25 giugno 2009

... tanta roba ! in Danimarca


C’è un sole che scotta, che brucia, che abbronza. Un sole che ogni tanto si nasconde dietro nuvole passeggere, fresche, veloci, in questo cielo tridimensionale che continua a venirmi incontro dal fiordo di Horsens. Lo lascio passare, mentre ascolto Adriano raccontare la sua storia. Il vino lascia un velo di spanna sul vetro dei bicchieri. Mi scende in gola fresco, leggero, mentre lui parla e racconta.

Lo guardo e cerco di ricordare la prima volta che lo incontrai. Lo sguardo di un ragazzo, la grinta di un uomo. Un toscano in terra marchigiana, Viareggino di nascita lui, di adozione io . Fu quello sguardo, che poi, mi convinse ad assumerlo nella mia squadra. Cinque anni insieme. “Bei tempi !” dice lui, ma poi hanno fatto casino, e tutto è finito, sfumato. Io da una parte e lui a fare il “salto”.

“Dopo una settimana che mi ero licenziato ho comprato la casa di Alro” Lo ascolto mentre sciorina cifre e mi spiega cosa c’era prima del ristorante: il primo di tre. “Hai idea di cosa vuol dire fare un ristorante in quella che era una stalla per maiali ?!” Ride felice di quello che ha visto, del culo passato. Io penso a quello che c’era. A come ti possa venire in mente di fare un ristorante dove prima c’era un porcile. Guardo il locale, il legno dei recinti che ora accolgono i tavoli, che ha ritrovato un impensato splendore. L’arredamento scovato nei mercatini dell’usato, la mise en place semplice e originale. “Abbiamo iniziato con i piatti freddi. Li preparavamo in casa: mio padre e mia madre in cucina, e io e la Nina a far avanti e dietro per il cortile."

"Poi un giorno ci scrivono una intera pagina di giornale, su uno dei più importanti quotidiani dello Jutland. Avevamo fatto due chiacchiere con il giornalista, giusto per parlare. Una domenica esco, come tutte le mattine, a comprare il pane, quando ritorno era pieno di auto. Dovetti parcheggiare sulla strada. Lì per lì pensai fosse successo qualcosa in casa.” Ride, ancora incredulo di quello che ha passato. “Tanta roba ! Epico ! Dicevo alla gente che avevo finito i posti, che non avevo più pane! E loro: fa niente aspettiamo, ci mettiamo seduti qui fuori.” Mi indica il muretto del giardino. Da lì abbiamo capito che forse potevamo farcela. La prima cena di Natale l’abbiamo organizzata con i piatti freddi, il tagliere, un roast-beef. La gente quando prenotava ci chiedeva quanti maglioni doveva portare, sapevano tutti che non avevamo ancora neanche il riscaldamento.”


Gian Battista sorride mentre fetta una spalla, arriva da casa: cinta senese, formaggi Beltrami, mortadella di un minuscolo produttore, bresaola da dentro la Valtellina. “La ricerca delle materie prime ci fa impazzire, ma è fondamentale per noi e per il nostro progetto. Sai cosa significa gestire così tanti fornitori ?! E’ come quando lavoravamo insieme: cambia il prodotto ma le logiche son quelle, identiche. Anche i files uso sempre gli stessi !!” Ridiamo, mentre il Lacrima Christi di Mastrobernardino ci scivola in gola, a rinfrescare il caldo di questo sole danese. “Poi Giorgio quando torna a casa si gioca i quindici chili di bagaglio Ryanair, in toma piemontese, e altre particolari chicche. Che mica scherziamo, siamo l’azienda più flessibile della Danimarca.”

Con Giorgio, l’excutive chef, il giorno prima, nel ristorante di Odense, ci siamo raccontati di cibo. Della sua terra: Varese, dei locali a confine con la “mia” Svizzera. Ho chiesto più che risposto, ogni tanto Adriano spiegava il momento umorale della giornata. Giorgio se la ride, il clima è quello allegro di una squadra che lavora affiatata. Ragazzi ventenni, giovani scommesse, le stesse orme del loro capo patron. Prima dell’inizio del servizio l’aria è leggera volano le prese per il culo “O grullooo !” Poi quando si riempie il locale allora la paura di andare in merda, stringe le mascelle e fa diventare tutti più seri. Mi infilo in cucina scatto foto ai piatti che vanno verso la sala. Schiacciato tra il muro e un carrello.


Matti appare alle mie spalle. Mi fa piegare verso di lui e mi dice “Papà io ho fame !”. E’ quasi un sussurro, ma Adriano lo sente, e scrive la comanda. Giorgio l’appende sul numero del tavolo, e io raccomando a tutti di stare tranquilli. Di pensare ai clienti veri, che Matti ce lo compriamo con un piatto di ravioli appena la sala ne chiama uno. Un ristornate, poi il secondo ex-novo, costruito d'emblée, e infine il terzo, dove aspetto il mio tonno scottato. Poi la crisi economica, lezioni vecchie da mettere in pratica. E oggi forse... dai che ce l'hai fatta. E come una mareggiata che passa, i piatti escono e Adriano li racconta abbinandoli al vino, e spiegando al cliente il perché delle cose. Mesce generosi bicchieri gioca con il concetto di marketing, e le facce soddisfatte intorno ai tavoli fanno capire che ha avuto ragione lui. Da controller a Oste il salto ci sta tutto.

Cibi semplici che qui da noi considereremmo quasi scontati. Ma la qualità delle materie prime e la cura che con cui li perfezionano, di volta in volta, ne fanno una piacevole passeggiata. Un ritorno alla terra di casa, alla tradizione, e a quello che uno si aspetta dalla cucina italiana. E poi le grandi cantine vicino alle piccole, scovate per passaparola, magari di un amico blogger. La tartare di tonno allo zenzero, delicata e pulita in bocca, gli spaghetti alle vongole, qui introvabili. I ravioli di magro e quelli di carne, conditi con il burro danese, la tagliata di carne "indigena" da allevamento biodinamico. La panna cotta che con la panna danese, scusate, ma è un altro mondo, i sorbetti di frutta fresca che non parrebbe ma hanno sapori decisi e trasparenti.

E si, ... c’è del buono in Danimarca !

Simoncini vin restaurant
Alro
Ahrus
Odense

www.simoncini.dk




22 giugno 2009

C'è del buono in Danimarca ...











Il secondo atto di questa "non tragedia" tra un paio di giorni ...

08 giugno 2009

Messaggi in bottiglia

E' che non mi ricordo. Non ricordo quelle tende, la tavola imbandita, non ricordo la torta. Non ricordo gli altri bambini, e non ricordo perché fossimo vestiti tutti da "Pierrot".

Quando rimetti a posto un pezzo di casa: una stanza, una soffitta; è un lavoro che vien voglia di scappare, piuttosto che farlo. Però magari hai la fortuna di riportare a galla qualche vecchio ricordo, qualche momento che ti eri dimenticato. Un po' come una bottiglia che galleggia nel mare, con il suo messaggio infilato dentro. Un libro, una lettera, una foto.
Ho rovistato una giornata intera nell'interrato della mia casa. Una mezza vita di storia, ammucchiata dall'ultimo trasloco. Cose che riordini spostando semplicemente da un lato all'altro della stanza. Perché non butti, che non si sa mai, che poi un giorno magari i figli... Otto sacchi neri, grandi, che con la differenziata occorreranno quattro settimane per trasferirli in discarica. Ma ne valeva la pena: ora c'è spazio. Lo spazio che occorre per ricominciare a mettere in disordine.

Così in mezzo al mare in tempesta di libri, quaderni, pezzi di vecchi giocattoli, cianfrusaglie senza più identità, galleggiava questa bottiglia, il suo messaggio: una foto. Che un'onda più violenta delle altre ha spiaggiato ai suoi piedi. Leo l'ha raccolta come potrebbe raccogliere una conchiglia portata dal mare, o come un sasso su un sentiero di montagna rotolato fin lì per le ultime piogge. L'ha raccolta indifferente, distratto, ha osservato i sette bambini intorno al tavolo. La bambina al centro in piedi sulla sedia che con il braccio alzato che fa il segno del "due" con le dita. Ha fatto scorrere gli occhi su quei sette Pierrot in bianco e nero, seduti intorno ad una torta di compleanno. Una bella torta di panna e candeline, con una scritta al centro che ha dovuto piegare la testa e girare la foto per leggere "Auguri" fatta con la cioccolata. Ha osservato i mobili la casa e nell'ultimo bambino a destra, quello senza cappellino con il costume troppo grande, ha riconosciuto una fisionomia familiare. Fosse stata a colori e meno provata dal tempo, quella foto, avrebbe potuto pensare a suo fratello. Ma i segni e gli indizi gli han fatto capire che quel bimbo con la faccia seria a sfiorare un'espressione di tristezza, è suo padre. Allora ha alzato la testa, ha allungato la mano mettendomi la foto sotto il naso, e ha fatto la domanda.
Ci ho pensato su un attimo, ho riconosciuto mia cugina, il suo "bellissimo" compleanno. Mi son ricordato che la bimba alla sua destra, anche lei in piedi su una sedia, con un abito da Pierrot nero come il mio si chiamava Dolores. Il viso sembra quello delle modelle dei dagherrotipi del secolo scorso. "Povera Dolores" il commento sentito tante volte che torna spontaneo alla mente. Cose che i grandi non dicono ai bambini, cose che poi quando i bambini diventano grandi i vecchi non vogliono più nominare. Ma non mi andava di rispondere con le poche e inutili cose che sapevo e così ho detto:

E' che non mi ricordo. Non ricordo quelle tende, la tavola imbandita, non ricordo la torta. Non ricordo gli altri bambini, e non ricordo perché fossimo vestiti tutti da "Pierrot".

Son restato lì con quella foto in mano, a guardare la mia faccia di bambino triste osservarmi da quel tavolo. Non mi ricordo i compleanni, né miei né altrui. Non ho mai cercato la felicità in questi eventi, e col tempo, un po' come il Cappellaio Matto, ho cominciato a festeggiare i miei "non compleanni". Le occasioni felici, o meno tristi che ogni tanto la vita riserva. Resta questa foto ingiallita, una sensazione di disagio ad osservare me stesso bambino che con gli occhi imploro: portami via di qui, che non ci sto bene, che son tutte bambine, che il vestito di Pierrot mi stringe sul collo, che voglio tornare a giocare alla guerra, che tanto la torta non mi piace. Perché a me magari, anche per un compleanno, piace di più una:

Crostata con frolla di nocciole, crema al limone e macedonia di fragole



Per la frolla:
2 tuorli e un uovo intero, 200 gr di farina 00, 100 gr di farina di nocciole Piemonte IGP; 80 gr di burro a pomata; 150 gr di zucchero; la buccia di un limone grattugiata; un pizzico di sale; due cucchiaini rasi di lievito per dolci.
Impastate tutti gli ingredienti fino ad ottenere un impasto morbido e appiccicoso. Copritelo con la pellicola per gli alimenti e mettetelo in frigo per una sei ore. Stendete 2/3 dell'impasto con un mattarello nel fondo di una teglia imburrata. Lavorate la restante parte dell'impasto per formare il bordo della "crostata". Bucherellate con la forchetta, coprite con carta forno e mette un peso per evitare che il fondo si sollevi durante la cottura. Infornate a 180° per 15 minuti, poi togliete il peso e la carta forno e cuocete, sempre in bianco per, altri 10 minuti fino ad inizio della doratura.

Per la crema:
Una crema pasticcera normalissima: 4 tuorli, 4 cucchiai di zucchero, 2 cucchiai di fecola di patate, la buccia intera di un mezzo limone e mezzo litro di latte. Montate le uova con lo zucchero, incorporate la fecola di patate, aggiungete il latte e la buccia di limone, e poi cuocete a bagnomaria finché la crema non addensa. Per questa preparazione deve risultare molto densa. Togliete dal fuoco, eliminate la buccia (succhiandola ben bene) e incorporate il succo di un mezzo limone o di più se piace.

Per la macedonia:
Un paio di ore prima della composizione lavate e mondate (!) un cestino di fregole. conditele con un due cucchiai di zucchero e il succo di mezzo limone. Lasciate in frigo per un' ora, girando la macedonia di tanto in tanto. Recuperate il succo che si è formato nella macedonia, aggiungete una quantità di acqua pari al succo e mettete sul fuoco fino a far raggiungere il bollore. Spegnete e incorporate due fogli di gelatina che avrete ammollato in acqua ghiacciata.

Componete la torta riempiendola di crema, disponete le fragole sopra la crema guarnite con foglioline di menta e coprite con la gelatina che avrete lasciato raffreddare fino ad una consistenza oleosa.



Magari venivano degli amici, o magari di sicuro sarà stato il compleanno di qualcuno.