Croce e Delizia
Ho un amico "ancunetano", con cui condivido chiacchiere mattutine prelavorative. Tanto per non sentirsi soli, e non dimenticare tempi passati. Lui da buon "ancunetano" non può risconosce la mia adolescenziale permanenza a Palombina Vecchia, come una succedanea cittadinanza del capoluogo. "Stavi delà de Collemarì". E quindi mi fa, ogni volta che gliene offro l'occasione, da cicerone nella tradizione dorica. E' accaduto spesso di ritrovarci a cena insieme. L'ultima, a Portonovo, il menù, contemplava il misto antipasto tipico di queste parti. Tra cui le "crocette". La crocetta è un "mesogasteropode strombaceo", cugino del più famoso "garagolo" protagonista della sagra di Marotta. Ma la crocetta è solo anconetana, e ogni volta che gli finisce sul piatto, Lui il mio amico, ne prende una in mano si siede vicino a me, mi mette una mano intorno alla spalla e recita, con fare farzesco, le istruzioni per mangiare la crocetta:
Se pine 'n tra do' deti com'un fiore;
le bagi come fosse el primo amore;
prima in tel cuderizo un bagio seco,
pò volti e bagi in do' che c'era el beco.
Ciuci e riciuci, lichi scorze e deti;
è un ino de chiopeti e de fischieti
e te viènene su qùi ciciolini
che udorene de mare e de giardini.
Ricòrdete ma prò che la cruceta
da per lia sola è misera, pureta,
è com'un quadro pieno de vernige,
un quadro bèlo senza la cornige.
E alora, perché el gode sia completo,
ce vòle, digo vòle, un bichiereto
de vi' ogni sete cici, in abundanza,
de modo che ce sguazi in te la panza...
Io guardo 'sta cruceta sbruzulosa
cun 'st'anima gentile;
cià qualcosa del caratere nostro anconità;
rozo de fòra, duro, un po' vilà
ma drento bono, un zuchero, 'n'amore...
ché nun conta la scorza, conta el còre.
E come si cucinano le:
Crocette in porchetta ?
da " 'Na chiachiarata cun nona bon'anima "Se sbeca, sarìa a di' se leva vìa,
i bechi e el cuderizo, po' se pìa
l'aqua salata e lava che te lava
fino a che c'è la bava.
Po' ce vole 'na pigna; ce se mete
oio, fenochio forte, do' brancete
d'usemarì, do' spichi d'aio, sale,
i dài (che n'j fa male)
de pépe a stufo e apena rusulato,
buti gió le crucete ch'hai spurgato.
Per fai pià l'onto j dai do' o tre sbalzate
e, quando ch'ène bèle che rivate,
daqui c'un po' de vi' de la chiaveta.
Dài qualch'altra scosseta,
gióntece la conzerva ch'hai squaiato
e, quando che 'l ciciolo s'è stacato
dala scorza, leva la pigna e svòta
che la cruceta è cota.
Le due poesie sono di: Eugenio Gioacchini ( detto Ceriago)
La ricetta, per chi magari è rimasto con qualche dubbio, è questa. Tagliete le punte (bechi) e i fondi (cuderizo) aiutandovi con una tenaglia. Lavate e rilavate cambiando spesso acqua fino a che non scompare la bava, qualcuno sbollenterebbe ma è meglio di no. In una casseruola (pigna) fate soffriggere due spicchi d'aglio, con finocchio selvatico tritato e rosmarino in olio evo buono. Si sala e si pepa il soffritto. Poi si abuttano le crocette che si fanno scottare a fuoco vivo. Si aggiuge un bicchiere di vino bianco e si lascia sfumare, per aggiungere alla fine dei pomodori pelati e passati o pomodori freschi finemente sminuzzati. La crocetta è cotta quando si stacca dalla conchiglia.
Da annaffiare con un Verdicchio dei castelli di Jesi classico superiore, da provare per questo piatto il TERRE DEI GOTI di Stefano Mancinelli, non freddo ma ghiacciato.
Una considerazione: di solito con questi piatti ci si mangia unchilo, unchiloedeucentogrammi di pane. A testa naturalmente.



















