31 dicembre 2006

Poesie e spezie del Bosforo

Ieri ho aperto un cassetto, e mi è sembrato di aprire una finestra sul bazar di Instanbul. Nel cassetto ho ritrovato una trentina di sacchetti di spezie, comperati, in uno degli ultimi viaggi in quella città. Mi piacciono le spezie turche hanno tre cose fondamentali: 1) sono profumatissime, molto più di quelle "nostrane"; 2) non sai cosa siano, il bigliettino con il nome, che il venditore ci attacca, è scritto sottilissimo e poi è in turco; 3) il venditore non scrive la scadenza e quindi non scadono.

Istanbul, le sue strade, il bosforo, c'è un libro bellissimo scritto da Orhan Pamuk, cinquantenne contemporaneo, che a leggerlo fa rimpiangere il non aver perso tempo a guardarla meglio quella città.

Ma Istanbul, meglio la Turchia, ha avuto un altro grande scrittore stavolta nato nei primi del '900:
Nâzım Hikmet poeta abbastanza controverso in casa propria, piuttosto conosciuto in occidente. Nasce a Salonicco nel 1902, da un padre funzionario e una madre pittrice, brevi studi al liceo francese di Galatasaray, poi la facoltà di sociologia a Mosca, dove emerge il suo credo comunista. Ha contatti con le avanguardie e in particolare con Majakovskij. Si schiera conrtro Ataturk, colui che fondò la moderna Turchia che conosciamo oggi, nel 1938 rientra nel suo paese e viene arrestato, sarà liberato solo nel 1950. Lascerà la Turchia e morirà in esilio nel 1963. Hikmet è conosciuto più per le sue poesie, anche se è stato romanziere e scrittore di teatro, e la poesia più occidentale che lo rappresenta è questa:

Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l'ho ancora detto.

C'è poco da stare allegri a cercare un piatto, quando si leggono cose di questo tipo, ma tutti quegli odori e quei profumi mi hanno fatto ricordare, un dolce mangiato da qualche parte, per assurdo qui nella mia terra e non in Turchia, ed ecco:

Sfogliatina ripiena di mele e uvetta speziate, in salsa alla vaniglia.

Per la sfogliatina: prendete 250gr circa di pasta sfoglia, farsela in casa è veramente un lavoro lungo, (comunque la ricetta prevede 150gr di farina, 100gr di burro e un pizzico di sale da lavorare in strati). Cospargete la pasta con 100gr di zucchero semolato, arrotolate la sfoglia e tagliatela in 6 rondelle tutte uguali. Con un mattarello appena infarinato stendete le rondelle dalla parte del taglio per ottenere 6 piccole sfoglie che terrete in frigo chiuse da pellicola.
Per il ripieno: Ammollate in acqua tiepida una manciata (50gr) di uva sultanina, sbucciate 3 mele golden stark e riducetele a tocchettini. In una padella sciogliete due noci di burro, mettete 50gr di zucchero, 3 chiodi di garofano e le mele, e lasciate andare, appena lo zucchero comincia a sobbollire aggiungete un bicchierino di cognac, l'uvetta e una bella spruzzata di cannella. Lasciate andare a fuoco medio finchè le mele non siano cotte, ma non spappolate.
Per la crema: portate a bollore 3dl di latte con una stecca di vaniglia tagliata longitudinalmente, lasciate raffreddare, battete 3 tuorli d'uova con 3 cucchiai di zucchero. Incorporate il latte alle uova e cuocete a bagnomaria finchè non comincia ad addensare.
Poco prima: riempite ciascuna sfogliatina con un cucchiaio di mele e uvetta, chiudete a mo' di raviolo, mettete le sfogliatine su una placca con carta forno e infornate a 200° per circa 10 minuti. Specchiate un piatto grande con la crema mettete la sfogliatina e un po' del ripieno se avanzato, guernite con le spezie che avete usato.

Se volete leggere Hikmet questo è un suo classico.

29 dicembre 2006

Ultima notte dell'anno

Io sono refrattario ai festeggiamenti dell'ultimo giorno dell'anno. Questa necessità di divertirsi ad ogni costo a prezzi improponibili, rimane, per me, un mistero. La corsa ala capo d'abbigliamento usa e getta, che mai rimetterai, alle mutande rosse. Che un anno ho acconsentinto a questa "tradizione", e non mi è successo niente, anzi a ben riflettere debbo dire che la sfiga ha vinto di qualche punto sulla fortuna. E poi i "Cenoni" con annesso Veglione danzante, provata anche questa, non ricordo se mi sono addormentato prima o dopo la mezzanotte, comunque ero abbastanza assente.
Giuro che sono poche le notti dell'ultimo dell'anno che ricordo. Ma quelle che più mi hanno soddisfatto, possono sembrare ad altri assolutamente anonime. Un paio di anni fa, ad esempio, la passammo in una camera di un ostello monatano a pasteggiare con insalata e affettati, poi i fuochi a mezzanotte dalla finestra della camera, che fuori era -18°C e che mica avevi voglia di uscire, quattro risate con i due grilli che mi vengono dietro e poi a dormire, slendida festa.

E quindi anche qust'anno un "Veglione" stile "stappa, stappa; svelto,svelto; corri, corri; a letto, a letto!", ma, forse, dall'altra parte delle alpi. Che oggi un amico mi ha mandato una mail e mi ha invitato in un posto che fino ad un paio di anni fa pensavo essere negli Stati Uniti. Il patto, comunque messo nero su bianco, è che la cosa rimane in binari ben definiti, cena e dopo cena in casa senza troppe pretese, fatto, per contro mi chiedono di cucinare: sai che fatica!
E comunque se qualcuno ha voglia di divertirsi con frizzi, lazzi e cottillon si accomodi e tanti auguri. Anzi vi lascio anche una mi proposta alternativa al solito modo di mangiare cotechino e lenticchie:

Ravioli ripieni di cotechino con salsa di Lenticchie e patate saltate

Per la Pasta: tirate la sfoglia e riempitela con del cotechino che avrete fatto lessare per un paio di ore lasciato abbastanza morbido.
Per le lenticchie: mettete a bagbo le lenticchie per 12 ore, e poi lessatele con gli odori: carota, sedano e cipolla per 30 minuti: debbono rimanere abbastanza al dente. A parte preparate un soffritto con aglio e cipolla, tuffateci 4 pomodorini per persona e lasciate andare per 5 minuti, incorporate le lenticchie che avrete scolato bene e lasciate andare fino a restingere il sughetto.
Per le patate: tagliate a cubetti 100 gr. di patate a persona, lavatele e ascugatele bene, in una padella fate scaldare una buona dose di olio buono, aggiungeteci del rosmarino salvia e due spicchi di aglio schiacciati, appena l'olio e bene caldo buttate le patate e fatele andare a fuoco vivo finchè con sono belle dorate.

Lessate i ravioli e servite condendo con la salsa di lenticchia e le patate come accompagnamento. Beveteci un Vernaccia di Serrapetrona della Marca Maceratese.

27 dicembre 2006

A dieta ?

Passate le feste cominciano gli esami di coscienza, i senzi di colpa: 1) dell'aver mangiato troppo, 2) del dover buttare.

Nel primo caso ci si abbandona agli eccessi della festa con la promessa, fatta a noi stessi, di una dieta post-natalizia, promessa a volte rimarcata anche a terze persone chiamate inconsciamente a testimoniare il fatto del "sì mangio ma poi non lo faccio più".
Il secondo caso sfiora l'assurdo ed è ancor più drammatico. Perchè tutte le buone intenzioni rischiano di essere vanificate con ciò che rimane in casa. Mi spiego e faccio un inventario di casa mia, e quindi ci sarebbero da finire (mangiare) le seguenti cose:

mezzo salame d'oca usato come antipasto;
un chilo circa di grana "BellaLodi" usato in parte come antipasto;
la carne lessa del brodo natalizio (in fase di trasformazione: polpette);
un litro circa di brodo, ora congelato;
mezzo salmone ancora in confezione originale;
mezzo panettone magnum di nota marca;
un panettone intero con glassa di nocciole torinesi;
confenzione praticamente integra di torroncini alle nocciole di cui sopra;
due torroni rinvenuti in cantina (probabilmente risalenti al Natale 2005);
un trancio di "foie gras de canard";

Ora il dramma e mangiare? O buttare? Che se uno riuscisse a pesare, l'otto gennaio, gli stessi chili di quando prima di Natale ha incontrato la sua dietologa! Secondo me merita un' ovazione a scena aperta sulla rete, da ribaltare il computer. E mentre aspettate il nuovo anno vi consiglio di farvi una:

Mezza penna, guanciale e carciofi con spuma al fumè

Per 4 persone: in una padella fate sciogliere in poco olio buono della pancetta affumicata tagliata a cubetti grandi. Quando questa è ben rosolata sfumate con del vino bianco e lasciate evaporare. Eliminate la pancetta, facendo in modo di non perdere il succo che avete nella padella. Aggiungete 200 gr. di passata di pomodoro, salate e aggiungete un cucchiaino di zucchero, a ridurre l'acidità di pomodoro e vino. fate andare per 2 minuti e poi aggiungete 125 cl. di panna fresca, fate alzare il bollore e spegnete. Travasate il sugo in sifone a pressione. Nella stessa padella fate andare
a fuoco vivo, con alcuni petali di cipolla e poco olio buono, 2 cuori di carciofo che avrete mondato, lavato e tagliato a fettine sottili. Appena i carciofi appassasicono aggiungete 100 gr. di guanciale tagliato a striscioline, lasciatelo andare finchè non comincia a rosolare. Scolate la pasta, che nel frattempo avrete fatto lessare, saltatela nell'intingolo e a fuoco spento condite con parmigiano e poco di pecorino. Impiattate e guarnite son la spuma che avrete tenuto bene al caldo a bagnomaria.
(Se non possedete il sifone potete seguire questo procedimento: prima di incorporare la panna, battetela con una frusta fino a raggiungere una certa consistenza (non montatela), poi incorporatela al pomodoro senza farla cuocere, ma tenendola calda a bagnomaria).

A dieta!

22 dicembre 2006

"Pasta tutor guide" - Raviolo alle ricotte di "Chessa"

Sono andato, come programmato, a trovare l'azienda casearia "eredi Sebastiano Chessa". Mi sono "arrampicato" sulle colline tra la vallesina e la valmisa. Una giornata di nebbia e pioviggine mi ha impedito la vista dei pascoli e delle vigne dei castelli di Jesi. Ho trovato la fattoria in fondo ad una strada bianca, ripida ma curata.
Dalle ultime notizie mi risultano 600 pecore, munte regolarmente a mano e che scorazzano nei pascoli collinari che vanno oltre il comune di Montecarotto. Suono alla porta di una tipica casa contadina marchigiana, unica "voluttà" alcuni stemmi di appartenenza a varie associazioni di tutela dei prodotti tradizionali, appessi all'ingresso. Mi apre la figlia della titolare una ragazza giovanissima, ma che dimostra subito una voglia di fare e una passione, difficili da trovare, oggi, in un giovane sedicenne. Una passione ancor più sottolineata, da quella prima parola sulla ragione sociale: "eredi". Mi racconta dei loro pecorini, esclusivamente, a latte crudo, il "Lacrima" e il "Cenerino", pezzature da 2kg e più, tipiche non delle Marche ma della Toscana e della Sardegna. Del loro olio monocultivar Raggia, delle lore marmellate da abbinamento, dei mieli e del lonzino di fico. Assaggio, ordino, tutto confezionato con una perfezione maniacale. Bravi ! Chapeau! Da ultimo chiedo se hanno della ricotta fresca, rimedio uno sguardo, giustamente, sarcastico e un sorriso che la dice lunga, certo che hanno la ricotta, hanno le pecore! La prendo sia fresca che stagionata e a casa faccio:

Raviolo alle ricotte di "Chessa" con il "ragù finto"

Per la Farcia: 500 gr di ricotta di pecora, che deve essere lasciata scolare del suo siero, in frigorifero per almeno un giorno, 150 gr di parmigiano reggiano, sale, pepe e noce moscata. Ammalgamata tutti gli ingredienti e tenete in frigorifero.
Per la sfoglia: preparate la sfoglia con 6 uova intere, 600 gr di farina "0", un pizzico di sale, e un goccio di olio.
Preparazione: tirate la sfoglia e disponete il ripieno, (la farcia della foto era composta da spinaci e ricotta), fate aderire bene tutti i bordi della sfoglia eliminando tutta l'aria. Tagliate con una rotella dentata che ha lo scopo di chiudere anche i bordi. Disponete il raviolo in contenitori che consentano di asciugarsi rapidamente, la presenza di ricotta nella farcia, tende a "bagnare" la pasta della sfoglia. Il raviolo così preparato può essere anche congelato.
Per il "ragù finto": questo condimento fa parte, credo, di tutta una tradizione popolare che non trova confini geografici. E' un pò come la siciliana "pasta con le sarde a mare" e quindi mai messe, come la lombarda "polenta con gli uccelletti scappati" sostituiti da pezzetti di carne. E quindi quando la povertà la faceva da padrona, si preprava un ragù con tutti i canoni ma non si metteva la carne, la finzione! E quindi riducete a poltiglia (usando magari un mixer) una cipolla due carote e un piccolo cuore di sedano senza foglie. Rosolate le verdure in poco olio buono, aggiungete una foglia di alloro e un chilo di passata di pomodoro o di pomodori pelati passati. Lasciate cuocere per circa mezz'ora scoperto in modo da far ridurre.
Lessate i ravioli in abbondante acqua salate, scolateli, saltateli in padella con parte della salsa aggiungete una "manciata" di parmigiano a fuoco spento. Impiattate guarnendo con un cucchiaio di salsa e una bella grattata di ricotta salata.
L'abbinamento deve contrastare la tendenza acida del pomodoro e la sapidità della ricotta, quindi un rosso con un buon equilibrio tra struttura e morbidezza, magari una Lacrimuccia di Morro d'Alba.

20 dicembre 2006

L'olio buono

Ho sempre avuto un debole per le storie e per i racconti. In particolare quando li ascolto dalla viva voce dei "vecchi". Adoro i racconti di vita quotidiana, di folletti e streghe, di montagna, di alpinismo, di cose da mangiare. Sfrutto sempre l'occasione per far parlare e per ascoltare qualcuno che ha storie da raccontare. Prendo appunti mentalmente, poi, ripercorro le strade, visito i luoghi e i posti delle storie, e ci metto i piedi dentro.

Mia nonna aveva alcune "fisse" del suo passato: l'aglio, panacea per la spagnola del "diciotto", lo zucchero da comprare oltre confine quando andò a vivere a Baveno, l'olio che andava a comprare vicino a Spoleto a novanta chilometri da casa. Ve le immaginate 'ste donne che prima della guerra (la sencoda mondiale) salgono sul treno e con le damigiane in grembo vanno a comprare l'olio? Un giorno di viaggio:
in calesse fino alla stazione e poi con due treni diversi fino a Spoleto, da lì a piedi fino al frantoio.
Riempiono le damigiane, le mettono sulla testa, ammortizzando il peso con la "coroia" anello di stoffa ricavato con la "guluppa". Poi Carletti (padre dell'attuale proprietario) le caricava tutte sul rimorchio del trattore e le riportava alla stazione, e poi di nuovo a casa. Quanto valeva quell'olio secondo voi? Tanto, ve lo dico io. Lo strutto era il grasso giornaliero e l'olio di oliva era "oro", che mica andavi a Spoleto più di una volta all'anno! Quel viaggio è impresso nella memoria di tutti: mia, di mia madre, di sua sorella, ogni volta che ritorniamo è argomento di discussione, di ricordi che rivivono e che si confrontano.

Oggi il viaggio è più semplice, in auto sarà un'oretta di passeggiata, parcheggi entri e ti sembra di finir per terra, si scivola, il pavimento di un frantoio per quanto ci passi lo straccio, non viene mica pulito.
Carletti ha sempre il fuoco accesso ti mette su due bruschette, te le condisce con l'olio buono e una fetta di pecorino e hai fatto colazione o merenda. Poi cominci a parlare di come è andata l'annata dell'oliva, era caldo era freddo, no la mosca non c'è tranquilli, è più fruttato dell'anno scorso, l'acidità è perfetta come previsto dal disciplinare, quale te piace de più? questo lo spremuto prima, è più dolce. Poi decidi il prezzo al chilo mica al litro, e poi lo compri. Nelle apposite latte previste dalla normativa vigente, che oggi l'olio sfuso non lo si può più comperare, a meno che non sei un conferitore di olive.

E certo di avere comperato un "extravergine" con spremitura a freddo: lo vedi con i tuoi occhi che la frangitura è fatta con molazze di pietra, niente mulini a ciclo continuo o frangitori a martello. Che la gramolatura, meccanica è fatta sotto al frangitoio, che il trasferimento sui "fiscoli": i dischi filtranti, è fatto per caduta e che la spremitura la fà una vecchia pressa Rapanelli da un paio di cento tonnellate. Puoi riprendere la strada di casa.

E una
volta tornati c'è solo una cosa da fare: farlo assaggiare a tutta la famiglia. Scusa di "basso profilo" per mettere al forno mezza fila di pane ad "abbrostulire" per una bruschetta estemporanea e sostitutiva della cena. Da non dimenticare l'altra mezza fila di pane, da inzuppare in olio e aceto per una panzanella con l'olio nuovo.
Per togliersi tutte le curiosità sull'olio di oliva questo è un buon sito, e sempre dallo stesso sito in questa pagina trovate le classificazioni

17 dicembre 2006

Le zaffate della domenica

Solitamente la domenica mattina esco presto da casa, inforco la bicicletta e parto. Quattro o cinque ore per valli e monti della mia terra, attraverso paesetti, poche case, che all'apparenza, visto l'orario , sembrano abbandonati. Sembrano!
Con le belle giornate, di un inverno che non vuole arrivare, a finestre aperte, il segno vitale della presenza umana è dato dai profumi.
Alle sette per le vie del paese mi accolgono vampe di caffè appena tostato. La pasticceria odora le strade di croissant e burro. Neanche ho iniziato e già mi fermerei. Mi immergo nella campagna, umida di nebbia. La strada si infila in una valle stretta disegnata dal fiume, che scorre giù in basso, entro in Umbria, faccio "il corno" la vecchia strada dei Pellegrini, che dalla costa adriatica andavano a Roma. Venti chilometri e un'ora dopo, sono a Valdorbia. La vecchia Nena, ha messo sù il sugo: il ragout, per le tagliatelle della domenica. Cipolla, carota, sedano, chiodi di garofano e noce moscata. E' una zaffata da acquolina in bocca, nonostante l'orario. Salgo e faccio il colle. Dall'Umbria ritorno nelle Marche, mi tuffo in quel Pesarese, lontano dal mare.
A Chiaserna fanno il pane anche la domenica. Sento il profumo di crosta croccante, calda e appena sfornata, che solo il pane cotto a legna ha. Gli vado incontro. Giocoforza "decido" di "fare il Catria", passo davanti al forno: porta aperta, le "file" di pane sul banco, e una "teglia" di pizza, rossa carminio. Ho fame, sgranocchio un'asfittica barretta energetica. Salita.
Per due ore, è il profumo di santoreggia che accompagna la fatica verso la vetta. Con quest'erba, a cui gli antichi attribuirono un forte potere stimolante delle funzioni sessuali, ho tappezzato il giardino di casa ;-). E' un profumo inconfondibile che ricorda il timo, ma con maggiore decisione. Usata per aromatizzare in cucina, la si usa su arrosti e ripieni. In cima soffiano nuvole basse, veloci corrono in questa valletta che chiamano "l'infilatoio", freddo. Giù. Si scende.
Sono le undici passate. Altra valle, altro paese. Frontone, scivola veloce sotto le ruote. Le ultime case mi regalano: pollo con i peperoni. Questo profumo dolciastro e caramelloso è inusuale in queste zone di domenica. Rallento osservo, annuso: villeggianti. Buono comunque. Via, verso casa, però. Deviazione. La domenica culiniaria, qui da noi, è sacra. Votata alla tagliatella e all'arrosto. Conosco un posto che non tradisce. Una salita, uno strappo , un incrocio. Discesa. Quattro case addossate alla strada quasi a volerla "fagocitare", dentro, rallento, lo sento.
Arrosto, finocchio, ecco la santoreggia, pancetta, che zaffata spettacolare, passo sotto alla finestra, e mi "affogo" di:

Coniglio in porchetta nella sua salsa con patate del monte Strega

Un coniglio disossato. Salalo e pepalo. Lessa le cotiche di maiale, già pulite, lasciandole al dente. Prepara una farcia sminuzzando: una salsiccia, una fetta di capocollo di maiale. Stendi la farci a sulla parte interna del coniglio, aggiungi le cotiche tagliate a striscioline e le ineteriora del coniglio (fegato, cuore ecc.) da evitare se non piacciono. Aggiungi il finocchio selvatico appena sbollentato (è più digeribile), l'aglio e la santoreggia, controlla il sale e il pepe.
Farcisci il coniglio e chiudilo con del filo. Avvolgilo in uno strato di pancetta fresca sottilissima salata e profumata di maggiorana avvolgi il tutto nella "pannella" (la rete del maiale).
In una teglia da forno metti un poco d'olio e fai rosolare il coniglio per benino. Aggiungi un bicchiere di vino bianco, sfuma e dealcolizza, fiammegiando. Chiudi copri il tutto con carta alluminio, inforna a 180° per 45 minuti. Poi togli la carta alluminio, metti le patate e fai andare per altri 40 minuti.
Taglia a fette una volta raffredato, a parte riduci il fondo di cottura aggiungendo una noce di burro. Servi su piatti caldi, nappando con la salsa e con le patate a contorno.

Ci abbiamo bevuto un Igt marchigiano, suggerito da mio enotecario e vicino di casa, veramente buono e con un rapporto qualità/prezzo eccellente: Antheo della casa vinicola Accattoli.


Vuoi venire a farti un giro in bici?

15 dicembre 2006

Intanto che aspetti.

Il Natale alle porte concentra tutti su temi Natalizi, la bontà, i pensieri felici. Macchè, in primis i regali, questa corsa a fare qualcosa a tutti i costi mi uccide, dicevo ieri alla Lella, ho già finito le idee da un paio d'anni, in effetti a domanda precisa proponevo le stesse cose del passato. Il secondo pensiero è cosa fare l'ultimo dell'anno. Di già? Sì, me lo hanno già chiesto. Io, l'ultimo dell'anno, vado a dormire presto, che la mattina mi sveglio, parto e vado in montagna. Quindi non madatemi sms di auguri alle 00:00 precise che sto dormendo. Sti cazzo di sms che fanno solo arricchire gli operatori telefonici, che qualcuno li scrive e poi fà: "invio multiplo a tutta la rubrica". Che l'anno passato, mi sono arrivati gli auguri anche dall'avvocato della controparte che aveva memorizzato il mio numero solo per sentirci dieci minuti prima dell'udienza, con la speranza di chiudere con un accordo. Che poi ha perso la causa, e figurati se mi mandava gli auguri.
Io invece, per queste feste, sto pensando ad andare a trovare l'amico di un amico che ha un qualche centinaio di pecore in cima ad un monte, e che fa la ricotta buona. Poi devo mettere a posto la libreria che non è più una libreria ma un magazzino di un bazar. Poi penso al pranzo di Natale, a quali sensazioni e piaceri regalare a coloro che ho invitato, ecco quello sarà il mio regalo, farli stare bene. E mentre penso, ripenso, provo, riprovo ho fatto un panefocacciapizza che non c'entra una mazza con il Natale, anzi che è più Pasquale che Natalizio. Però è buono e se vuoi una base per un antipasto sfizioso, ecco la:

Focaccia al formaggio con speck e scalogno.

Fate una fontana con 400gr di farina 00, 100gr di parmigiano grattugiato, e 50 gr di pecorino romano anch'esso grattugiato, rompete 3 uova intere e battetele nella fontana. Aggiungete 3 cucchiai di olio buono e 35 gr di burro liquido, sciogliete 40gr di lievito di birra in poco latte tiepido che incorporerete all'impasto. Aggiungete due scalogni fatti appassire in poco olio e 100 gr di speck fatto a julienne. Salate e pepate. Modificate le quantità di farina o latte fino ad
ottenere un impasto morbido ed omogeneo. Incorporate una bustina di lievito per pizze salate in polvere e 150 gr di pecorino fatto a tocchettini. Mettete nella forma e lasciate lievitare nel forno per circa 3 ore. Spennellate con un rosso d'uovo e cuocete in forno ventilato a 180° per circa 45 minuti.

Da gustare da sola chiaccherando con un amico o accompagnata da salame ciauscolo, beveteci una bella Weiss.

11 dicembre 2006

"Pasta tutor guide" - Cappelletti da brodo

Non rubo niente alla tradizione Romagnola, i cappelletti sono tradizone anche in mezzo a queste montagne. D'altronde mia nonna, a cui apparteneva l'attrezzo qui di fianco, non credo sia mai andata, in gioventù, più lontano di Loreto, meta del suo viaggio di nozze.
Quindi i cappelletti in brodo per il pranzo di Natale sono, anche, roba nostra, come lo sono tutte quelle tradizioni, alcune ormai dimenticate, che iniziano con la preparazione dell'abero e del presepio (8 dicembre), i fuochi, solo marchigiani, per indicare la strada alla Madonna di Loreto (il 10). Il 13 dicembre S.Lucia, erroneamente "il giorno più corto che ci sia", cominciava la prima conta dei capomesi. Il tempo metereologico di ogni giorno corrispondeva al tempo dei mesi dell'anno venturo, il 13 appunto corrispondeva a gennaio. Il 25 si faceva la seconda conta, che finiva il 5 gennaio, se il tempo corrispondeva alla prima conta allora era fatta! Il giorno di Natale si accendeva il "ciocco": un grosso ramo o una possente radica che doveva consumarsi , nel camino, lentamente fino al giorno della Befana. Questo è il periodo dei racconti della paura: di streghe, che si possono vedere la notte di San Giovanni attraverso una "forcella di fico". Dei "mazzamurelli", così chiamati dal fatto che usano battere su muri delle case, si dice che se lo fanno per tre volte, la casa sarà colpita da un lutto. Questi folletti della campagna, entrano in casa
di notte, attraverso le fessure delle porte, si arrampicano sui letti, e si piazzano sullo stomaco dei dormienti dando incubi agli adulti e spavento ai bambini. l 24 si "saltava" il pranzo e ci si preparava al cenone di magro della sera. Quella mattina le donne facevano i cappelletti. Si mettevano intorno ad un tavolo, e senza saperlo, facevano efficenza ed evitavano i "colli di bottiglia" della loro piccola impresa produttiva. Una tirava la sfoglia, una metteva l'impasto, una tagliava e un paio o tre chiudevano, altro che "justintime".
Bene aldilà delle efficenze di mamme e nonne diamoci da fare, e mettimoci a fare i:

Cappelletti o tortellini in brodo



Per la farcia
(dosi per circa 1 chilo di prodotto finito): 200 gr di manzo magrissimo e di 1^ scetla (intesa come taglio) quelli che qui sono considerati per arrosto, 200 gr di lonza di maiale, 100 gr di prosciutto crudo di parma, 100 gr di mortadella. Riducete la carne a tocchetti, se potete macinarla voi, altrimenti chiedete al macellaio di macinarvela "finissssssima", rosolatela in poco olio buono e burro, quando la carne è ben rosolata e i liauidi sono evaporati sfumate con un paio di cucchiai di grappa, salate , aggiungete il prosciutto e la mortadella a striscioline e fermate la cottura, macinate il tutto fino ad ottenere un impasto molto fine. Condite con una generosa grattata di nove moscata, con mezza buccia di limone grattugiata e con 50 gr di parmigiano reggiano grattugiato. Ammalgamate benissimo, usando le mani, la farcia deve risulatre morbida, facilmente modellabile e non deve disgregarsi, se serve aiutatevi con pochissimo latte.

Per il brodo
che potrete prepare anche il giorno prima: in quattro o cinque litri di acqua mettete 500 gr di muscolo di manzo e 1/4 di gallina da brodo, 1 carota, 1 costa di sedano, 1 cipolla in cui infilerete un chiodo di garofano,una piccola patata sbucciata. Fate prendere bollore e lasciate sobollire piano per circa 3 ore (1 ora se usate una pentola a pressione). Filtrate il brodo con un colino molto fine e tenete da parte.
Preparazione dei CappellettiTortellini. Tirate la sfoglia (sei uova per le quantità del ripieno). Dividete la striscia di sfoglia con due tagli longitudinali. Tagliate ancora le strisce, ottenendo tanti quadrati. Mettete al centro di ogni quadratino una "pallina" di ripieno, ripiegate gli angoli del quadrato ad ottenere un triangolo rettangolo. Schiacciate bene i bordi per saldare la pasta, fate un ulteriore piega prendendo il triangolo dalla base e ripegate questa verso il vertice lasciando quest'ultimo scoperto a formare una piccola barchetta. Ripiegate i vertici su se stessi fino a saldarli sulla forma di un dito, e fino ad ottenere il tortellino.

L'alternativa è rimediare uno stampo come quello della foto e produrre i cappelletti. Direi che guardando la foto il significato del nome sia scontato.

Ora riportate il brodo a bollore tuffateci i tortellini o cappelletti, la quantità dipende dai commensali, se penso a "spaccaball" e a "chi?che?co?io?", vi dovrei dire una quantità industriale, fate ritornare il bollore e dopo un minuto (assaggiate a volte la pasta può rimanere dura) servite a tavola con una bella grattata di parmigiano reggiano.
Per godere fino in fondo Vi propongo di accompagnare il piatto con un Cartizze, la cui morbidezza amabile e i cui profumi possono tranquillamente esaltare un piatto di tortellini in brodo.

07 dicembre 2006

Nulla si crea e nulla si distrugge, ma...


... tutto si trasforma.


Il postulato di LAVOISIER, colui che definì la chimica moderna, fa sì che la combustione di una molecola di metano in reazione con due molecole di ossigeno, possa produrre una molecola di anidride carbonica e due molecole di acqua, così che la formula stechiometrica sarà: CH4 (g) + 2 O2 (g) → CO2 (g) + 2 H2O(g).

La cucina è un laboratorio chimico senza provette. Qualcuno sorriderà, ma è così, la chimica la fà da padrona in cucina. A cominciare dalle tre o quattro reazioni di Maillard che provocate ogni giorno, le quali trasformano proteine e zuccheri in composti aromatici. Per arrivare ai legami di ditirosina che imprigionano il glutine nell'impasto del pane. Passando per una delle leggi fondamentali in cucina: le proteine si denaturano e coagulano (cuocino) a 66°C. Ergo un filetto di manzo ha 67°C non ha più niente da raccontare.

Per i più curiosi consiglio una lettura serale, che tra formule stechiometriche, metodi di cottura e trucchi vari, analizza e spiega chimicamente cosa succede in quella stanza della casa: "Pentole & Provette".

Ma torniamo all' esperimento in oggetto oggi, come potete vedere ci troviamo di fronte ad un insieme marino (foto in alto) che per effetto di un processo di riscaldamento diventa quello che è, nella foto in basso. Nello specifico la formula stechiometrica sarà:

3Cc+2Cnc+3Vc+2Ca+3Mz+Pr → 4CCnVCaMz+4Tg+Pr.

Quindi con 3hg di cozze (Cc), 2hg di cannelli o cannolicchi, (Cnc) 3hg di vongole (Vc), 2hg di calamari (Ca), 3hg di mazzancolle (Mz), si ottengo 4hg di CCnVCaMz, che altro non è che: sugo allo scoglio. Le "c" minuscole (cocce o gusci) si trasformano in 4hg di tagliatelle, il prezzemolo (Pr) rimane prezzemolo.

Per procedere in questo esperimento procuratevi gli elementi della prima foto. Mettete a bagno le vongole in acqua salata che cambierete almeno un paio di volte, pulite le cozze dalle barbe, aprite e pulite i cannelli e tagliateli a pezzettini, togliete le teste alle mazzancolle ed eliminate il budello dorsale della coda, pulite, lavate e tagliate a rondelle i calamari. In una casseruola a fuoco vivo con poco olio, cuocete le cozze e le vongole, appena cominciano ad aprirsi fermate la cottura mettete da parte coperte, e filtrate il sughetto. In una padella fate soffriggere due spicchi d'aglio e un pezzo di peperoncino con dell'olio buono, tuffate otto pomodorini a pezzi, buttate i calamari, i cannolicchi e le mazzancolle, salate (poco). Dopo due minuti a fuoco vivo aggiungete le cozze, le vongole e il loro sughetto, lasciate andare per un altro minuto. Abbassate il fuoco, scolate le tagliatelle al dente, che avevate messo a lessare, saltatele nella padella con il sugo di pesce, aggiungete acqua di cottura della pasta se occorre. Fate rapprendere, spegnete aggiungete prezzemolo tritato e servite aggiungendo un bel filo d'olio buono.

Se l'esperimento è riuscito, il composto che ne risulta (foto in basso), dopo circa 15/20 minuti dovrebbe essere sparito, lasciando magari qualche "c" coccia solitaria.

Non avrei dubbi di sorseggiare durante questo esperimento una Falanghina, magari di "Feudi di San Gregorio".

06 dicembre 2006

"Pasta tutor guide" - Lasagna

Riprendo il capitolo della pasta fatta in casa con una preparazione abbastanza semplice. Dò per scontato che nel frattempo la tagliatella è stata provata e digerita. Semplicità non significa che mezz'ora dopo aver letto la ricetta siete già con le gambe sotto il tavolo, semplicità è comunque in funzione della complessità base, di un piatto come, in questo caso, la lasagna. Lasagna che nasce storicamente da queste parti ad Ancona, qui "la piccola cuoca" fa la spiega precisa e attendibile di come nacque il piatto.
Quindi: quelli sono i veri "Vinci o Princi sgras", poi ci sono le lasagne con il ragù tradizionale, scontate, invece qui propongo una:

Lasagna con verdure e ragù di agnello

Tempo prima
Preparate le verdure, per quattro persone, due carote, un cuore di sedano bianco, 200 gr. di piselli, due zucchine grandi e 6 funghi prataioli (champignon) coltivati. Pulite le carote e il sedano e tagliateli longitudinalmente in pezzi lunghi 5/6 centimetri, cuoceteli al vapore per circa due minuti, aggiungete i piselli e cuocete per altri due minuti. Togliete, raffreddate, riducete a tocchettini le carote e il sedano e mette da parte. Lavate le zucchine e tagliatele per il senso della lunghezza eliminando la parte bianca con i semi, lavate e pulite i funghi, poi tagliate funghi e zucchine a tocchettini . Saltate in padella con poco olio per 5 minuti a fuoco vivo, incorporate le verdure che avete precedentemente cotto al vapore e lasciate andare per un minuto. Spegnete il fuoco e salate.
Procuratevi 400 gr di polpa magra di agnello (coscio). Sminuzzate finemente con un coltello, oppure fatevela macinare grossolanamente dal vostro macellaio. In una casseruola fate appassire in poco olio e burro la carota e la cipolla tritate finemente. Aggiungete la carne e fatela rosolare a fuoco vivo, salate, pepate e sfumate con del vino bianco, fate evaporare e spegnete.
Preparate la besciamelle sciogliendo 50 gr di burro (dose per 1/2 litro di latte) e incorporando 2 cucchiai rasi di farina, quando burro e farina saranno incorporati in una massa densa, aggiungete il mezzo litro di latte. Fate andare a fuoco medio fintanto che la salsa non comincia ad addensare, lasciate andare per altri tre minuti (deve restare piuttosto fluida) spegnete il fuoco, salate e insaporite con noce moscata.
Preparate la sfoglia come da istruzioni tagliatela a pezzi di circa 15 cm di lato, lessatela per 2/3 minuti in abbondante acqua salata dove avrete aggiunto 3 o 4 cucchiai di olio, scolate e mettete ad asciugare su di un canovaccio.

Assemblaggio.
Preparatevi tutto l'occorrente: ragù di agnello, verdure, besciamelle e 150gr di parmigiano reggiano grattugiato. Imburrate una teglia e disponete un primo strato di pasta a coprire il fondo, condite con le verdure, tre o quattro cucchiate di besciamelle e una bella spolverata di parmigiano. Altro strato di pasta ma questa volta condita con il ragù, ancora besciamelle e parmigiano. Continuate così fino a fare cinque o sei strati di pasta, alternando la verdura alla carne. Terminate con besciamelle e parmigiano e qualche fiocchetto di burro. Considerate che per fare una teglia per 4 porzioni (abbondanti) sono sufficienti 3 uova di pasta.

Poi infornate a 180° per circa 40 minuti o finchè la superficie non avrà fatto una bella crosticina dorata, impiattate e godete.
Beveteci un bel bianco poco avaro di alcool, Verdicchio classico superiore dei Castelli di Jesi "Macrina" della cantina Garofoli, oppure, ancora meglio, andate sul loro "Brut Riserva - metodo classico" sempre a base di uve Verdicchio.

03 dicembre 2006

Ricette sparse (4)

I luoghi, generalmente, vengono ricordati dalle immagini, l'ossesione fotografica di chi sta in vacanza, serve, o dovrebbe, a memorizzare definitivamente un luogo, la sua bellezza estetica, oppure a "certificare" che in quel luogo si è stati. Quello che le foto non fanno è memorizzare i profumi, i sapori gli odori dei posti, i dettagli banali. A me sono questi che rimangono in mente. Nella mia infanzia ho passato un' estate o forse due a Fenice Capanne, un paese (quattro case) della Toscana mineraria, a pochi passi da Massa Marittima e una manciata di chilometri da un mare che non ricordo. Ricordo invece il negozio di alimentari, un emporio che vendeva di tutto, ma che in particolare sul bancone aveva quattro enormi (per me che ero bambino) barattoli trasparenti colmi di grani di zucchero, di palline di zucchero colorate, di confettini color argento e bianchi. Aivoglia a spiegare ad un bambino di cinque anni o giù di lì che servivano per guarnire dolci. Uscivo di casa con cinque lire strette nel pugno, attraversavo la piazza, che stranamente era una pineta, mi guardavo intorno circospetto terrorizzato di incontrare il serpente "corridore" che nei racconti di mia zia infestava quei luoghi. Facevo la fila al negozio, quando era il mio turno la signora mi chiedeva solo quale tipo volessi, infilava le sue manone nei vasi e mi faceva un cartoccetto di confetti di zucchero. Uscivo contento e centellinavo quei confettini per un paio di giorni, custoditi nelle tasche dei pantaloni. Oggi ci faccio i:

Biscotti all'ammoniaca:

Battete 3 uova intere, con 200 gr. di zucchero e 50 gr. di burro (la ricetta originale prevederebbe strutto), una volta montate aggiungete 60 gr di latte e 10 gr di ammoniaca e mezza buccia di limone grattugiata. Aggiungete la farina fintanto che l'impasto risulterà morbido ma non appiccicoso (circa 400 gr). Stendetelo con il mattarello fino ad ottenere uno spessore di circa 1 cm. Tagliate i biscotti a rombo (o la forma che preferite), disponeteli su di una teglia imburrata e infarinata, spennelate con il rosso d'uovo, guarnite con zucchero semolato e con gli zuccherini, infornate a 180° per 15 minuti.


Il Ciambellone (con la ricotta)

Battete 3 uova intere con 200 gr di zucchero, aggiungete un cucchiaio di marsala (o mistrà) la buccia grattugiata di un limone. Una volta che le uova sono ben montate aggiungete 200 gr di ricotta vaccina, lavorate bene l'impasto e incorporate 300 gr di farina e mezza bustina di lievito per dolci, incorporate il tutto e versatelo in una forma ben imburrata. Guarnite con gli zuccherini e cuocete in forno ventilato a 180° per circa 40 minuti.

01 dicembre 2006

"Sfoglia" user's quick guide ver. 1.0


Qualcuno mi chiede, direttamente, di fornire istruzioni sul come farsi la sfoglia in casa. La richiesta è seguita dalla domanda: "è difficile?" La risposta è: "come far funzionare loockdown in rete con la VPN sù !"
Naaaaa, non è così complicato, basta disinstallare la VPN e accertarsi che i drivers delle uova e quelli della farina siano compatibili, in caso contrario dovete aggiornare il firmware delle galline.

A parte le idiozie per poter essere autonomi nel farsi una sfoglia di pasta fresca, fermo restando che il massimo è farla a mano con il lasagnolo (mattarello), occorre dotarsi quanto meno di una sfogliatrice. Qui trovate la meno costosa, totalmente manuale e a manovella, ma efficacia (da 30€). Fino ad arrivare qui all'impastatrice e sfogliatrice (accessorio) (da 400€ e oltre).

Fate a mano l'impasto utilizzando la regola aurea di 1 uovo ogni etto di farina 00. Fate una fontana con la farina rompete le uova, aggiungete un pizzico di sale e ammalgamate
le uova "battendole" con una forchetta, incorporate la farina un poco alla volta togliendola dai bordi. Quando la forchetta diventa inutilizzabile proseguite a mano, lavorando a lungo. L'impasto deve risultare omogeneo, liscio e non "appiccicoso".
Una volta lasciato riposare l'impasto in frigorifero, venti minuti, coperto o avvolto in pellicola trasparente, potete lavorare la sfoglia. A seconda di quello che sarà il prodotto finale preparatevi tutto l'occorrente.

Tirate la sfoglia lo spessore è una questione di gusti e di preparazione: nr. 7 per paste ripiene e lasagne, nr. 6 per tagliatelle, nr 5 per tagliolini.
Una volta tirata la sfoglia e ottenuto un lungo rettangolo, senza altra lavorazione, se non dividerla in pezzi lunghi circa 12 cm, potrete ottenere:
Lasagne o cannelloni, scottando la sfoglia in acqua salata in ebolizione, asciugandola su un canovaccio, disponendola in teglie imburrate condita con ragù, besciamelle, parmigano grattugiato e farcita di carne o di magro nel caso del cannellone.
Tagliatelle, avvolgendola in questo modo, disponendola su di un tagliere così, e tagliandola poi per il lato più corto ottenendo questo.

Alla prossima per: Ravioli di magro,
Tortelloni, Tortellini da brodo.

Cominciate ad allenarvi , che tra poco è Natale, sotto a far tortellini !!

29 novembre 2006

Peccare di presunzione.

CiboePoesia? Chissà dove mi porterà sta cosa?!


Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l'umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento

Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso

Locvizza, il 2 ottobre 1916

Una poesia che definisce cosa sia la Poesia, quale miglior inizio.

Ungaretti scrisse questi versi dopo aver conosciuto Ettore Serra che eglì definirà così: "Parlare di Ettore Serra è un po’ parlare di me". S'incontrano per caso a Versa, nelle retrovie friulane del fronte orientale del Carso. Serra s'informa degli scritti di Ungaretti e Lui, spiega cosa sia Poesia: essenza e linfa vitale. Qualche commilitone che assiste, schernisce il poeta quando egli spiega che: "... la poesia non poteva essere se non pura, venendo da un atto purificatore". Le ultime tre righe, rispondono allo scherno, chiudendo definitivamente il discorso, come una pesante sentenza.
La prima strofa, invece, è dedicata allo stesso Ettore Serra, caratterizando significativamente il concetto di poesia, la quale fin dall’esordio, appare strettamente connessa con l’amicizia, con la gentilezza, con la sfera degli affetti.
La totale mancanza di punteggiatura rende, poi, profonda e totale la definizione di poesia stessa, con quell’accostamento de il mondo l’umanità la propria vita senza soluzione di continuità.

Quel giorno Serra se ne andrà con il tascapane di Ungaretti, come egli stesso ricorda qui. Quando lo riporterà avrà "confezionato" e curato, la prima raccolta del poeta: "Il Porto Sepolto". Mancherà solo l'ultima poesia quella sopra: "Commiato".
Che cibo abbinare ad una poesia così, meglio, ad un poeta così ?
Il cibo della sua terra, quella dove nacque ad Alessandria d'Egitto, e dove la madre, anche dopo la morte del padre, continuava a gestire un forno alla periferia della città, ai confini con il deserto: "la casa d'infanzia dista quattro passi dalla tenda del beduino, in una zona di subbuglio."

Cous cous di verdure e tonno

Tagliate a tocchetti le verdure: zucchine, melanzane e peperoni, saltatele in padella dove avrete fatto imbiondire, in poco olio buono, uno spicchio d'aglio e una cipolla affettata. Cuocete le verdure a fuoco vivo e quando sono pronte spegnete il fuoco e salate. Aggiungete qualche oliva taggiasca sott'olio, del tonno rosso sott'olio anch'esso e qualche cappero sotto sale. Preparate il couscous 5/7 minuti ammollato in acqua calda, usate una forchetta per tenerlo ben separato. Incorporate alle verdure, aggiungete due cucchiai di aceto di vino e un poco di olio buono a crudo.

Vino di terra siciliana profumato e delicato Viogner di Calatrasi.

26 novembre 2006

Tra poco è Natale... era ora!

Ci sono cibi che, lontani dalla loro terra di origine, non riescono ad uscire dalla loro "stagionalità". Legati, troppo, alla tradizione di un evento, di una data. Il Cotechino è uno di questi. Lontano da Modena, dove sicuramente lo si torva tutto l'anno, questo profumato salume compare solo a "ridosso" del Natale.
Il cotechino è inserito nell'elenco "nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali", mentre il cotechino di Modena è un prodotto IGP con regolamento CE 590/99.
Quest’insaccato, fatto con la carne del "buon porco" ha una composizione di carne magra, grasso e cotenne (cotiche) in proporzione, circa, di 1/3 ciascuno. La carne deve risultare di una granulosità media con le cotenne a conferire quella consistenza gelatinosa. È insaccato in budello di suino, una tempo asciugato in stanze con la presenza di braceri o camini, oggi con metodi meno tradizionali, dopo un mese può essere consumato. Il profumo e il gusto sono assolutamenti "tipici" e inconfondibili. La ricetta? Un segreto per ogni norcino.
Qualche giorno fà passo a trovare il mio "amico" macellaio. Avevo da ritirare una certa quantità di cose, due chiacchere sempre in argomento, e mentre stiamo disquisendo sul pezzo migliore per un brasato (per me stinco e guancia), mi cade l'occhio alle sue spalle. Noto partendo da sinistra verso destra, tre lonze una decina di salami, qualche pancetta e quattro o cinque cotechini. Memorizzo. Saluto. E vado a casa.
Qualche ora dopo, mentre "defininiamo" il menù della settimana, Lella, suggerisce almeno una cena, a base di legumi. Facile come bere un bicchire d'acqua. Lenticchie (passione familiare), ma stavolta con cotechino e purè. Detto fatto:

Cotechino con lenticchie e purè.

Lenticchie di Colfiorito, se possibile, queste poi sono "super". Non è necessario ammollarle, basta cuocerle con gli odori, carota, sedano, cipolla, per un novanta minuti, assaggiate: la cottura varia molto. In una pentola a parte preparate un soffrito di aglio cipolla e pomodoro, odori se piacciono (salvia, timo, maggiorana), ripassateci le lenticchie con pochissimo brodo di cottura, facendo appena alzare il bollore.
Preparate il purè nella più tradizionale delle ricette, patate lesse, sale, latte, burro e parmigiano. In un piatto disponete il cotechino che avrete fatto bollire per un 40-50 minuti a seconda della grandezza, affiancandolo dal pure e dalla lenticchia. Dimenticate il pane e nella migliore tradizione di abbinamento regionale tra cibo e vino aprite una bottiglia di Lambrusco Grasparossa di Castelvetro di Cleto Chiarli. Qui il sito del consorzio di tutela dei Lambruschi.

Sarà che non passiamo direttamente alla possima estate, saltando il Natale, con il caldo che fà.

25 novembre 2006

Cronache "cicerchiane"

Faceva caldo ieri sera, roba da andarsene in giro solo con una felpa, ed era il ventiquattro novembre. Alla festa avevano acceso, come sempre, anche i "foghi", così faceva ancora più caldo.


La slow food ha premiato, prima edizione del premio sulle biodiversità, un contadino che si impegna a non far sparire prodotti tipici e destinati all'estinzione. Me lo immagino in questo suo orto circondato da filo spinato e con una mitragliatice in mano a difender pomodori e melanzane come quei soldati giapponesi ritrovati, trent'anni dopo la fine della guerra, dimenticati nelle isole in mezzo del pacifico: in bocca al lupo.


"Spaccaball" era nervoso, sarà stato il caldo, ma era nervoso. "chi?che?co?io?" ha fatto il servizio fotografico della festa, ... ! Alle sei avevano già fame ho cercato di intrattenerli spiegando la cicicerchia e come si usa, peggio, la fame è aumentata. Li ho coinvolti in una mostra fotografica, di un bravo fotografo che ha messo le Marche nel suo obiettivo. Li ho distratti con l'acquisto del legume alla cantina de "La Buona Usanza", e di un ottimo formaggio di un buon produttore che presto andremo a trovare a casa di lui. Ma dove ti giravi era tuttto commestibile, tanto che "chi?che?co?io?" ad un certo punto è sparito. Lo abbiamo ritrovato nei pressi di un chiosco che vendeva "pane e gaungiola". Il guanciale tagliato sottilisimo viene scottato in padella con odori e vino e poi messo tra due fette di pane. "Hai mangiato un panino?!" "Chi io? No". Aveva gli occhi che stentavano indifferenza, le labbra unte e la bocca impastata da quella patina di grasso succulento. Invidia.
Alle sette non li ho più tenuti, "spaccaball" voleva a tutti i costi i biscotti di una pesca di beneficenza e "chi?che?co?io?" continuava a lamentarsi dei crampi allo stomaco. Cantina della Botte. Cresciola di polenta con le erbe tanto per gradire, zuppa di cicerchia con maltagliati e tagliatelle di cicerchia (ottime), maritozzi di mosto e "nutella". E' finita che mi sono ritrovato completamente zuppo di vino, "chi?che?co?so stato io?".
Presto qualche ricetta a base di cicerchia.

23 novembre 2006

Ricette sparse ..(3)

Ne avevo accennato qualche post fà, ma poi non era mai capitata l'occasione propizia per consumare, seriamente, il "prezioso" fungo. Ho evitato di "postare" la ricetta di bresaola e insalata di porcino crudo, mi sembrava poca cosa, anche se a me piace da morire, specialmente se la bresaola è quella vera. Ammetto, comunque, di esser cosciente che il porcino, come tutti i funghi in genere, andrebbe consumato immediatamente dopo la raccolta, ma a volte è impossibile. Quindi congelatore, e debbo dire con discreto risultato, avendo l'accortezza di congelarli tagliati e separatemente, cuocerli poi senza decongelazione. Il mio porcino preferito? Il porcino nero meglio definito come boletus aereus , una volta cotto semplicemente saltato in padella è "krokkante" (uso le k sperando di dare maggiore sensazione). E come farlo morire ?
Metodo 1:
Ravioli di magro ai porcini.

Preparate i ravioli usando per la sfoglia 500gr di farina 00, 5 uova, un pizzico di sale e un cucchiaio di olio di oliva xv (extravergine). Mentre per la farcia occorrono: 500gr di ricotta vaccina, 500gr (a crudo) di spinaci, che cuocerete saltando in padella nel loro liquido, 100gr di parmigiano reggiano, 50gr di pecorino di fossa di Talamello (sciovinismo puro), sale, pepe e noce moscata.
Saltate i porcini con aglio e prezzemolo in poco olio e burro buoni, appena colorano fermate e salate. Lessate i ravioli poi saltateli in padella con i porcini, aggiungendo una noce di burro.
Parmigiano ? Qui potremmo disquisire per giorni, se ne può mettere, ma poco, guai a coprire il porcino. Altri non ne vogliono sentir parlare. Ricordo quando mangiando in un trestellato ristorante ebbi l'ardire di chiederne su di una pasta ai porcini, appunto (tipo strozzaprete o pincinelle). Il cameriere corse a chiamare lo chef/patron, il quale partendo da una sua sana ragione di fondo, arrivò a farmi una lezione sul senso della vita e del cibo. Potevo capire le ragioni di fondo e avrei accettato, di buon grado, la preparazione senza parmigiano, ma la cosa andò troppo in là: pretesi il parmigiano e ne feci scempio.
Metodo 2:
Tartare di filetto ai porcini.

La ricetta della vera tartare la trovate qui, io evito la cipolla, lascio l'erba cipollina (ciboulette), e pastorizzo le uova a bagnomaria. Ma se dovete abbinarla con dei porcini va un pò modificata.
Per cominciare la carne deve essere acquistata da un macellaio "amico", la fiducia non basta quando si mangia carne cruda. Si può usare anche il controfiletto, ma il filetto è l'ideale. Non va macinata ma battuta al coltello.
Poi preparate una salsa con un cucchiano di mostarda dolce, una spruzzata di tabasco e un cucchiaino di salsa Worcestershire. Aggiungete due capperi a testa, timo, maggiorana, origano freschi e un cucchiaio di olio buonissimo. Ammalgamate il tutto e aggiungete due rossi d'uovo che avrete ridotto a crema fluida cuocendoli a bagnomaria. Aggiungete il composto alla carne, e servitelo con i porcini, non che avrete saltato in padella con olio e con gli stessi odori della carne.
Il vino? Quel giorno ho dato priorità alla pasta (non posso aprire due o tre bottiglie da solo) e quindi sono andato con la Bonarda di Caseo, OPP (Oltrepopavese), stupenda sulla pasta ripiena, tranquilla per i porcini. Per la carne, confesso che io ho continuato con la Bonarda (non posso aprire due o tre bottiglie da solo), sarebbe, però, da preferire una maggiore morbidezza ed una struttura più decisa, sempre da Caseo, le opportunità sono un riesling renano "Le Segrete" o uno chardonnay "I Ronchi".

19 novembre 2006

La merenda ... di Nonna

Ho un caro amico, che è stato sempre di poche parole. Ci siamo conosciuti lavorando: Abbiamo passato qualche anno assieme. Bellissimo periodo di quelli che quando ricordi dici, "ci siamo divertiti", poi ci pensi e stavi lavorando. Dovrebbe essere sempre così.
Oggi siamo rimasti amici con lavori diversi e ogni tanto ci ritroviamo a mangiare buon cibo e a bere un bicchiere buono.

Un giorno d'estate, dopo un pranzo veloce e gustoso, ci mancò il dolce. Attaccai allora con una sequela di ricordi legati alla mia
infanzia. Cominciai a scodellare tutte le "merende di quando ero piccolo": paneacquazuccheroevino, paneburroezucchero, paneecioccolata, e via dicendo. Lui non disse nulla. Si alzò. Prese dal frigo un po' di ricotta, la mise in un piattino e ci spruzzo intorno zucchero e cannella in polvere. La mangiammo spalmandone generose cucchiate sul pane, "pucciate" anticipatamente tra zucchero e cannella. Quando tutto fu finito, mandò giù un sorso di passito, si accese un mezzo toscano e mi disse: "Questa era la merenda che mi preparava mia nonna".

Tempo dopo ho cominciato a rimuginare su questo piatto, per reinterpretarlo in chiave un po' più moderna. Così via sms ho fatto una proposta, bocciata
, un'altra, bocciata, un'altra, richiamo all'ordine: nulla a che vedere con l'origine della ricetta.
Poi tra le ricette della mia famiglia, che sto cercando di raccogliere, ho trovato il dolce che mia nonna mangiava un secolo fà. Quando scrivo un secolo, non è un secolo come quando dici ad un amcio:"... è un secolo che non ci vediamo!". Il mio secolo sono 100 anni, mia nonna nacque nel 1901 e io penso che lasciandomi tra i suoi ricordi di bambina questo dolce, i suoi cinque anni fanno un secolo. Questo dolce, dunque, sempre a base di ricotta, veniva condito con lo zucchero e, indirettamente, con la cannella. In effetti questa ci finiva in forma diversa dalla polvere. La ricotta e lo zucchero venivano bagnati dall' Alchermes.

Alchermes etimologicamente dall'arabo Al(il) e Qirmiz(verme), deve la sua colorazione rossa al Coccus bophica o al Planococcus. Che altri non sono che: cocciniglie, animaletto infestante delle piante. I quali venivano seccate e ridotte in polvere. la preparazione casalinga prevedeva alcool in infusione con chiodi di garofano e cannella ed altri aromi. Lo zucchero, un secolo fà, era poco usato, roba troppo fine, il succedaneo per eccellenza, il miele.
La nonna della pianura rovigiotta, incontra la nonna dei monti marchigiani in una simbiosi dolce e profumata e quindi caro Tu, la prossima volta che vieni a pranzo da me (anzi muoviti), ti faccio trovare una:

Mousse di ricotta e cannella, con sciroppo di alchermes e miele di acacia.

In una terrina impastate la ricotta con poco zucchero e una spruzzata di cannella. Disponete nel piatto dando la forma preferita, spolverate con zucchero e cannella e disponete miele di acacia e sciroppo si alchermes, ottenuto sciogliendo 200gr di zucchero e 6 cucchiai di alchermes.

18 novembre 2006

Facciamola in casa.

Qualche sera fà mi viene un'idea grandiosa: non ho voglia di cucinare (capita no!) e allora lancio la proposta di andare a provare una vecchia pizzeria riaperta dopo molto tempo. Reazioni del nucleo familiare:
"spaccaball" (figlio piccolo), "Tsiii viva io vojo la pizza bianca".
"cheèchedevofare?" (figlio grande), "Siamo sicuri? Non è meglio farcela in casa, come sempre ?".
Mogliepensiero "meglio così non devo lavare i piatti".
Tra me e Lella c'è una "regola" (almeno per me) mai detta e mai dichiarata che io pulisco fintanto che cucino e poi i piatti li fai lei, (speriamo che adesso non cambi idea). Comunque si parte, destinazione pizzeria vecchi ricordi. Mentre andiamo "spaccaball" parla, tendenzialmente, da solo. La sua pizza bianca diventa prima con il pomodoro ma senza mozzarella, poi ci mette la mozzarella, alla fine, non si sa come, arrivano i wurstel. Cerco di impormi, di far capire che i wurstel non fanno parte della ricetta originiaria della pizza, che alla fine non sai neanche che cosa mangi. Ma fagliela cambiare te idea ad un "grillo" di cinque anni. Bene che ci sbatta il muso da solo.
Arriviamo: il luogo è piuttosto "standard" simil pub, stile camera da letto, si vede che l'architetto è la prima volta che progetta e arreda una pizzeria. Tovagliette e tovaglioli di carta, ottimo ci stanno (ma poi perchè pago sto c... di coperto?). Ordiniamo la pizza, cerco con disperazione un'insalata o anche una verdura cotta, ma nel menù nessuna traccia. Chiedo.. "Lo chef non fa insalate e verdure cotte, siamo una pizzeria." Allora non è "chef" ma un piazzaiolo, e poi dove sta scritto che non devi fare verdure aldilà di patate fritte congelate e finte olive e cremini all'ascolana? La birra non ha marca, nonostante la richiesta di informazioni resta totalmente anonima. Allora, per non saper ne leggere ne scrivere, chiediamo della gazzosa per autoprepararci una "panachè". "La gazzosa è finita". Mi viene in mente di chiedere cose che non berrei mai, per capire cosa hanno e non hanno. Ma Lella mi da un calcio e mi fulmina con lo sguardo.
Arriva la pizza, estremamente fina come non piace a me, la mozzarella deve aver deciso di non collaborare e se ne andata. Il centro della pizza ha subìto una modificazione organolettica e si è fuso con gli ingredienti in una "pappa" dove riconosco solo un' oliva e un carciofino. I carciofini sono tanto sottaceto, un po' sfatti dall'ossidazione. "Spaccaball" sta scartando tutti i wurstel, ha già deciso che non fanno per lui. Leo mi guarda, commiserandomi mi dice "Che t'avevo detto?". Mangiamo, l'immangiabile, la sola pizza che si salva è quella di Lella: bianca con mozzarella, pomodori e rucola fresca.
Chiediamo il conto, se avessimo mangiato bene sarebbe onesto: 4 pizze 28.0€, 2 birre 4.0€, 1 acqua 1.5€, 4 coperti 4.0€, totale 37,5€.
Ritorniamo a casa, commentando che no non ci torneremo più. Leo protesta "Domani sera mi fate la pizza." L'abbiamo fatta e ho fatto anche una piccola analisi dei costi degli ingredienti casalinghi non sono riuscito a superare i 15€ per 4 persone, contemplando 300gr di mozzarella seria (4€), 100gr di prosciutto cotto (1,7€), 50gr carciofini (1,2€), 50gr olive taggiasche "S.Lorenzo" (0,47€), 500gr di farina (0,6€), 250gr di salsa di pomodoro (1€), 2 birre Menabrea (2€), altro e costi fissi (3,5€).
Quindi, a meno che non abbiate una "signora" pizzeria sotto casa questa è la ricetta per la:

PIZZA

Sciogliete 25gr di lievito di birra in poca acqua, unitevi un pochino di farina fino ad avere un impasto fluido ma omogeneo, coprite e lasciate riposare almeno mezzora. Mettete la farina (300gr di tipo 0 e 200gr di Manitoba) sulla spianatoia, o se l'avete nell'impastatrice, aggiungete 3 cucchiaini di sale e 2 cucchiani di zucchero, Impastate con 100gr di latte e 150gr di acqua (quest'ultima deve essere aumentata o diminuita a seconda della consistenza dell'impasto), e aggiungete la pasta già lievitata. Impastate con energia e lavorate a lungo fino ad avere un'impasto che sia morbido, elastico e non si attacchi alla spianatoia, mettetelo in una terrina, incidete una croce sopra e coprite, lasciando lievitare almeno 2 ore. Rieseguite la lavorazione sull'impasto fino a ridurlo di volume poi stendete su delle placche da forno, condite l
a pizza. Infornate in forno ventilato a non meno di 220°.


Non fate questa pizza! Ero un giovane scopritore e non avevo ancora scoperto nulla andate a vedere questa ricetta oppure questa qui.

16 novembre 2006

Farsi del Bene

Se il cibo è piacere, e lo è, mangiare vuol dire volersi bene. Preparare del cibo e offrirlo a familiari ed amici, è un modo come un altro per dire "ti voglio bene". Di più, cucinare in maniera sana è un modo di aver cura di chi mangia, siano essi figli, amici o clienti. Cucinare bene un cibo potenzialmente "pericoloso" vale di più.

La frittura è uno di quei piatti messi alla gogna da "moderne tendenze salutiste", paraocchiate, e poco obiettive che serpeggiano nella cronaca giornaliera. L'accortezza è non abusarne come per tutte le cose. In passato anche chi era costretto a mangiare polenta tutti i giorni incorreva nella famosa pellagra. Ma non era la polenta a far male, lo era invece la mancanza di vitamine che la polenta non apportava e che la povertà faceva mancare.
Una frittura, ben fatta, fa molto meno male di quanto possa farlo una crostata fatta in casa usando margarina invece che sano burro (parlerò presto anche di lui), o magari acquistandoe e mangiando, merendine e biscotti, con prezzi convenienti, ma che usano grassi idrogenati. Leggete le etichette, sempre, il burro e l'olio extravergine costano "troppo" per i grandi produttori alimentari.

Ma parliamo di frittura. Per ben iniziare ci vuole un buon olio per friggere, le cui caratteristiche organolettiche principali sono due: punto di fumo e sapore. Il punto di fumo è la massima temperatura raggiungibile dall'olio oltre la quale questo degrada decomponendosi nei suoi composti principali. Si formano, cioè, composti ad alto peso molecolare (polimeri) non digeribili, nonché alcuni prodotti nocivi per l'organismo (alcoli, aldeidi). A quel punto si forma una sostanza acre e irritante (acroleina) che si volatilizza in un fumo dall'odore sgradevole, mentre a contatto col cibo rimangono acidi grassi liberi, sostanze delle quali è accertata la nocività. Gli oli migliori sono quindi quelli che hanno un punto di fumo alto, Sì ad arachide, olio di oliva, burro chiarificato (non italiano) e strutto. No ai semi vari e ai "friol". In questa tabella troverete tutto.
Poi fate attenzione non fate mai fumare l'olio, munitevi di termometro da cucina e controllate la temperatura, max 180°, dopo un paio di volte avrete esperienza per fare ad occhio.
Il sapore è una questione puramente soggettiva, a me per esempio non piace friggere con strutto e olio di oliva perchè questi due grassi hanno aromi caratterizzanti che si trasferiscono nel cibo. Una zucchina fritta in olio di oliva difficilmente non saprà di olio di oliva. Mentre gli oli di semi sono decisamente più neutri nei sapori. Dedico il burro chiarificato alla preparazione della sola WIENER-SCHNITZEL (un giorno scriverò la ricetta).
Ora vi resta una sola cosa preparare un:

FRITTO MISTO
Per la carne:
Manzo, maiale, pollo e agnello (200 gr a persona) magri, fatti a fettine piccole.
Spolverate la carne di farina, in una bastardella battete 2 uova, bagnateci bene la carne e passatela poi in un composto di 200 gr di pangrattato, 50 gr. di farina di mais e 50 gr. di parmigiano.
Per le verdure:
Zucchine, melanzane, carote, carciofi, fiori di zucca, cavolfiore, cipolla, salvia... continuo?
Preparate la pastella: battete un uovo intero, aggiungete un bicchiere di acqua gassata o birra ambrata freddissima 10 gr di lievito di birra, salate, incorporate farina fintanto che il composto risulti cremoso, lasciate riposare in frigo per un'ora.
Visto che siamo nella "Marca" rimediate Olive all'ascolana DOP. Purtroppo quelle congelate che trovate nei supermercati poco hanno a che vedere con la vera oliva ascolana, tanto che dal marzo 2005, si debbono chiamere ripiene e basta.
Ora considerato che la frittura è buona "cottaemangiata" e che se voi state a friggere non state a tavola, fate così: friggete prima la carne e le olive e tenetele in forno caldo a 90°. Poi friggete la verdura e andate a tavola anche voi.

Cosa ci dobbiamo bere? Qualcosa che "pulisca" la cavità orale (la bocca), allora 3 proposte: Birra Menabrea ambrata (l'effervescenza), un bel Verdicchio dei castelli di Jesi classico (alcool e acidità), o in alternativa un rosso giovane con un buon tannino e una bella freshezza.

Vogliatevi bene!