23 maggio 2007

Culturalmete... al dente

Oggi Maurice risponde alla richiesta di un suo lettore: se il cibo sia effettivamente cultura, è questa in sintesi, da me tradotta, la domanda o l’asserzione di Francesco. Mi inserisco, senza invito, non me ne vogliano i diretti interessati, nella loro “chiacchierata”.

Non credo ci possano essere alternative: il cibo e la cucina, sono radicati in noi come, la lingua, l’educazione, e il nostro DNA, è quindi Cultura. Nessuno ci ha mai insegnato a mangiare dei sofficini, o i quattro salti in padella, noi sappiamo, per imprinting naturale, che la pasta si lessa prima in acqua e sale, e poi si condisce con il sugo. E così la pasta con le triglie e i porcini di Maurice, non ha niente a che vedere con i mari e monti della findus. La prima è l’incontro, l’amalgama, la fusion(e) di due culture di due esperienze individuali quella di due donne/madri a diretto contatto con chi crea il piatto. La findus si rifà ad un “classico” degli anni ’80, quando la sterilità delle idee non riusciva ad andare oltre ad un piatto di pesce, uno di funghi, e ad un terzo: mix dei due (non fusione), ne scaturiva uno dei primi contrasti culinari da pizzeria, che mirava più ad impressione sulla carta che in bocca, chè alla fine mangiavi gamberi e calamari congelati con funghi, come oggi, soltanto che oggi anche la pasta è congelata.

E così come dice Francesco chi cucina in territori poco fortunati, come il suo … e anche il mio va là… se lo fa bene, ricercando un prodotto autoctono, l’ingrediente fatto come un tempo, la geniunità, in sintesi la “MATERIA PRIMA” (come oggi si dice, e che a me non piace) d’eccellenza, fa Cultura. E’ un po’ come entrare in museo delle Tradizioni Popolari, solo che invece di guardare... chiudi gli occhi e assapori, e in quel momento devi poter apprezzare qualcosa di "superiore", quasi "unico" perchè il cibo alla fine, come dice Olivier, è solo memoria, ricordo.

E’ questo che può farci sopravvivere in futuro. Non potremo mai più essere competitivi, nell’agricoltura massiva e nell’industria, in un Europa nuova dove dobbiamo confrontarci con queste realtà. Dobbiamo invece valorizzare quello che abbiamo sotto i nostri piedi, una cultura, fatta anche di cibo di prodotti unici che già noi, conosciamo poco. Dobbiamo prepararci per quelli che hanno bisogno di ritrovare i piaceri piccoli, di quando eran bambini, di quando la casa si riempiva del profumo di sugo della domenica, di quando per mano ai nonni o ai padri entravano in osteria e si compravano un ghiacciolo, o una gassosa nella bottiglietta trasparante. Dobbiamo tornare ad essere quelli che eravamo.
Un blog per cominciare? E perchè no? Io sono già curioso di mangiare da Red.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Gli ineffabili Conigli del mattino direbbero che sei troppo umano: grazie.
Aggiungerei una sola cosa al tuo bel post. Non so se esistano terre povere e terre ricche; forse ci sono zone che per la loro tipologia geografica possono attingere al mare, alla campagna. Ma anche nelle zone cosiddette povere c'è un mondo ed una cultura tutta da scoprire, o comunque si può scatenare la fantasia per fare molto con il poco che si ha.
Tu me lo insegni tutti i giorni.

Anonimo ha detto...

Si vede che mari e monti era nell'aria :-)
Sulla falsariga, coi porcini prova il baccalà, declinati se possibile con aglio e finocchietto.