere il LM a piccoli pezzetti in 350 gr di acqua direttamente nel bicchiere della macchina ( o in una ball capiente se si impasta a mano).
In un contenitore a parte sciogliere nella restante acqua il LB e il malto.
Aggiungere metà della farina nel contenitore grande e avviare la macchina a vel.1 con la foglia (a mano impastate con una spatola direttamente nel contenitore) quando la farina sarà assorbita aggiungete la restante acqua con LB e la metà (25% del tot) della restante farina. Continuate ad impastare fino all'assorbimento. Aggiungete il sale e la farina rimanente, fate assorbire. A macchina inserite il gancio e fate andare a vel. 2 per 15 minuti finché l'impasto non pulisce la tazza e incorda. A mano trasferite sul piano di lavoro appena infarinato e lavorate a mano e spatola incorporando più aria possibile.

Disponete sul piano di lavoro e lasciate riposare per 30'. Diamo una prima piegatura di sovrapposizione e lasciamo riposare per altri 30'. Torniamo ad allargare senza sgonfiare l'impasto e facciamo le pieghe di “tipo 1” e mettiamo a lievitare, in un contenitore chiuso da pellicola a TA, fino a oltre il raddoppio 3-4 ore.

Allarghiamo l'impasto con delicatezza e poi formiamo dei panetti da 100gr circa e lasciamo lievitare sul piano coperti per 50 min circa. Foriamoli inserendo un dito con decisione, e poi giriamoli sul dito per formare l'anello, allarghiamo molto il foro e rotoliamo l'anello tra le mani. Mettiamo su una placca con carta forno. Lasciamo raddoppiare, poi inforniamo a 230° per ca. 20'.
lasciamo intiepidire e tagliamo a metà, facciamo asciugare in forno con tagli rivolto in alto a 150° per circa 25' con sportello a fessura.

Nella foto sono condite con i classici pomodorini aggiunti di olive taggiasche, In seconda battuta con melanzane grigliate e condite con olio e una spruzzata di aceto di vino.

La tazzina?
Nella tazzina giace una spuma di pomodoro, siffatta: Fate a pezzi 400gr di pomodori ramati, scottatoli in una scodella antiaderente a fuoco medio per un 15 minuti. Passate il pomodoro con il passa verdure, e poi con un colino finissimo. Rimettete sul fuoco finché non raggiunge il bollore e fate andare per 10 minuti a fuoco basso. Pesate 200 gr di salsa (dovreste averne tanta così), conditela con sale, pepe (macinato finissimo), olio al peperoncino, mezzo cucchiaino di zucchero e, se piace, un poco di salsa Worcestershire. Incorporate 1 foglio di colla di pesce, che avrete ammollato in acqua fredda, ben strizzato. Lasciate raffreddare e poi inserite tutto in un sifone, caricate con una cartuccia e riponete in frigo capovolto per almeno 2 ore. Al momento di servire decorate con pomodorini secchi o confit.


13 giugno 2011

La prima volta


Il maresciallo sta camminando su e giù lungo la stanza, misura a grandi passi l’ufficio: tre passi e mezzo soltanto. Da una parte la sua scrivania, di lato a questa, sulla sinistra, la finestra che da sul giardinetto della caserma, dalla parte opposta un piccolo tavolino con una macchina da scrivere, e una sedia che sembra di quelle dei banchi di scuola. Sopra la sedia un altro carabiniere, le spalle della giacca con una punta di freccia rossa. Di fronte alla scrivania, tra la finestra e il banchetto di scuola ci siamo noi quattro. Fa caldo il sole di agosto picchia di brutto nel pomeriggio pieno, le cicale "ragliano" che sembrano un macchinario a motore: la finestra che da sul giardinetto è aperta, ogni tanto folate di vento caldo vengono dentro, a farmi sudare più di quanto già non faccia. Con la coda dell’occhio osservo la strada oltre il giardinetto, se qualcuno dovesse passare, potrebbe anche vederci, vedermi. E se qualcuno mi vede in caserma, e lo dice a mio padre, mio padre mi ammazza. Sicuramente mi ammazza. Oppure mi riempie talmente di botte che, forse, sarebbe meglio se mi ammazza. Quelle morti, subito, istantanee.

Ecco adesso se potessi rimettere indietro l’orologio del tempo … Ci deve essere un modo per fermarsi, per dire: “no fermi, non vale”. Come quando giochiamo a nascondino e uno non riesce a trovare un nascondiglio, e allora si ferma tutto il gioco. E no, appunto, non vale. Si, non vale neanche fermare il gioco. Se in 100 secondi non riesci a trovare un nascondiglio, sei tu che hai problemi, mica il gioco. Comunque rimetterei indietro l’orologio del tempo, fino a ritrovarmi sulle scalette della chiesa quando qualcuno ha detto, “andiamo giù a Camartoni a fregare le ciliegie da Mazzi" Ecco io se potessi adesso direi “No, raga. Aspettate.” Invece siamo partiti, la strada in discesa ha aiutato lo slancio e neanche in cinque minuti ci infilavamo tra le vecchie case della Croce. L’orto di Mazzi in bella vista, la recinzione con la rete a rombi larghi che poco può contro lo slancio di questi dodicenni eccitati dal "vietato". Un salto e via chi si arrampica sull'albero, chi sotto tiene la maglietta allargata per raccogliere i frutti, le foglie, i rami. Ma come i rami? Ma come ti è venuto in mente di spezzare un ramo? Per far prima ! Per far prima? Ma sei deficiente ?! I rami ? Se c'è una cosa che ti insegnano a non rompere i rami degli alberi da frutto.

E’ che a dodici anni se non sei stupido, sei deficiente, se poi di dodicenni ne metti insieme quattro non fai 12x4=48 per qualche strano motivo di matematica che si mischia ai neuroni 12x4 in questo caso fa un 8 scarso.

“Signor poliziotto …!” Qualcuno rompe la sequenza dei miei pensieri. A parlare credo sia stato Massimino. Non ha fatto in tempo a finire “…ziotto” che il maresciallo che camminava per la stanza in maniche di camicia rimboccate, la giacca appoggiata sulla sedia, è diventato tutto rosso e si è messo a urlare. Urla che sembra matto, mi urla in faccia convinto che a parlare sia stato io. Urla talmente tanto che mi tremano le gambe. Il mucchio di ciliegie appoggiato sopra la sua scrivania è scomparso dietro di lui. Ciliegie calde prima, figurati adesso, caldo su caldo. Il ramo spezzato, invece, lo tiene in mano, ancora, il signor Mazzi, in piedi dietro di noi. Sembra un bastone tipo quello del papa, solo che è pieno di foglie, che si stanno appassendo, e di ciliege. Ogni tanto una ciliegia cade e allora il signor Mazzi la raccoglie e la tiene nella mano libera. Intanto le urla continuano "CA-RA-BI-NIE-RE, CA-RA-BI-NIE-RE "Se continua ad urlare giuro che mi metto a piangere. Speriamo che passi mio padre, così mi vede mi ammazza ed è tutto finito.

Poi è un attimo, si sente solo il suo respiro, son tutti in silenzio, non che prima parlasse qualcuno, ma adesso non respirano neanche. Aspettano qualcosa, qualcosa da me, perché tutti gli occhi sono puntati su di me: i miei amici mi guardano, il carabiniere alla macchina da scrivere mi guarda, il signor Mazzi mi guarda e anche il maresciallo mi guarda. Io lo guardo mentre piegato sopra di me, paonazzo dall’arrabbiatura, punta il dito indice all’altezza dei miei occhi. Suggerite ! Ecco mi passa per la testa lo stesso pensiero che ho, quando la prof mi chiama alla lavagna per l’interrogazione: suggerite per favore ! Ma per quanto resto in ascolto non sento nessun sussurro. Ha fatto una domanda. Si sicuramente ha chiesto qualcosa. Ma cosa ? Una goccia di sudore mi scivola lungo la schiena, sempre più veloce, e per come sono seduto rigido e teso in avanti, non c’è nulla a fermarla, si infila nelle mutande e arriva fin giù dentro alle chiappe. Ingoio, prendo fiato e …
“Sc... scusi … signor ... Poliziotto, mi ripete la domanda ?!”

L’avessi mai detto in due secondi due, ci ritroviamo tutti fuori dalla caserma, con il maresciallo che ci urla dietro, strappa i fogli dalla macchina da scrivere per tirarceli. Abbasso la testa mentre un foglio mi si volteggia davanti c’è scritto:

“lajsd kjaskjqj kjsadlkudo lakjsdaklsu kasjlkjdlqkje iqjkajkj jkaljsda jkdhqo khsakjh pakshdiuywp​qiw djaskj dqwi ojdoijdkajio hjw d oi jdijo ….” ma che lingua è ?

Restiamo in mezzo alla strada la porta della caserma sbarrata, tesi, disorientati, ma anche rilassati, il signor Mazzi col ramo in mano ci guarda la faccia in una smorfia di diniego. Ma come poliziotto ? Quello è un carabiniere !
Visto mai un carabiniere nei telefilm: Staschi e Ach sono poliziotti, Ponciarelli è un poliziotto, Kogiac era un poliziotto, e anche sulle strade di San Francisco, dove c'è quello con il naso grosso, tutti poliziotti, mai visto un carabiniere.
Tutti annuiamo alle affermazioni esperte di Massimino. Il signor Mazzi butta il ramo e se ne va. E con le ciliegie che ci facciamo ?

Strudel di ciliegie con crema frangipane


Per la pasta tirata dello strudel
150 gr di farina per dolci
80 gr di acqua tiepida
1 cucchiaio di olio di oliva
1 pizzico di sale
1 cucchiaio di aceto di vino bianco

In una scodella impastate gli ingredienti fino ad ottenere un impasto liscio e morbido, che farete riposare in frigo per una mezz'ora.

Per la crema frangipane
125 gr di mandorle macinate (o farina di mandorle se preferite minor consistenza)
100 gr di burro
125 gr di zucchero
50 gr di farina setacciata
1 uovo intero
1 tuorlo
Con una spatola amalgamate il burro morbido con lo zucchero, aggiungete le mandorle, incorporate l'uovo e il tuorlo, e poi la farina. Inserite tutto in una sac à poche e lasciate per mezz'ora in frigo, per riacquistare consistenza.


Preparazione finale
400 gr di ciliegie snocciolate
2 cucchiai di mandorle tritate o pan grattato
Burro fuso per spennellare

tirate la pasta con il mattarello stendendola su di un canovaccio infarinato, lavoratela a lungo fino a renderla sottile e trasparente, se la pasta resta troppo spessa risulterà dura dopo la cottura. Imburrate tutta la pasta con un pennello e del burro che avrete fatto fondere. Cospargete 1/3 della pasta con un po' di farina di mandorle o del pan grattato, disponete un poco di crema frangipane sopra alla zona dove avete cosparso le mandorle, stendete le ciliegie, ricoprite con la restante crema frangipane (io per la cronaca ho anche aggiunto gocce di cioccolato) e richiudete a rotolo, avendo cura di imburrare ancora mentre arrotolate.

Infornate a 180 gradi, per circa 40 minuti a metà cottura spennellate lo strudel, con un rosso d'uovo a cui avrete aggiunto due cucchiai di zucchero di canna, che deve rimanere consistente.

Io dovrei confessare altre piccole cose:

  • la distruzione di tutti i vetri delle finestre di una casa che consideravamo "abbandonata", i proprietari vivevano a Ferrara e quella era la loro casa di vacanza;
  • il furto di varie cose nell'alimentari del paese, un estate venimmo colpiti dal raptus cleptomane;
  • la distruzione della tenda in plastica dello stesso alimentari, andavano di moda gli Scoubidou ve li ricordate ?
Per tutto quanto sopra, abbiamo sempre avuto colloqui con la "polizia" locale. E voi avete mai combinato qualcosa da ragazzini ? Un po' di sano coming-out coraggio !

06 giugno 2011

Dormiveglia

Socchiudo gli occhi, un senso di ansia, leggera, mi ha colto nel sonno. Un sonno veloce, rapido, un dormiveglia più veglia che dormi. Guardo fuori dal finestrino, il treno corre lungo la statale, ogni tanto supera auto che tentano, invano, una gara senza storia. Dai finestrini di quelle auto a volte si affacciano faccette di bimbi curiosi, che guardano la macchia di colore correre avanti. Qualcuno saluta, qualcuno fa linguacce, smorfie, facce, mentre la macchia rosso accesso e grigio lucente si allunga verso il mare. Oltre la strada l'ondeggiare morbido delle colline della mia terra, inframezzato da interruzioni di cemento che passano come in un film di un secolo fa. Mi sistemo sul sedile, e resto a fissare la risacca verde dei campi contro il cielo azzurro. Un cavallo nero, enorme, mi galoppa incontro, ci incrociamo veloci, lui immobile, sospeso nel suo galoppo illusorio, mentre il treno si infila nella raffineria di Falconara. Respiro quel vago odore pungente che ha segnato la mia infanzia, una sapore dolciastro in bocca, una via di mezzo tra liquirizia e asfalto. La fiamma sulla torre brucia lenta confondendosi con il rosso del tramonto verso le montagne lontane.

Il treno rallenta le prime case appaiono ai lati. Una volta qui c'era un passaggio a livello, proprio all'ingresso della città. Ogni volta che passavamo era chiuso, in attesa di un treno in partenza o di uno in arrivo. La stazione di Falconara mi scappa via veloce, senza neanche darmi il tempo di riconoscerla. Poco più avanti riconosco la fermata del bus della mia scuola. Da li attraversavo la statale "stai attento alle macchine mi raccomando !" ed entravo in città. Il negozio di dischi dove passavo dei lunghi quarti d'ora a guardare le copertine degli album appesi in vetrina, i nomi impossibili che cercavo di memorizzare, per poi "rivendermeli" a scuola, per non essere meno degli altri. Poco più in là il negozio di abbigliamento della "fiorucci" dai prezzi impossibili. Mia madre che ci scopiazzava i capi esposti in vetrina, cuciva giacconi, camice, maglioni fu con uno dei suoi giacconi che feci l'inverno del secondo ragioneria: uno splendido "fiorucci" tarocco, prima che arrivassero i cinesi. Più avanti la chiesa dove giocavano a pallavolo, loro gli altri, io non sono mai stato bravo abbastanza per meritarmi un'entrata in campo. Oltre la chiesa a sinistra la mia scuola, i pomeriggi passati ad aspettare l'inizio delle lezioni, quando esisteva ancora il doppio turno. La notte che arriva alla terza ora, il sonno, la fame, la stanchezza, il buio, le lezioni con le luci accese quando a casa si apparecchiava la tavola suonava la campanella. E via ancora: chiesa, destra, negozio, dischi, fermata, bus.

Butto uno sguardo a sinistra, da quella parte il mare si affaccia verso questo treno che scivola oramai stanco della corsa. Qualche barca, un paio di pontili, mi avvicino a quella che una volta era casa mia. La prima volta che presi l'autobus per tornare a casa da scuola non contai le fermate e quando tutti i miei compagni scesero, e da fuori del finestrino si sbraciavano per farmi scendere, io feci segno di "no" che preferivo andare a casa. Mia madre mi aveva spiegato che non dovevo seguire i miei compagni quando facevano cose strane. Quando il bus ripartì cominciai a non riconoscere i palazzi che mi scorrevano in faccia: me ne stavo andando verso Ancona. Mi attaccai al campanello della "fermata a richiesta" fino a farmi diventare il pollice bianco, scesi terrorizzato e m'incamminai da dove ero venuto. Mi aspettava un amico, uno solo rimasto per compassione, e quando mi chiese dove ero andato, gli dissi che volevo vedere una cosa laggiù più avanti. Mi vergognavo della mia dabbenaggine. Un pontile mi appare a sinistra davanti, e a destra il sotto passo di Palombina Vecchia.

Riconosco il posto dove c'era il giornalaio: una casa vecchia di mattoni, dove compravo "Billy Bis" e "Ghibli" e due pacchetti di figurine a settimana: quelle di UFO. All'angolo c'era, e c'è ancora, un bar, proprio di fronte alla fermata per Ancona, ci compravo solo i biglietti del bus. Il posto puzzava, sapeva di legno marcio e di muffa, e non volevo mangiare o bere niente che venisse da lì. In mezzo all'incrocio la pensilina del sotto passo che porta(va) alla spiaggia, nuova di ferro e con il tetto in vetro, una volta era in cemento bianca e azzurra. Più indietro, poco prima della salita c'è ancora un enorme tiglio quasi in mezzo alla strada, sotto quell'albero si metteva Alfredo il pesciarolo. Il treno è passato ma io chiudo gli occhi e mi fisso quell'incrocio per sempre per tutto il resto del tempo, prima di non ricordarmelo ancora.
Aveva un carretto piatto a due ruote, Alfredo, con il fondo di lamiera, metteva il pesce sopra ad un letto di ghiaccio tritato, che mi ricordava la granita dei gelati al limone, qualche alga lungo i bordi, nascosto al sole all'ombra del tiglio. Un paio di secchi azzurri e vecchi penzolavano, sotto al carretto uno pieno di fogli di carta e buste di plastica, un altro che tutto faceva tranne che raccogliere l'acqua del ghiaccio, che lasciava un lungo rivolo fino alla statale. Non ho mai visto quel carretto muoversi: Alfredo già c'era quando io scendevo per andare a scuola, ed era scomparso quando tornavo. Sembrava che la terra, l'asfalto della strada, lo sputasse e lo risucchiasse ogni volta.

Mia madre scendeva con me e mentre io andavo alla fermata del bus lei si fermava a comprare il pesce. Il pesce di noi montanari scesi al mare, un pesce più povero di quello che il mare già dava, un pesce di poca fantasia i merluzzi da fare lessi o in minestre aggiustastomaco, sempre esclusivamente di venerdì, dopo gli gnocchi del giorno prima, scritto nel libro delle tradizioni, qualche volta apparivano anche:

Le seppie con i piselli di mia madre, ma anche i paccheri miei



Per 4 persone
vi occorrono 4 seppie di media grandezza, pulite e lavate. Separate i tentacoli e le braccia e divideteli al centro facendone due o tre ciuffi ciascuna, tagliate il resto delle seppie a listarelle. In una casseruola mette a soffriggere due spicchi di aglio in poco evo, quando l'aglio comincia a colorire tuffate le seppie e lasciatele rosolare ben bene. Quando il liquido comincerà ad addensare, salate (poco) e pepate (tanto) e poi sfumate con mezzo bicchiere di vino bianco e lasciate evaporare completamente. A questo punto aggiungete il pomodoro pelato ne bastano 300gr / 400gr. Fate riprendere bollore e poi chiudete con un coperchio e lasciate andare per 15 minuti a fuoco basso. Dopo questo tempo aggiungete i piselli 250 gr già puliti, incorporate bene al sugo e lasciate andare per un quindici minuti coperti. I piselli debbono restare al dente. Ora aggiungete i paccheri (80 gr a persona) e fateli incorporare al sugo, tenete a parte dell'acqua bollente o del fumetto di pesce sempre bollente che vi servirà da aggiungere durante la cottura.

Lasciate cuocere sempre coperto, ogni tanto aggiungete l'acqua o il fumetto se il sugo si addensa troppo e la pasta non è cotta. Se vi siete regolati con acqua e fumetto arriverete alla cottura della pasta con un sugo denso e una pasta impregnata e trasudante il profumo di mare che da quell'incrocio respiravo mentre tornavo a casa da scuola.