29 settembre 2009

Un' estate che non passa

E' buio. Di un buio pesto, che sa di inverno. Eppure l'estate è appena finita.
O forse no. Non se ne è ancora andata, se un paio di ore fa, quando son partito, ho dovuto mettere il condizionatore a palla. Un sole che picchia, ma che scende veloce, e mentre viaggio distratto dal mondo che mi gira attorno, quel sole scompare dietro la linea dell'orizzonte. Là nella direzione in cui gli aerei si staccan da terra. Pian piano il crepuscolo lascia il posto alla notte. Gli aerei diventano luci. Lenti meteoriti che cadono al contrario. E adesso è buio, un buio pesto da fari accesi, che sfilano veloci dalla parte opposta. Ma è ancora estate, ci sono tutti i segni: il caldo, il cielo terso, prima che scomparisse, e le code.

Arranco lento nei lampi rossi dei freni di fronte. Sbircio negli abitacoli di un buio deserto. Ogni tanto qualche lampo mi rimanda facce insofferenti e sofferenti. Aspetto che il nulla che ci blocca, si materializzi nel vuoto di tre corsie libere. La radio racconta le solite storie banali, stancanti, bavose, tristi. Un desiderio di non appartenenza mi riporta nei posti del mio passato. Non serve. Serve solo a risvegliare inutili rimpianti. Riparto veloce, qualche centinaio di metri, rifreno, il pulsante rosso triangolare torna a lampeggiare tre, quattro volte.

Il telefono squilla. Sono lontano, troppo per cenare assieme, ancora di più per vederci prima di andare a dormire. Mi fermerò. Come sempre, a mangiare qualcosa, da solo, come quasi tutte le sere. Un cartello mi dice che a millecinquecento metri si sta avvicinando un'area di servizio. Una "A" stilizzata, con un baffo svirgolante, una forchetta e un coltello, ammiccano complici. Le frecce cominciano a lampeggiare, la velocità lenta aiuta ad abbandonare la carreggiata. Vedo la deviazione venirmi incontro e poi, passarmi accanto. Sfila la siepe, il distributore di carburante, la gente che si accalca sulle scale, il ristorante con la grande "A" che ora mi guarda andarmene.

Esco più avanti. Cesena mi abbraccia silenziosa. Un vialone diritto, verso il centro, due minuti di strada fino ad un parcheggio. Fermo la macchina, scendo nella fievole luce di un paio di lampioni infilati tra gli alberi. Mi avvicino al chioschetto, dentro un padre e una figlia si muovono veloci. La ragazza mi chiede cosa mangio. Il rumore dell'autostrada è lontano, le luci non accecano più.
La guardo e sorrido, do un'occhiata al menù appeso fuori, mi sa che prendo ...

Il Crescione



La pasta base è quella della piadina, ma tirata più sottile. Io la faccio così:
200 gr di farina "00", 300 gr di farina "2" (va bene anche una "0" normale) 15 gr di bicarbonato (nella versione in foto sono arrivato a 40 gr, la volevo più soffice e "sbriciolona" oltre si rischia) 50 gr di evo (anche se la tradizione vuole lo strutto) 15 gr. di sale 250 grammi di acqua. Impasto il tutto e lascio riposare in frigo per un paio d'ore avvolto in pellicola.

Preparo dei panetti uguali, 9 o 10 con la quantità indicata. Li stendo con il mattarello infarinando il piano. Li farcisco con verdure cotte (bietole) ripassate in padella con aglio, mozzarella, crudo. Oppure con pomodorini, mozzarella, basilico, parmigiano grattugiato e cotto.
Cuocio su padelle antiaderenti ben calde.



Quella sera è andata che ci è scappata una porchetta, come poche capitano di trovare. Una piada, i pomodorini, la porchetta e un filo d'olio ci è andata, eccome.



21 settembre 2009

Nero

Se aprissi la finestra di questa camera potrei sentirlo. Mi verrebbe in faccia con la sua nebbia umida, profumata di sale e di legno. Sentirei il suo rumoreggiare, dietro i palazzi di fronte. Immaginerei i suoi colori tra il nero e il grigio, dalla sirena del faro, che si sgola nella nebbia pesante.
Ma se ne sta la dietro nascosto dal numero nove di questa via Piemonte.

Basterebbe scendere in strada, fare pochi passi, giù, verso la statale, e dietro l'angolo me lo ritroverei di fronte. Nello spazio lasciato libero, allora, dal cemento. Un acqua di città, poco avvezza al turismo. Una striscia di spiaggia appena sufficiente ai residenti. Una sequenza di parallelismi quasi matematici: gli scogli, la spiaggia, la ferrovia, la statale, le case.

Eppure la prima volta che ci siamo incontrati l'alba brillava di quei soli invernali, caldi ma non fastidiosi. La luce biancheggiava sulle mura del duomo, e rimbalzava sulle sue onde appena accennate. Lungo la strada i trabucchi con le reti appese, mi venivano incontro con quella loro sensazione di vita imminente. Tradita poi dalla consapevolezza di un solitario abbandono. Basterà poco a far sì che quell'acqua diventi la presenza normale di un'adolescenza inconsapevole.

Lo vedrò sfilarmi a fianco mentre in autobus raggiungerò le mie scuole: sulla destra fino alle medie, sulla sinistra alle superiori. Rimarrà incastonato in tutti i paesaggi pomeridiani passati a giocare per strada. Quella distesa azzurra vista dai campi dietro alla città, fintanto che i palazzi non se li prenderanno. Sulla spiaggia nelle sere d'estate a passeggiare tra un pontile e l'altro. Sugli scogli nei pomeriggi di pesca con mio padre. Nello sciabordio triste e silenzioso lungo le banchine del porto, nei pomeriggi di domenica passati a "guardare le navi".

Uno sciabordio lontano dai rumori del traffico del centro. La curiosità ignorante di tre ragazzini di campagna. Le mura delle navi, che portano lontano, forse un giorno, da grandi. I colori che brillano ai pochi raggi di soli veloci ad andarsene. Il grigio delle banchine, il rosso e l'azzurro accesi delle navi e:

Il nero del mare e il porto di Ancona.


Mettiamo subito i puntini sulle "i" il nero di seppia non è parte della tradizione storica marchigiana, o quanto meno, a me non risulta. E il brodetto che citerò per questo piatto, poco ha a che vedere con il vero brodetto anconetano. Al mio mancano una decina di tipi di pesce: il brodetto di Ancona ne vorrebbe 13, e poi manca l'aceto. Ma per semplicità e per fantasia lo chiamerò brodetto.

Per circa 6 persone

Per la sfoglia:

Impastate 3 uova con 300 gr di farina "0", un pizzico di sale e due confezioni di nero di seppia (le bustine che trovate presso le pescherie, a meno che non avete una pesciarola che ve ne rimedia). Preparate l'impasto e lasciate riposare almeno mezz'ora in frigo.

Per la farcia del tortello:
ho utilizzato 300 gr di polpa di rana pescatrice, 300 gr di gamberi, il tutto passato al mixer. Ho insaporito con pepe, sale, noce moscata e la buccia grattugiata di un limone.

Ho tirato la sfoglia e fatto dei tortelli di media grandezza.

Per il "brodetto"
Ho preparato un fumetto con la testa e la lisca della rana, le teste dei gamberi e delle mazzancolle, qualche pescetto rimediato in pescheria, una carota, un pomodoro ramato e una cipolla. Ho lasciato il tutto ridursi per un paio d'ore. Poco prima di impiattare ho affettato finemente una mezza cipolla che ho lasciato imbondire con uno spicchio d'aglio in evo buono. Ho messo il fuoco al massimo e ho tuffato alcuni datterini affettati grossolanamente. Un minuto e poi ho aggiunto, pulite in precedenza, le code di 6 scampi e di 6 gamberi, 6 calamari piccolini fatti a rondelle, e 6 tranci spinati di cernia. Ho fatto scottare per 2 minuti.

Nel frattempo ho lessato i tortelli in abbondante acqua salata. Li ho saltati in padella con il pesce e ho poi aggiunto il fumetto, quantità a piacimento, filtrato in precedenza. Ho aggiunto una spruzzata di trito di prezzemolo e ho servito con un filo di evo buono a crudo.

A qualcuno è piaciuto inzupparci anche il pane, in quel ricordo di nero mare e di porto d'Ancona.

15 settembre 2009

Coso !

“Coso !”
“…”
“Quello che … ha sposato cosa ! La figlia di Giovanna !”
“…”
“Giovanna !. La moglie di quello che lavora al comune !”
“…”
E’ vero, io sono un tipo abbastanza dissociato dalla vita civica del mio paese. E’ vero anche che non amo troppo la vita “mondana” in genere. Quattromila anime che incontro, a parte la virtualità di questo blog, in piazza o per le vie giusto il sabato mattina quando vado a fare la spesa. Tanto che tempo fa è accaduto che un amico mi ha presentato ad una sua amica, lo ha fatto citando il mio nome e cognome di battesimo. La cosa ha lasciato l'amica fredda, abbastanza indifferente, un po' come a dire "e sti caaaazzi !" Poi il mio amico gli si è avvicinato e gli ha detto: "... é Loste della colica!" Apriti cielo.
E' così. D'altronde alla frequentazione serale del bar, preferisco le partite a “Uno” con Spaccaball. Ma certo che se per spiegarmi chi sia una persona si parte da “coso che ha sposato cosa”, io in questo paese non solo non mi integrerò mai, ma rischio anche di perdermi per le strade.
Qualcuno però arriva in mio soccorso, una memoria imbattibile nell’associazione nome/viso/evento. Roba da far ammosciare i circuiti di un cray. Quando Lella comincia a spiegare chi siano "Coso e Cosa" ho un espressione che la dice lunga su fin dove riuscirò a seguirla. Roba del tipo: ti prego, lasciami qui con una borraccia d’acqua ad aspettare la morte. Oppure: meglio sparami direttamente un colpo di in testa e non farmi agonizzare dietro ai nomi di gente non conosco, con cui non ho mai parlato e con la quale condivido solo il cap postale. Intanto mia madre continua:
“Lui. Coso ! Che ha sposato cosa !...”
“La figlia di Giovanna” intervengo io. A far capire che fino a qui ci sono arrivato, “Quindi: Coso ha sposato Cosa. Cosa è la figlia di Giovanna. Giovanna è la moglie di quello che lavora in comune. Quindi Quello che lavora in comune è il marito di Giovanna, quindi è il padre di Cosa e il suocero di Coso. If, not, or, and”
“… (!)”
“Lascia stare era una booleanata.”
“Comunque te non capisci. Ti volevo dire che Giovanna una volta mi ha fatto assaggiare un dolce come questo qui, che la ricetta gliela aveva data Lui, Coso, che è di Napoli”
La Pastiera!
Apriti cielo. Tutte le sinapsi si ricollegano e tutto ora è limpido e chiaro. I nomi ora sono lì, cristallini e scontati. Solo che a me non dicono nulla come prima, ma pazienza. E' che si, può anche sembrare una pastiera: la base di frolla la ricotta nella farcia con la zeste di arancia. Ma qui, su questa, c'è una marmellata di more e poi c'è quello che mia madre chiama "un sapore antico, di quando ero bambina." Eccola là che lo messa seduta, una volta tanto ti strappo la lacrimuccia di un tempo che c'era e che ora non c'è.
Basta un profumo e ricompaiono le stanze, i corridoi di una casa senza il sonoro del televisore. Una gonnina di lana grezza, una camicetta di cotone e due scarpe quasi ortopediche, nere e pesanti. Un mondo che guardavi dal basso in alto. Tua mamma (mia nonna) che cucina sulla stufa a legna. Nessun altro in casa. E tu che la guardi, in una giovinezza che io non ho mai visto, girare intorno a quel lavello di granito, spadellare per la cucina. E dal forno esce quel profumo, un profumo fatto di un misto tra il rosolio e l'anice, un profumo di cannella, che adesso senti qui, nella mia:

QuasiNonPastiera



Ho preparato una frolla (ricetta qui) che ho lasciato in frigo una mezza giornata. Ne ho usato 3/4 stendendola con un mattarello e disponendola in una teglia imburrata con bordi alti. Ho steso un velo di marmellata di more, infantile piacere. Ho poi preparato una farcia ammalgamando 250gr di ricotta vaccina e 50 gr di zucchero, ho aggiunto 2 tuorli, la buccia di un arancia fatta a zeste, o se volete la grattugiate, e un po' di cioccolato a pezzetti. Ho poi aggiunto quel profumo che una bambina sentiva una vita fa: 15 ml di preparato Varnelli "delizia classico". Le tipiche "gocce" per le pizze pasquali marchigiane. Ho steso la farcia sopra la marmellata guarnito con la restante parte di frolla fatta a striscioline e infornato per 50 minuti a 160° ventilato.




08 settembre 2009

Facili alternative

E lì, candida nella scatola trasparente “per alimenti”. Un velo di siero lattiginoso copre il fondo. L’ho ordinata io, sì! Ho ordinato “una” ricotta. Ma io pensavo che ne arrivassero i soliti quattrocento grammi di sempre. E' da qualche mese oramai che utilizziamo questo “servizio” pseudodomiciliare: un piccolo caseificio fuori zona, vende direttamente ad un gruppo di consumatori, noi e altre famiglie legate scolasticamente dai figli, a prezzi da grossista. Ogni giovedì approvvigioniamo i latticini per la settimana. Se volessimo fare i “fighi” dovremmo definirci un G.A.S. con tanto di nome altisonante. Ma alla fine siamo una decina di famiglie che comprano da un buon produttore, tale è.
Ecco stavolta ho fatto io l’ordine, e distrattamente ho detto, all’ amica incaricata: “una ricotta, un primo sale e le mozzarelle”.
Ed ora la ricotta è lì, candida nella scatola trasparente “per alimenti”. Il numerello della bilancia recita “1248”. Un chilo e due di ricotta. “E adesso chi se la mangia ?”
La domanda è arrivata dai pochi “creativoscettici” della famiglia. Nano ha detto: “Io !”. Non tutta Nano, non tutta. Ravioli ecco cosa faremo, ho pensato. Allora altri cinquecento grammi di spinaci appena scottati un poco di sale, parmigiano e poi almeno dieci uova di pasta. Una bella sfoglia sottile che dopo aver fatto riposare in frigo tirerò con la sfogliatrice.

Facile, se la sfogliatrice non l'hai mandata ad un tuo amico che è rimasto senza in un ristorante. Si l'hai ordinata, ma poi non serviva e non hai sollecitato. Che con il caldo ti butti su piatti leggeri, freschi, mica ravioli o tortelli. Poi le ferie, parti, ritorni e ... E la sfogliatrice non c'è ancora. Allora ti armi di lasagnolo alias mattarello e attacchi a fare sfoglia. Però dieci uova ! Diciamo la metà ? e l'altra metà di farcia? Facile:

Gnocchi di ricotta con porcini



Per quattro persone usate 250 gr di ricotta, se vi piacciono i sapori decisi quella di pecora va benissimo, altrimenti vacccina. 100 gr. di spinaci lessati e strizzati benissimo, che passerete al coltello fino a ridurli finemente. Amalgamate, ricotta e spinaci, salate, aggiungete del parmigiano grattugiato circa 40 grammi, una bella spolverata di noce moscata grattugiata fresca. Disponete la farcia su di un piano di lavoro ed incorporate circa 100 grammi di farina o quanta ne basta per rendere l'impasto più sodo.
Formate delle piccole quenelle, usando due cucchiaini da caffè. Portate ad ebollizione in abbondante acqua salata, e lessate gli gnocchi. Scolateli bene e conditeli con burro fuso, porcini appena saltati in padella con pochissimo olio, e con una grattata di parmigiano a scaglie.



L'uovo ? Non ne ho messo, ma nessuno lo vieta, bisogna aumentare la farina però