30 dicembre 2007

Ipo crisi a

Guardare la televisione è importante, aiuta a crescere e aiuta anche a capire. La televisione italiana è piena di qultura e di intelligienza, di programmi che aiutano ha capire il mondo e ha conoscere le qulture diverse. Io in cuesti giorni o passato un pò di tenpo davanti alla televisione, e mi sento veramente di verso, un'altro. Si nota ?

Ho ascoltato anche quello che dicono dalla televisione e non è vero che dicono tutte cazzate. Dicono cose anche tanto intelligenti, per esempio il TG5 chiede di esprimere tre desideri per il nuovo anno? Aaaah fermi. Guai a chi si mette a pensare per conto suo, e che? Facciamo come ci pare? Per questo ci ha pensato il TG5 vai sul sito e scegli tre desideri per il 2008:

La pace nel mondo
Bé ... sì ci mancherebbe
La salvaguardia dell'ambiente
Embé anche questo lo prendo, sai il mio senso civico.
Lo stop alla pena di morte
Bé anche qui come paese abbiamo fatto tanto e ora tirarsi indietro.
I mutui meno cari
O c****. Posso ridare indietro la pena di morte? E' che ho un mutuo di quindici anni a cui tengo particolarmente.
Più lavoro
por... a parte che adesso un lavoro ce l'ho ma magari in futuro, va bé questo ci penso per il 2009
Meno tasse
O c*** un'altra volta, e no le tasse mi interessano. Allora do indietro la pace nel mondo, tanto per quella c'è poca speranza e mi tengo: ambiente, mutui e meno tasse.
Stop agli incidenti sul lavoro
Ma certo che questo lo vorremmo tutti, ma sai io alla fine faccio un lavoro di scrivania, e alla più brutta potrei cadere dalla sedia.
Meno malasanità
Bé anche qui, che vuoi io sto benino ma sinceramente non si sa mai allora scambio questo con l'ambiente, tanto il buco dell'ozono ormai non lo tappiamo più
La riforma elettorale
Bé si, ma non è così indispensabile, tanto la prossima volta sopra la scheda ci scrivo una ricetta.
Un nuovo governo
Sicuramente. Però dovremmo metterci d'accordo su quello dopo, che non voglio mica star qui a continuare a sentir cazzate.
Più donne al potere
Assolutamente sì, anche dentro casa mia, così ad organizzare le vacanze ci pensa Lella, però non scambio nulla.
Meno criminilatà
Va bé vi ridò indietro la mala sanità e mi prendo: meno criminalità
Successi azzurri
Sai che c**** me ne frega

Oggettivamente in questo intelligentissimo test mancano un paio di cose:
Farla finita con le cazzate della televisione.
Più pilo pi tutti



Il test non lo linko, mi vergogno. Ma lo trovate sulla pagina principale del TG5

27 dicembre 2007

Riflessioni di fine anno

Uno verso la fine dell'anno dovrebbe tirare il bilancio dell'anno appena passato, le cose belle che sono accadute, qualcuna, le cose brutte passate, non me le ricordo, e i propositi per il nuovo anno, diversi.
E proprio ieri sera, a cena con dei cari amici, che lei la mia cara amica mi invitava a riflettere, davanti ad una pizza. Per la cronaca da queste parti, le mie parti, ci sono ancora posti dove per 6 pizze (discrete), un primo, un antipasto, 3 litri d'acqua, 2 birre medie, un sei o sette caffè, si spende nientepopodimenoche cinquantacinque euri e settanta centesimi. Roba che ti costringe poi, per quel po' di senso civico che ancora abbiamo, a ricontrollare il conto per accertarti che non te ne stai andando con un palese errore della cameriera in mano.
Comunque dicevo che la mia amica, che tra le altre cose possiede un cane, un cane piccolo e nero, che ogni volta risveglia il desiderio canino di "Spaccaball". Ecco a lei, la mia amica, piacerebbe che io postassi una foto della bestia nel mio blog, ed ogni volta che ci incontriamo ne fa un accenno distratto. Ora io, per quanto possa "odiare" cani e gatti, non metterò mai la foto di uno di essi nel mio blog, in quanto le uniche foto di animali che qui appaiano, sono solitamente quelle di animali morti e cucinati. Ecco che a questo punto a guadagnarci è il cane sicuramente.
Ma non era questo l'argomento che la mia amica ha affrontato ieri durante la cena. In effetti lei è anche una grande esperta di lavoro a maglia, ogni volta che ci incontriamo è dietro a sferruzzare su di un nuovo lavoro, apparentemente si tratta di maglioni, i quali ho scoperto poi, vengono tutti terminati senza maniche, stile gilet. Questo non perché lei non sappia o non voglia fare le maniche, ma perché sembra che i destinatari di tali lavori preferiscano così: dei gilet. Anche il cane usufruisce del suo hobby, e lo si vede spesso girovagare per le strade del paese con quella camminata, sculettante e sostenuta, di chi indossa capi all'ultima moda.

Ora la mia amica, con la quale spesso passiamo la serata a lanciarci frecciatine ironiche, credo che questo post ne sia un esempio, (e se non vuoi mancare, devi commentare!!). Dicevo la mia amica a cui, qui davanti al pubblico del mio blog, dichiaro il mio infinito volerle bene, anche se non ho ancora ricevuto un gilet. Dicevo la mia amica, in quel ristorante dove si paga poco, ieri sera, tra una frecciata e l'altra, di fronte al fatto che a fine anno si dovrebbero tirare le somme e fare i bilanci, la mia amica, quella con il cane nero e piccolo, proprio lei. Lei mi faceva notare che essendo quasi finito un altro anno, io, e qui il suo sguardo aveva un non so ché, di sadico, io, dunque, sono invecchiato di un altro anno e non posso sfuggire a questa legge divina.

La cosa debbo dire che mi ha lasciato un po' sconcertato è che in quel ristorante, che ha un "look" che richiama la fine degli anni settanta e i primi di quelli ottanta, bé in quel ristorante il menù non fa riferimento a nessun piatto tipico di quei tempi. Ecco io ho riflettuto molto su questo fatto, e la prossima volta consiglierò al proprietario di aggiungere al menù almeno una:

Penna alle "3P"


Il classico degli anni '70 prevede che vengano lessate le penne in una quantità oscillante tra gli 80 e i 100 gr a persona. In poco olio si facciano cuocere i piselli, freschi o congelati, aggiungendo poco brodo vegetale se occorre, finché i piselli non siano cotti. Aggiungete ora del prosciutto cotto fatto a tocchetti grandi, una sola fetta di mezzo centimetro di spessore è sufficiente per quattro persone. Fate rosolare a fuoco vivo e aggiungete 50 ml di panna fresca. A parte portate ad ebollizione 150ml di panna fresca, fermate il fuoco e incorporate 80 gr di parmigiano grattugiato. Scolate la pasta molto al dente e saltatela nel sugo, ripassatela ora al grill per 5 minuti. Impiattate e condite con la salsa al parmigiano. Mi preme una raccomandazione: usate panna fresca, e non quella che riesce a sopravvivere fuori dai frigoriferi e con scritto sopra "panna da cucina".

Bene ora devo scappare mi attendono nell'ordine una partita di pallacanestro con "Spaccaball" e "Chi?Che?Co?Io?", poi una ricostruzione della casa della "Lego" che sembro un carpentiere diplomato, una partita a "monopoli" che non ne posso più e poi vuoi che negli intermezzi non ci sia da fare una lottata o qualcosa di simile?

24 dicembre 2007

Buon Natale ?!



fatevi un mondo di auguri qui, oppure qui ci vuole pochissimo, un gesto che questi giorni abbiamo fatto decine di volte: quello di estrarre la carta di credito. Un paio di click e non avete neanche la scocciatura di riportare a casa pacchi ingombranti.

20 dicembre 2007

La musica del vino

Bisogna aver cultura, cultura musicale in primis per scrivere di questo argomento, il vino non basta più. I Sorsetti si sono sbizzarriti e hanno buttato lì un argomento tosto, difficile, per il tredicesimo vino dei Blogger: Vino e Musica.
Per me che se ascolto un pezzo musicale che mi piace e dico: lo voglio, poi davanti agli scaffali dei cd non ricordo mai chi fosse l'interprete, il lavoro sembra quasi impossibile. E dove vado allora a cercare l'argomento, mi metto ad ascoltare tutta la musica ascoltabile, o mi metto ad aprire tutte le bottiglie apribili? Come faccio? Penso... ricordo...

Matti aveva quasi due anni un inseparabile ciuccio con su scritto "I love papà" dove la parola love era sostituita da un cuore. Leo aveva otto anni, una parlata svizzero ticinese che ricordava tantissimo il dialetto del lago, nei ristoranti di Menaggio facevamo ordinare a lui: così da confonderci con la civiltà indigena. Giravamo per quella regione di confine tra la Svizzera e l'Italia, curiosavamo, guardavamo: Menaggio, Colico, Tirano, Pontresina, Maloja, Chiavenna, Menaggio. Oppure il contrario invece di salire scendevamo quella valle meravigliosa di vigneti arrampicati sull'impossibile. La Valtellina, enologicamente, è la mia grande passione: c'è dentro un grande vitigno: il nebbiolo, che sta sopra ad una terra dura, ripida e generosa, che si lascia lavorare da un uomo testardo, ma buono che sa come prenderla.
Ci fermavamo nelle cantine: Triacca, Rainoldi, Sertoli e Salis solo per citare quelle a cui sono affezionato. Compravamo il Prugnolo a Chiuro, il Prestigio, l'Inferno e il grande Sfursat a Tirano.

Giravamo in auto e suonavamo all'infinito i tre, a quel tempo, dischi di Davide van de Sfroos. Così le curve del passo del Maloja, sapevan di "Pulenta e galena fregia" Il paesaggio dell' Alta Engadina profumava di "Foemm e profemm", e lungo le vigne della Valtellina, cantavamo a squarciagola "Sugamara" con Matti impazzito a tenere il tempo con la testa.

Ecco, è questa la musica del mio vino, quando io apro una bottiglia della Valtellina o di prezioso Sforzato, risento le ballate di Davide, ripenso alla parlata di Leo e al ciuccio di Matti, ai capelli corti di Lella, al sole nelle giornata di ottobre, alla nebbia giù in basso, e tutto è chiuso nei profumi di quel bicchiere, anche la musica.



Lo Sfursat del Valtellina, è il vino più raro di quella regione. Si ottiene dopo un lungo appassimento dei grappoli di Nebbiolo, che qui, ultimo limite dell'italica terra, prende l nome di Chiavennasca. I grappoli vengono lasciati sulle ”mantavole” una sorta di telaio in legno con cannicciato, messe nei solaio sino a fine Gennaio e, in qualche occasionale vendemmia, anche fino ai primi di Marzo.
Il freddo dell’inverno "asciuga" l’uva facendogli perdere tra il 30 e il 40 per cento di peso, concentrando gli aromi, i sapori, i tannini nobili e gli zuccheri. È un vino rosso secco, di corpo, di grande carattere e calore. Passa 18 mesi in tonneaux di rovere, dopo quattro o cinque anni è in grado di esprimere eleganza, e armonia affascinanti, vicino ad un pezzo di formaggio di quelle valli o ad una polenta con il capriolo. Io aspetto il 2014 per questa bottiglia.



Questo post partecipa al Vino dei Blogger #13

17 dicembre 2007

Il profumo del Natale

Di cosa profumano i tuoi Natali?
Profumano di neve fresca, appena caduta? O forse hanno il sapore degli aghi di pino? Magari sanno di polvere, di quella polvere che si posa sulle scatole degli addobbi natalizi? Oppure sanno di legna, di camino, di cenere? O magari non sanno di nulla, magari non ti sei mai accorto del loro profumo. Allora fermati. Chiudi gli occhi,odora con la mente, e ascolta il profumo del Natale.

I miei Natali sanno del profumo che, la mattina, danno le lenzuola fredde fuori e calde dentro, quel profumo di umido che avevano le case di un tempo. I miei Natali profumano dell'odore degli armadi vecchi: quell'odore di legno antico e di palline di naftalina. Profumano di quell'odore che si attacca addosso ai cappotti dei vecchi la mattina a messa. Profumano dell' odore delle vecchie foto sul comò della camera di mia nonna. Profumano dell'odore del cassetto dove lei teneva le medicine. Profumano di fumo, di quell'odore che mi colpiva appena uscivo dalla camera, il fumo della stufa in cucina e del camino nello studio. Profumano del legno delle finestre bagnato dalla condensa. Ma soprattuto, i miei Natali profumano di brodo, di brodo caldo.

Di quel brodo messo a bollire la mattina di Natale, molto presto. Perché le donne della mia infanzia prendevano la prima messa, per restare a casa poi a cucinare. A preparare l'arrosto le verdure mentre quel brodo, fatto con la tacchina e la vaccina, andava, adagio, gorgogliante . Quel profumo che riempiva le stanze e invadeva la casa. I movimenti veloci di mia madre e mia zia, i grembiuli legati sugli abiti della festa. I movimenti più lenti e misurati di mia nonna, il suo grembiule grande per la sua piccola taglia.
I miei Natali sapevano di allegria, l'allegria di stare insieme, tutti nella stessa casa. L'allegria di poter parlare con mia nonna, mio zio e non di immaginarli dalle lettere scritte, con una calligrafia incerta e sgrammatica. L'allegria semplice fatta del poco, del quasi niente, ma di quel tanto che bastava.

Di quei Natali mi ricordo vaghe immagini, di più i profumi, meno i visi, meglio i luoghi. Poi mi ricordo di un Natale, un po' strano. Nel piatto invece dei cappelletti della tradizione, mi ritrovai un'altra cosa. Non so perché, forse qualcuno stava male, o non c'era stato tempo i giorni prima per preparare il piatto tradizionale. Ma io mi ricordo che, con grande sorpresa e in uno strano silenzio, quel Natale mangiammo i:

Passatelli


I passatelli in brodo sono un piatto Romagnolo, ma anche in questo caso il Montefeltro Pesarese fa da calamita e fagocita la tradizione (vero signorQ ?). Una tradizione che in Romagna considera questo piatto, un piatto delle feste, di tutte le feste ad esclusione del Natale, dove il cappelletto in brodo la fa da padrone. A parte il mio caso descritto sopra, vi garantisco che questa minestra è una succulenta e gustosa alternativa alla tradizione più fondamentalista.

La cosa difficile è la ricetta, la difficoltà è data dalle proporzioni degli ingredienti e dalla loro natura. Mi spiego la ricetta dice: 150 gr di parmigiano grattugiato, 150 gr di pane raffermo grattugiato, 4 uova, 30 gr di burro morbido (una ma variante), la buccia grattugiata di un limone, noce moscata, pepe e sale. Io faccio questo piatto da una vita, vi garantisco che le volte che mi è riuscito al primo colpo si contano sulle dita di una mano. Il rischio è che quando si buttano i passatelli nel brodo questi si disfino. Allora una volta preparato l'impasto lo si mette in frigo, per un'ora, poi si schiacciano i passatelli con il ferro, o lo schiacciapatate se non avete il ferro, con pochi di essi si fa una prova nel brodo bollente. Il passatello deve rimanere integro anche dopo i 3/4 minuti di bollitura, se ciò non si verifica aggiungete un uovo, ben battuto prima, a tutto l'impasto, e ricominciate da capo. Il fatto che la ricetta sia così complicata è dato da una serie di fattori che influiscono sugli ingredienti: il parmigiano è fresco o stagionato? Le uova sono grandi o sono piccole? La parte di albume delle uova è abbondante o meno? Il pane è vecchio di un paio di giorni o molto vecchio? Un consiglio evitare il pangrattato che si trova in commercio, in esso vengono macinati anche i panini all'olio, bestia nera per il passatello. Qui la ricetta del brodo e qui come chiarificarlo per farlo diventare un consommé.

Ah dimenticavo: di cosa profumano i vostri Natali?

15 dicembre 2007

Letterina di Natale

Caro babbo Natale
ti prego, porta un'altra agenzia media a Gianfranco Vissani. Una che a differenza di quella che ha ora, gli sappia curare l'immagine un pochino meglio. E che puntando sempre ai soldi (business must go better), eviti di fargli fare cadute di stile peggiori di queste. Altrimenti dopo le patatine, dopo le padelle dozzinali a 9 euri e 90, con un millimetro di spessore, che se ci metti una mazzancolla, quella anche dopo morta si alza e si va a suicidare da sola nella pattumiera, ci ritroveremo il maestro chissà dove.
Aivoglia a scrivere il Direttore che a noi italiani non ci si fila più nessuno.


12 dicembre 2007

Conta fino a ...

Io stasera volevo scrivere un post che parlasse di .... Ecco il fatto è proprio questo, non mi ricordo proprio di cosa volessi parlare. Perché mentre stavo scrivendo, non ora prima, è suonata la chiamata di Skype. Si dice "è suonata"? Bè di là in video c'era "Spaccaball" che mi doveva raccontare una cosa che lui oggi ha fatto a scuola. Mi ha raccontato che in pratica lo hanno fatto contare, e lui sa contare fino a 100 e allora ha cominciato: " Senti papà 1...2...3...4..." Forse volevo parlare di quel gallo che "abita" sotto la finestra della mi camera e che comincia a cantare già alle due del mattino. "...17...18...19..." O magari forse volevo parlare di questo sciopero degli autotrasportatori, che se non finisce prima di venerdì, io venerdì a casa non ci torno. "...27...28...29..." O magari parlare di quel mio amico che ora sta a Genova e che oltre ad aver finito gasolio, e provviste in frigo è anche rimasto con soli quattro toscani, e questo è male, molto male. "...37...38...39..." Forse volevo parlare del Natale e dell'iniziativa bloggeriana per aiutare chi ne ha bisogno intitolata MenuforHope "...47...48...49..." O forse non avevo molto da raccontare, o forse le cose che ho da dire hanno bisogno ancora di decantare. Quando Matti è arrivato tra 50 e 60 io avevo perso il filo del post. Perdo spesso il filo dei "post" quando sto con lui, anche se usare il verbo stare in questo caso è un po' forte. E anche a leggere storie con lui mi riesce poco, meglio inventarle e raccontarle, ma questa è un'altra storia. Alla fine della conta ci siamo messi a parlare di cibo, chissà perché finisce sempre così. E tu che hai mangiato papà. E mica gli spieghi dei camion, dei petrolio, dei blocchi, del fatto che l'insalata non c'era più, e che quello che avevo trovato erano solo pomodori:

Pappa al pomodoro

La risata gli fa buttare la testa all'indietro, e la sedia della mi scrivania, dove è seduto scivola verso il muro, ride forse a causa della parola "pappa". E come è fatta? E facile fai rosolare un paio di spicchi di aglio e una mezza cipolla fintanto che appassiscono allungando magari con dell'acqua. Poi aggiungi della polpa di pomodoro spellata e senza semi, la quantità dipende da quanti sono a mangiare. La fai andare per qualche minuto per "asciugare" un po' l'acqua. Alla fine aggiungi qualche pezzetto di pane raffermo un filo d'olio a crudo e mangi.
Ed era buona? Si era buona, Me la fai anche a me quando torni a casa? Si ma adesso vai a dormire e ricordati che devi scrivere la lettera a babbo natale, per chiedere quale regalo farti portare.
E qui è ritornato lo Spaccaball di sempre,facendomi notare che con babbo natale lui ci ha parlato al telefono e che non c'è bisogno di scrivere niente. Mi sono permesso di chiedere cosa avesse chiesto a babbo natale in quella telefonata, e lui mi ha risposto di non preoccuparmi che la questione era tra lui e babbo natale. Ora se qualcuno di voi avesse il numero di babbo natale per aiutarmi a scoprire cosa mio figlio vuole per regalo, mi farebbe un gentile favore.

09 dicembre 2007

A volte le strade

A volte le tradizioni ci si attaccano addosso come spezzoni di vecchie canzoni, che ritornano in mente senza tregua. Le canticchiamo per qualche nota, qualche nota soltanto, perché il resto lo abbiamo dimenticato. E così magari ti ritrovi, a Pasqua, a parlare e a regalare conigli di cioccolato al posto delle uova, perché vivendo in Svizzera non potevi fare altrimenti. Oppure se penso al cibo le mie tradizioni si legano al "cappelletto" perché la Romagna scivola oltre il confine che l'uomo ha disegnato, entra nelle Marche si allarga nel Montefeltro e giocoforza da un colpetto di coda oltre alla collina lì di fronte, e influenza anche qui dove siamo noi.

Quando ero un ragazzino, passavo i miei Natali da mia nonna, quella nonna. Ad ogni vacanza e così anche a Natale, la compagnia del paese si ritrovava a ravvivare l'unica solitaria strada di quel villaggio di ex minatori. Chi risaliva da mare come me, chi arrivava da Monza, i più da Ferrara. Era lì che la chiusura della miniera aveva trasferito buona parte della forza lavoro. I miei compagni di gioco erano, come me, i figli o i nipoti degli ex minatori, che tornavano "a casa".
Di cosa parlavi quando eri ragazzino? Di tutto, di quel mondo che ancora non ti toccava, di calcio, di musica, poco di scuola e qualche volta di cibo. Che mangi a Natale? E' stato lì in quella compagnia che ho sentito parlare per la prima volta di lei della "Salama da sugo Ferrarese". Sugo per me voleva dire pomodoro, condimento di pasta, e non era facile sentirsi raccontare di un salame grosso e rotondo che veniva bollito: non capivo. Facevo domande, e a forza di chiedere appariva anche un cucchiaio che serviva a scavare il salame. Poi faceva capolino il puré, e io cercavo con la logica di incastrare la pasta in tutto questo. Ci rinunciai, avevo tredici o quattordici anni e chiusi lì il mio rapporto con quella tradizione.

Ma a volte le strade riportano, direttamente, o indirettamente, nei luoghi dei misfatti della memoria. Ogni volta che, oggi, per il mio lavoro, passo davanti a Ferrara, cerco nei ricordi i visi di quegli adolescenti. Li vedo riapparire, come la nebbia che il lunedì mattina mi viene incontro in autostrada. I loro sguardi, le loro camminate, la bicicletta che ognuno sfoggiava, le risate di quel tempo. I giochi, i bagni al fiume in estate, le carte da gioco al "club" in inverno. Ripenso a quel gruppo di ragazzini che eravamo, e agli adulti che siamo e che saremo oggi. Mi fermo. Cerco quello che una volta avevo sentito nei racconti, quello strano salame da bollire, tipico piatto, mi raccontavano loro, MarchigianFerraresi, del loro Natale:

La salama da sugo





Ora il problema primo, è rimediare questo pezzo d'Italia culinaria, di cui per niente sentirete parlare in giro per i programmi di cucina, non saprei che indicarvi una qualunque macelleria nella zona di Ferrara. E poi per cucinarla, bé qui non c'è che da affidarsi al decalogo per la salama, che il buon Antonio Tombolini, ha raccolto in rete.

06 dicembre 2007

Abbinarsi in tutto

Raccolgo la mia borsa termica, apro il congelatore e infilo nelle tasche interne due piastre di ghiaccio artificiale. Esco. Oggi voglio comprare il pesce alle sette di mattina e non di sera. Una nebbia bastarda mi fa vedere cinquanta metri di strada, il traffico è scarso. Ogni tanto lungo la strada incrocio, ferme ai bordi, piccole figure sltellanti nel freddo: il bus della scuola non è ancora passato. Parcheggio, scendo e vado verso la porta. Chiusa. Guardo l'insegna, è proprio quella della pescheria, poi guardo dentro. Il locale è bianco, deserto, da qualche buco sui muri si affacciano grovigli di fili, degli aloni più scuri ricordano le forme di un banco, di una vetrina, di una cassa. Sembra di stare in quel film con Michael Douglas, dove tutto è un gioco. Un gioco assurdo e bastardo, come la nebbia, ma io stasera che ceno? Mi guardo intorno, magari sperando di trovare qualcuno a cui chiedere dove sia finita quella pescheria, magari si è trasferita a cento metri ma io non la troverò mai, magari invece è fallita, non che si possa tenere in piedi un'attività a cassette di sgombro. Ma non passa nessuno e se qualcuno passasse, dentro la nebbia, sul marciapiede opposto non lo vedrei comunque. Risalgo in auto, triste e sconsolato, debbo rifare il menu per la cena. Torno indietro, sulla strada, in punto in cui al Sile han fatto fare un ansa strettissima, c'è una chiesa, quattro case è un negozietto di alimentari. Il padrone mi accoglie in grembiule bianco da lavoro, annodato sopra un giaccone pesante, mi accoglie con fare cortese, timido, lo sguardo nascosto dietro alle lenti degli occhiali, un sussurro di voce, un viso magro nascosto da un cappellaccio imbottito con una lunga visiera. Mi guardo attorno, la merce è disposta con cura, ma lo spazio è poco e la fa sembrare accatasta, i biscotti troppo vicini ai saponi, i formaggi appoggiati sopra e dentro al banco con cartellini scritti a mano per decretarne la provenienza e la DOP. Vago per l’ovale che il negozio disegna, uno spazio lungo e stretto che diviene un corridoio circondato da prodotti. E un negozio che non fa venire troppe idee, anzi le poche che hai te le confonde, le mischia diluendole e le annacqua rendendole informi, piatte e le senti uscire dalla porta come un secchio d’acqua gettato sul pavimento, saturo di sapone ma senza schiuma.
E' solo la zona della verdura che evita di farmi fare la stessa fine del secchio d’acqua. Ci sono due cassette di radicchio trevigiano, ci mancherebbe, freschissimo ! Non ho idea della ricetta ma ne prendo due ceppi, magari per mischiarli all’insalata che già ho, qualche pera da usare come dolce, un etto di prosciutto e una fetta di quel formaggio lì, che sembra Asiago ma che ha la crosta nera. L’ uomo taglia, affetta, pesa, incarta, chiude con lo “scoc” e scrive con un penna, che appare e scompare veloce dal taschino, l’importo di ogni cartoccio. Era tempo che non vedevo questo gesto ormai “antico” e soppiantato dalle bilance elettroniche che sputano quei cartellini appiccicosi.
Esco deluso e triste e me ne vado al lavoro rimandando alla sera il pensiero della cena, probabilmente prosciutto e insalata, pera e formaggio… E invece no il mio spirito indomito guidato da pscicofame atavica, si inventa un:

Risotto al radicchio con pere caramellate e asiago



Dosi per 4 anche se ero solo.
In una casseruola fate caramellare due pere fatte a tocchetti piccoli per una decina di minuti, poi tenete poi da parte. Nella stessa casseruola lasciate ora andare a fuoco basso in poco olio un trito di scalogno e di cipolla. Appena prende colore aggiungete le pere, e un ceppo di radicchio trevigiano tagliato sottile. Lasciate che il radicchio appassisca e poi aggiungete il riso 80g a persona che lascerete tostare a fuoco medio per un paio di minuti. Ricordate che il riso deve “scrocchiare” nella padella. Sfumate con del vino bianco meglio se dealcolizzato , e poi cominciate a cuocere il riso aggiungendo di volta in volta del brodo vegetale. Quando il riso sarà cotto, che vuol dire al dente, spegnete il fuoco, aggiungete 200g di Asiago DOP grattugiato grossolanamente, una noce di burro e mezzo ceppo (la parte colorata superiore) di radicchio trevigiano tagliato finemente. Mantecate finché formaggio e burro non siano sciolti completamente, coprite con un canovaccio lasciate riposare per un paio di minuti


Non ci ho bevuto il bianco per sfumare, non lo cito neanche, ma va da se che terra chiama terra, un bianco veneto con una bella alcolicità ci muore, mi viene in mente, così al volo, un Soave Superiore.
Comunque non è facile "abbinarsi", credete. E poi mi chiedo, ma a che ora cantano i galli?

04 dicembre 2007

I post(i) del cibo

La stube ha le pareti in legno, un grande banco bar di fronte all'entrata. Alla sinistra, di questo, una grande sala accoglie i pochi avventori del pomeriggio. Chi entra batte i piedi e si toglie la giacca a vento. Il mucchietto di neve che si crea, resiste qualche minuto prima di sciogliersi definitivamente nel calore del locale. Nella sala gli sgabelli, sono ricoperti con cuscini di pelliccia bianca. Sotto le grandi finestre, una panca corre senza soluzione di continuità. I tavoli formano un piccolo anfiteatro, che si affaccia sulla sala. La neve sui vetri ha scolpito strani disegni. Il vento, silenzioso da qui dentro, fuori si aggrappa ad ogni superficie della terrazza. Ghiaccia la condensa e lascia la sua impronta, in tanti ghiaccioli lattiginosi a forma orizzontale. Ho letto da qualche parte che questa formazione di ghiaccio, ha un nome particolare. Mi sforzo di ricordarlo, o di ricordare dove lo abbia letto. Son quelle cose che ti si piantano in mente e non escono. Chiudo gli occhi per concentrarmi. Eeeiiine schwarz teee. La cameriera appoggia la tazza di vetro sul tavolo di fronte a me, con una cantilena lenta e lunga. Erano tre le "e" ne sono sicuro, se ne va annunciando un: eine moment.
Sotto di noi la valle è solo immaginaria, nascosta dal turbinio dei fiocchi. Dalla foschia, sbucano le punte dei grandi abeti del bosco, vuoti di neve, incuranti della tormenta. Nel locale siamo rimasti in pochi, un basso brontolare, scandito da qualche colpo, ci da la dimensione di cosa stia accadendo fuori. Dentro è caldo. Me ne sto seduto, le gambe allungate sotto il tavolo, la mia tazza di tè che fuma lenta. Le spalle appoggiate alla spalliera, che sta contro la finestra, da lì alla neve, e poi al vento. Mi sdraio. Volo, sopra la valle, in un'immaginaria nuotata a dorso, portato dal vento fino alla montagna di fronte. Atterro. Con un movimento lento, cullante, come quelle foglie che cadendo ritardano il toccare la terra; come a voler ritardare la fine. Una risata, più forte delle altre mi riporta nella stube. Ho ancora gli occhi chiusi, in un torpore stanco, il nome del ghiaccio non molla, è ancora lì, anonimo a rubare la scena agli altri pensieri.
Sollevo le spalle e allungo una mano verso la tazza. Sorseggio il te bollente, mi riappoggio alla spalliera. La tazza in equilibrio sul petto, le mani incrociate intorno, il calore che le scalda e allunga il suo tepore al viso ancora freddo. Fame. Il te ha risvegliato la fame. La cameriera va veloce verso il tavolo accanto, Prende gli scontrini e su un taccuino, della iegermaister fa il conto. La penna scorre le cifre, la mente somma. Mentre annuncia l'importo apre un grande portamonete nero che era infilato in una tasca laterale del pantalone, ritira le banconote, restituisce monete, chiude, rimette nella tasca, solleva la testa e si guarda intorno. Mi vede. Gli sguardi si incrociano, non muovo un muscolo, aspetto, con il te caldo sul petto che sale e che scende al ritmo del mio respiro. Spalanca prima gli occhi e poi la bocca, e quindi fugge in cucina. Ritorna il piatto in mano, la faccia mortificata e la sua voce che sembra recitare un rosario di enciuldigen, enciuldigen, .... Mi mette il piatto sul tavolo. Sorrido. Lei risponde al sorriso, riconquista la calma professionale e poi annuncia: Eine Apfeeeel ....

Strudel


Stavolta le "e" mi sembravano quattro. Oggettivamente quattro, e il nome del ghiaccio non mi viene ancora, ma certi cibi mi piace mangiarli in certi posti.

Il segreto dello strudel, sapevate che in tedesco significa vortice, gorgo, turbinio? La causa è nella spirale che la pasta disegna arrotolandola. Dicevo il segreto è nella pasta, io ne conosco due tipi, uno sottile e croccante,oggi non parlo di quello e uno più consistente, di origine "nonnesca" e quindi parlo di questo. Quindi vi occorrono 300 g di farina 100 g di burro ammorbidito, un uovo, 50 ml di acqua, 30 g di zucchero e un pizzico di sale. Lavorate gli ingredienti fino ad ottenere un impasto morbido che lascerete riposare al caldo per venti minuti. Per creare un ambiente caldo all'impasto, riponetelo in un piatto che coprirete con una bastardella che avrete scaldato prima sul fuoco. Ora tirate l'impasto con il mattarello fino ad ottenere una sfoglia sottile, squadratelo con un coltello. Cospargetelo con del pan grattato tostato su di una padella, mischiato a zucchero semolato. Abbiate cura di lasciare due centimetri liberi per parte e di coprire d'impasto solo per 2/3 della lunghezza pasta. Aggiungete ora quattro mele renette tagliate a tocchetti e bagnate appena di rum, dell'uva sultanina ammollata in acqua calda per una ventina di minuti e strizzata, e della frutta secca a piacere, non fate mancare le noci, triturata al coltello. chiudete arrotolando e saldate i bordi spennellando con del burro fuso. Disponete lo strudel su di una placca coperta di carta forno imburrata. Cuocete in forno a 180° per 45 minuti. Alla fine spennellate ancora con il burro fuso e cospargete di zucchero a velo.

Aldilà della ricetta, mia o di altri, e aldilà della vostra bravura, ci sono piatti che si apprezzano meglio quando il contesto ambientale, si armonizza con essi. Che vuol dire: evitate di fare lo strudel se la giornata non è uggiosa o ancor meglio invernalmente innevata.

28 novembre 2007

Iron Blog ... Iron life ...

Mi compri mezzo chilo di castagne? Lella mi guarda con fare interrogativo. Devo fare una gara. Spaccaball è impegnato con il disegno di una funivia: con la bicicletta papà? No, una gara di cucina Matti! Ma lui ha già riabbassato la testa, ora è concentrato sul pilone centrale dell'impianto che sale quasi in verticale su un cucuzzolo improbabile. In cima al cucuzzolo, in un misterioso equilibrio di forze, uno sciatore aspetta la costruzione della funivia, incerto se lanciarsi in quella discesa mozzafiato o tornarsene con la cabina, sempre che Matti riesca a costruirla prima che lo sciatore precipiti a valle. Intanto mi sto arrovellando il cervello su come incastrare i due+uno ingredienti, della sfida "ironesca": castagne, cioccolato, e un frutto secco a scelta. Non sfoglio ricettari, libri e internet, voglio vedere che "topolino" riesco a partorire da solo. Passa il pomeriggio. Ciao Papà, che fai? Quando "Chi?Che?Co?Io?" al secolo Leo rientra, mi trova seduto al fianco a Matti a disegnare il piatto su di un foglio di carta. Papà deve fare una gara con la bicicletta. Matti ti ho detto che è una gara di cucina. Siii !? Ma allora perché è da due ore che stai disegnando le ruote delle biciclette sui fogli di carta ?!? (...)
Spiego le regole e tutta la famiglia si butta nel gioco: Allora prendi il cioccolato e lo sciogli. A me le castagne non mi piacciono. Potresti fare una tagliatella con la farina di castagne. A me le castagne non mi piacciono. No un dolce, con il cioccolato che si scioglie sopra. A me le castagne non mi piacciono. Magari cuoci le castagne in forno e ne fai una granella. A me le castagne non mi piacciono. Per la frutta secca i pinoli, come nel castagnaccio. A me le castagne non mi piacciono. Aaalt ! Castagne lesse perché non le ho mai fatte, pistacchi per il colore e il sapore, e il cioccolato per fare una:

Ganache di cioccolato e castagne con croccantino ai pistacchi
(recipe english version... or better "maccaronic" english version HERE)



Per la Ganache e per 4/6 porzioni
battete il tuorlo di un uovo con 50 gr di zucchero finché non raggiunge una consistenza spumosa, incorporate 100 gr di crema di latte, e riscaldate a bagnomaria fino a 70°. Allo stesso tempo in una ciotola sciogliete, sempre a bagnomaria, 100 gr di cioccolata amara al 55%, profumate con un cucchiaio di rum. Una volta che la cioccolata sarà sciolta aggiungete il latte e l'uovo, amalgamate con vigore. Incorporate ora 200 gr (peso a secco) di castagne sbucciate e pulite che avrete precedentemente lessato per 50 minuti in acqua aromatizzata con 2 foglie di alloro. Mettete la ganache nei coppapasta, (ring, cerchi di acciaio) appoggiati su di una teglia, questa coperta di carta forno e lasciate raffreddare in frigo per almeno 2 ore.

Per il "crumble" di croccante.
sciogliete 100 gr. di zucchero bagnato con due cucchiai di acqua, quando lo zucchero comincia a prendere un colore nocciola, incorporate 50 gr di pistacchi tritati al coltello. Disponete velocemente il croccante su di un foglio di carta forno e coprendo con un altro foglio tiratelo con un mattarello. Una volta freddo passatelo al mixer a lame fino ad ottenere il "crumble"

Per il croccante da guarnizione.
seguite le indicazioni del croccante precedente, ma incorporate i pistacchi solo quando lo zucchero avrà preso un colore mogano intenso. Quando lo tirate con il mattarello fatelo diventare molto sottile.

Faccio un passo in più e, non richiesto, propongo un vino in abbinamento a questo piatto. In effetti si tratta di un vino speciale aromatizzato: un liquorvino con base di vini rossi siciliani, aggiunti di un infuso aromatizzato con foglie di marasca, ottimo per dolci al cioccolato e con un buon rapporto di qualità prezzo: ALA di Duca di Salaparuta.

Mmmh però mi sa che le castagne a me mi piacciono!

Aggiornamento: è finita così

25 novembre 2007

Vino dei Blogger #12 résumé

E’ andata. La dodicesima tappa, quella dell'Anniversario del primo anno, del vino dei blogger è passata.
Una buona partecipazione e tante idee per un vino da fine pasto, e non solo, un paio poco ortodosse ma belle ed interessanti.
Comincio, in ordine sparso e senza nessuna pretesa di classifica

Aristide ci porta in Francia, ma non con il più conosciuto Sauterns, ma con un Coteaux du Layon Maria Juby 2003 del Domaine Patrick Baudouin, che poco o nulla ha da invidiare al più conosciuto cugino.

Dalla Francia Torniamo in Italia sulle foci del Po, con Mirco che ci racconta del suo Ailanto “sovrammaturato” che oggi non c’è ancora, ma che lui sta crescendo, con tutte le difficoltà di cosa voglia dire fare un passito in quelle zone. In bocca al lupo.

Dalle foci del Po, alla Val d’Aosta con Kat e Remy cuocchidicarta che, giustamente, ci raccontano due vini di quella terra. Il Podium un bianco a base di Petite Arvine, frutto della mente creativa di due giovani produttori Svizzeri. Il secondo Il Pierrots frutto del caso è un passito rosso a base di due bacche autoctone della regione il Petit Rouge e il Fumin. Due proposte che svegliano la curiosità e la voglia di cercare e provare queste due scoperte.

E come se fossimo spinti da un vento impazzito, me ne rendo conto mentre scrivo, voliamo in Spagna, dove Joan ci racconta di un enologo “errante” Telmo Rodriguéz, della sua Compagnia de Vinos e del suo secondo vino per la zona di Malaga, l' MR (le sigle piacciono a Telmo) a base di Moscato di Alessandria. Altra curiosa scoperta.

Cipolla, Adele di Gustosamente ci parla di un passito a base di Moscato Giallo e Garganega: Le Cime. Vino di una piccola azienda agricola mantovana, coltivato sull’appezzamento più alto della stessa azienda e da cui probabilmente si riesce a buttare un occhio al lago di Garda.

Le peperine, a metà del viaggio, mi riportano a casa nelle Marche. Con l’ Arkezia muffato di san Sisto di una delle aziende storiche di quella terra. E anche il loro accostamento con morbido gorgonzola è assolutamente azzeccato.

Giacinto del Maiale Ubriaco ci porta a sud, alle pendici del Grande Vulcano a Linguaglossa in provincia di Catania. Li ci racconta di un rosso che nasce sulle pendici del Vulcano il Sikélios e di un incontro “… ritorna l'uomo sui terreni arsi a rinfoltirli e quivi poi a vendemmiarli.”

Non ci allontaniamo troppo e sempre nella stessa terra, nello stesso mare: Sigrid di Cavoletto, di ritorno da Salina, ci racconta della Mavasia delle Lipari di Fenech. Di più Sigrid racconta del suo produttore, personaggio carismatico e, rompendo le consuetudini propone anche un accompagnamento come aperitivo.

Risaliamo il mare tirreno e andiamo con Fiordisale nelle cinque terre a scoprire il raro e blasonato Sciacchetrà. Gisella incastona su quegli scogli a picco sul mare un ricordo d’infanzia che tanto mi piace.

Luciano ci porta nella zona che un tempo rappresentava la “l’antica bordeaux romana”: l’Ager Falernum. Lì scopre per noi il Fastignano 2003 da una vigna ottuagenaria un primitivo in summaturazione, con rese bassissime che regale un vino rosso dolce tutto da scoprire.

Con MariaGrazia andiamo nella mia attuale terra adottiva, per farci raccontare di un Recioto di Soave 2002: ORO. MariaGrazia non racconta solo il vino ma anche un bel pezzo di storia del vignaiolo che lo produce: Umberto Portinari.

Sorsetti, che si aggiudicano anche il testimone per il prossimo Vino dei Blogger #13, propongono un passito da aperitivo, che mancando di corpo si presta in maniera particolare ad aprire il pranzo. L’Acquamadre sembra però avere le carte in regola per arrivare fino in fondo a chiudere il pranzo con un buon sigaro.

Con Mario di Terre Alte si ritorna in Veneto a parlare di vespaiola il vitigno principale del Torcolato che prende il nome dalla particolare lavorazione a cui i grappoli sono sottoposti. Altro vino, altre curiosità, notizie, altri piacevoli incontri.

I Muvara della loro trattoria anche ammettendo la loro poca esperienza e conoscenza in materia ci raccontano del Moscato di Sardegna e di una bottiglia particolare dedicata agli amici.

Un altro viaggio spaziotemporale e con Pierluigi e i suoi vini dal mondo, arriviamo in Crimea (Ukraina) per sentirci raccontare di un Pinot grigio dolce del 2002, vinificazione in rosso nelle caratteristiche anfore come un tempo. Un vino curioso che andrebbe sicuramente scoperto.

Ritorniamo in Italia con Andrea Gori di Vino da Burde che nel raccontarci delle sue ultime fatiche di sommelier e babbo per quindici minuti si concede ad uno dei grandi classici: Vin Santo Avignonesi 1994, dal colore quasi mogano.

David di A purple stain, alla sua prima esperienza in questo giro di vini, ci parla ancora in Veneto. Di una zona al confine con il Friuli e di una gita per San Martino, per raccontare del Dogale Passito.

Mariangela di MaiSazi ci propone un altro marchigiano, il Sommo 2005. Un passito rosso da Vernaccia di Serrapetrona, che sembra aver poco convinto la nostra amica. Ma quella, dico io, è una zona che sta ancora cercando di capire cosa fare da grandi.

Da ultimo il mio post che parlava di frittelle e di verdicchio, di un amico e di storie, tante storie, come piacciono a me. E allora un grazie a tutti coloro che hanno partecipato a questa edizione e a tutti coloro che leggono e comentano.
Loste

22 novembre 2007

Storie di vino e di frittelle

Squilla il telefono. Sul display appare il suo nome, strano, lui non chiama mai.
Allora domenica !? Si domenica. Cosa cucini? Non ne ho idea, ma per certo berremo un passito da meditazione, come piace a te.
Gli racconto velocemente la storia de "il Vino dei Blogger".

Gli spiego che voglio aprire uno dei cavalli di battaglia della mia terra:
il Tordiruta


è un passito di verdicchio prodotto dalla Moncaro, nell'area classica di produzione dei Castelli di Jesi, meglio: nel comune di Castelplanio in contrada Piagge Novali.E' un vigneto piccolo, a trecento metri di altezza, due ettari di terra abbastanza sabbiosa, per un totale di 150 q.li di frutto. E' il prodotto di una vendemmia tardiva, di dieci settimane di appassimento su graticci con muffa nobile, di una fermentazione e di un affinamento per dodici mesi in barrique e altri dodici di maturazione in bottiglia. Ne esce un liquido denso, di un giallo dorato carico, con un profumo intenso di frutta candita e di frutti esotici, una nota speziata e piacevole. Un sapore armonico, vellutato in bocca, con retrogusto caratteristico della muffa nobile e una freschezza brillante.

Non ho pensato neanche al dolce, faccio io. Me lo faresti un regalo? fa lui. Se posso. Hai da scrivere? Si. Lui detta, è una ricetta quattro ingredienti, un dolce. Mi spiega il procedimento. Se tu me lo fai domenica, quando vengo a pranzo da te, è la prima volta che lo mangio dopo quindici anni. La domenica mi metto al lavoro e oltre al pranzo preparo il dolce. E' povero: 3 uova e 3 cucchiai di zucchero che vanno montati con la frusta, 500 gr. di farina di castagne, tanto latte quanto ne occorre per ottenere la consistenza di un "budino", uva passa ammollata in poco rum, una bustina di lievito per dolci, due cucchiai di anice o mistrà a profumare Poi, per prova, ne faccio due quenelle e le friggo, come da ricetta, in olio di semi bollente (magari la tradizione avrebbe voluto lo strutto) Rimangono sul piatto due "pallotte" marroni, che imbianco di zucchero a velo e poi per non farle sentire sole e abbandonate, mi invento una salsa inglese al marsala e una salsa al cioccolato.
La farina di castagne sa di fumo, mai usata. Non so se debba sapere di fumo o no, ma il dolce ha quel sapore particolare. Qualcuno ipotizza errori nell'esecuzioni delle ricetta, o un ingrediente andato a male. No è tutto a posto. Sarà! Nel dubbio preparo un dolce alternativo magari invece di un regalo gli ho preparato uno schifo.

Pranziamo e parliamo, con le mogli raccontiamo della vita, dei figli, ridiamo, scherziamo. Tu in Veneto a casa mia, e mi da Roma a Genova belin'. I programmi, il futuro, sei anni e poi basta molliamo. E' il momento del dolce ne porto solo un un paio a tavola. Spiego i dubbi e dico: assaggia che se non è, buttiamo. Lui prende la "pallotta" e la divide in due, le parti fumano soffici. La mette in bocca, chiude gli occhi mastica adagio, si alza mi abbraccia e dice: Te me gha fatto un gran regaeo. Te me gha fatto:

Le frittele col Pappazzon



E' andata. Mentre Grazia frigge, apro il vino, la chiacchiera riprende. Le spalle appoggiate alle sedie le gambe allungate sotto il tavolo, frittelle di papazzon che passano di mano e di bocca, veloci. Le storie di un bambino nella bassa Veneta, di un ragazzino, e poi di un ragazzo. Di una mamma che friggeva e di un piatto quasi di famiglia, o magari della zona? Dei "bitorzoli" che l'impasto friggendo lascia e che devono essere quasi neri, e del: mmmh ma senti che buoni!! Che poi in dialetto Se ciama i "buti": che sono come quelli che fanno le patate quando invecchiando "germinano" (butano). Lui continua: in Veneto c'è un detto: " te si come na patata col buto", cioè non servi più niente. La frittella che gira nelle sue mani, come se fosse un oggetto di culto, il piacere di ritrovare i sapori dell'infanzia. Alza il calice, il gesto fa brillare il vino, che ora sembra avere riflessi ambrati, mi guarda, serio e fa: grazie, l'ultima volta che le avevo mangiate c'era ancora mio padre.

Questo post partecipa al "il Vino dei Blogger #12"

19 novembre 2007

Cosa fanno gli altri di domenica?

Cosa fanno i food bloggers di domenica? Quando i lettori latitano dai loro siti. Si riposano? Magari si rilassano, spengono l'infernale strumento, e fan finta che il mondo virtuale non esista per dedicarsi a quello reale? Si prendono una giornata di riposo dal loro "ristorante" virtuale?
Macché, i food bloggers la domenica cucinano. Preparano le ricette e le tengono nel cassetto per i giorni seguenti. Caricano la loro arma di cartucce virtuali. Spadellano a spron battuto, provano, fotografano, riciclano, buttano.

Ma non è solo per questo, garantisco, è anche piacere relax come dice Mara nel gesto ritrovato di tirare la sfoglia della sua tagliatella. O chi magari nella stessa tagliatella ritrova i ricordi di un tempo. Il cibo, alla fine di tutto, è solo memoria, ricordo, dopo aver mangiato è la sola cosa che vi resta, piacevole o meno che sia.
Così mentre questa mattina, presto, più presto, viaggiavo verso il mio lavoro, mi chiama un'amico sofferente d'insonnia. Parla, si informa, racconta, e poi chiede: e ieri che cosa hai cucinato? Ci penso, rifletto e dico: niente.
O meglio ho mangiato, quello che ricordavo delle domeniche d'infanzia contadina. Il pomeriggio si andava a trovare un amico di famiglia, un parente, le chiacchiere degli uomini diverse da quelle delle donne. Noi piccoli ad origliare, per poi finire "sbattuti" fuori sull'aia a giocare. Fino al momento della merenda:

Il salame il cacio e le olive


magari ancora non del tutto pronte, qualcuna appena acerba che "lega" i denti, e allora grandi morsi su fette di pane, per smorzare il sapore e giù bicchieri di vino. Il salame, il formaggio di casa che sa di camino. E poi chiacchiere, la sera che scende, la luce al neon rotonda che ronza, merenda fino all'ora di cena. Poi a casa, imbacuccati, in cappotti pesanti, stretti nella 500 bianca. Mamma che mangiamo stasera?

15 novembre 2007

Com'è la vita

Dalla finestra della mia camera, ora, si vede un grande campo. Un trattore verde a sei vomeri, lo ara; attraversandolo come una forbice da sarta farebbe in un tessuto di raso. Mica come nelle Marche che gli aratri litigano con la terra. Lontano una linea di colline spezza la pianura veneta. Oltre, le dolomiti Bellunesi occhieggiano verso Venezia che sta dietro di me, a pochi chilometri.
L'aria è pulita di freddo, laggiù vicino alla strada, qualche colombaccio attardato aspetta il sole, appollaiato sui cavi del telefono. Al piano di sotto una porta sbatte violenta, sfuggendo di mano al vicino.
Non ci sono i rumori della mattina che tanto mi piacciono: lo "zampettare" veloce di Matti, che scende dal letto e mi fa "BUU" da dietro la porta. Lo sbuffare lento di Leo, che in mutande si prepara lo zaino. Nessuno è sceso a preparare il caffè, nessuno chiama a gridare che è tardi ed è ora di andare.
Magari loro fanno le stesse cose, anzi sicuramente le fanno, ma io non li sento. Quassù, lontano, sento il rumore monotono del trattore nel campo, un lontano tubare di colombacci, lo sciacquone dei vicini; poi sento il silenzio.
Il silenzio felpato dei miei passi, il silenzio delle mie letture, il silenzio dei miei pensieri. Roba da parlare a voce alta da soli per tenersi compagnia.
La vita è fatta così, un po' come diceva Ceriago:

El pesce è su per giù come la vita,
pieno de spini in genere, ma prò
vedrai come t'agusta e come invita
se impari a scanzà i spini e a capà el bò!
La vita nuda e cruda cosa vale ?
Bisogna daj un'ilusio', un culore,
un scopo, 'na speranza, un ideale,
cuntornàla cu' i fruti del'amore...
come se fa cul pesce, tal'e quale,
che ce meti l'aieto, el pumidoro,
la branciola d'erbete, el pepe, el zale,
per daj più bon sapore e più decoro.

E così passando davanti ad una pescheria, tra casa e ufficio, mi son comperato l'ultimo sgombro rimasto. Nel negozietto del paese o rimediato quattro pomodorini, un ciuffo di prezzemolo e mi son fatto, dei:

Piccoli maltagliati con ragù di sgombro.



Io ho fatto tutto per una persona, ma vi do la ricetta per quattro.
Ho fatto una sfoglia con 3 uova, 3 etti di farina poco sale e un goccio d'olio.L'ho tirata non troppo sottile ma abbastanza spessa e poi l'ho tagliata a pappardella, e poi ancora, in perpendicolare, per farne dei maltagliati. Ho deliscato due begli sgombri (è chiaro che il mio era uno ed avanzava). Ho fatto insaporire uno spicchio di aglio in poco olio evo buono. Ho messo giù due terzi del pesce che avevo ridotto a tocchetti. L'ho fatto appena scottare e poi ho aggiunto 16 pomodori datterini, sbollentati, spellati e privati di semi. Ho salato poco, ho pepato. Ho lessato la pasta, l'ho saltata in padella, aggiungendo la restante parte di pesce, che si è così appena scottata, ho aggiunto un trito di prezzemolo. Ho impiattato e condito con un filo di olio.
E ho mangiato da solo, mentre fuori due gatti litigavano.



14 novembre 2007

Memento

Solo per ricordare che la prossima settimana ci aspetta il 12° appuntamneo, nonchè 1°ANNIVERSARIO de "il Vino dei Blogger"


Le regole
Volutamente sono ammessi solo vini passiti o muffati; niente speciali e quindi liquorosi (lasciamo qualche tema anche per il futuro );
Qualsiasi uvaggio;
Nessun vincolo a provenienza geografica e a prezzi;
Qualsiasi denominazione;
Descrivere il vino e darne tutte le informazioni possibili;
Possono partecipare tutti coloro che ritengono di avere un vino da raccontare;
Non è finita diteci come lo bevete: a seguire un dolce? Quale?. Con cioccolata vicina? Che tipo? Con un sigaro? La marca.

E poi raccontate a cosa pensate quando bevete, di cosa parlate con chi vi fa compagnia. Perché quello che è fondamentale, e che spesso rende un vino indimenticabile è: l'occasione.

Si pubblica tutti nella giornata del 22 novembre. A seguire la pubblicazione, si manda una mail al sottoscritto lacolica@hotmail.it con oggetto "il Vino dei blogger #12". Mi impegno a riepilogare il tutto il fine settimana successivo quello della pubblicazione, e a passare il testimone a... Fatevi sotto.

11 novembre 2007

Scontrarsi con la modernità

Mi piacciono le mattine della domenica; lente, silenziose, stanche e svogliate. Camminare per le vie del paese, odore di caffè, i rumori ovattati di rare auto che appaiano e scompaiono. La donna sul balcone che si affaccia in pigiama. L'altalena nel vecchio giardino che dondola piano, spinta da un vento ribelle. Il parco giochi vuoto. Qualche bambino ha costruito un ponte sopra una grande pozza d'acqua. Ma poi il ponte è crollato e sull'asfalto, della strada, ci sono le tracce minute di due scarpette cariche di fango, che fuggono dal parco.
Ritorno verso casa, anche qui il tempo è rallentato, tutti dormono.
Impasto le uova, cercando di fare meno rumore possibile. Mi accompagna il sottofondo di un album del "Buddha Bar". La musica è ritmata, sopra le percussioni arriva un assolo di chitarra, leggero, che scivola come la brezza di fuori. Una foglia sbatte sulla finestra resta un attimo, poi cade.
Tiro la sfoglia. Ora la chitarra ha lasciato il posto ad una voce, che non dice parole, ma che ripete due vocali all'infinito. Sembra un richiamo, come quelli che qualche volta si sentono nelle valli in montagna. Il rumore ovattato di due piedi nudi, che scendono le scale, stona con la musica. Matti compare in cucina. Il pigiama del fratello troppo grande per lui.
Che fai?
Dalla finestra della cucina osservo un cielo grigio che corre veloce verso il mare, lontano. Le ultime due foglie rosse dell'acero, si aggrappano testarde ai rami.
A me mi piacciono i ravioli che fai tu, papà.
Il vicino si aggira per il suo orto, indeciso, distratto. Raccoglie qualche foglia, sposta gli attrezzi appoggiati alla baracca, osserva l'ultima melanzana rimasta ancora appesa alla sua pianta ormai secca.
Si, mi piacciono quando ci metti la ricotta, il parmigiano e l'uovo.
Ora ci tiene compagnia un duetto di violino e chitarra acustica. Matti, inginocchiato, sulla panca il mento appoggiato alla mano, i gomiti sul piano della cucina, mi guarda preparare i ravioli.
Poi che ci metti sopra?
Un paio di corvi giocano nel vento, si rincorrono in un volo bizzarro e scomposto. Si attaccano per le zampe e precipitano. Scompaiono dietro il ciliegio e riappaiono distanti, trascinati dal vento.

A me mi piace i ravioli con il prosciutto e con quelle palline verdi, che ci metti sopra.
Ora tutta la famiglia è seduta a tavola, in attesa dei piatti. Matteo è tornato nella posizione della mattina. Ha fame dice che lui non ha mangiato e che è tutto il giorno che gioca e che corre. Ha ucciso un mostro, ha fatto una corsa con la macchina di ciumacher e ha fame.
Ma perché metti il parmigiano nell'acqua?
I Buddha Bar continuano ad andare ora sta passando, come un lamentano allegro, una chitarra spagnola, un flamenco nascosto tra le pieghe.
Ma perché sbatti l'acqua con quel coso lì che si mette dentro?
Cuocio la pasta. Fuori appare un striscia di sole. Sembra come uno di quegli "occhi di bue" che in teatro illuminano il protagonista sul palco. Qui ad essere illuminata è una vecchia quercia con qualche foglia ancora attaccata.
Salto i ravioli in padella, li impiatto e metto l'aria di grana. Matti è preso da un pezzo di pane e senza guardarmi chiede:
Come si chiama questo piatto papà ?

Raviolini con prosciutto, piselli e aria di grana.



Passo il piatto a Matti che spalanca gli occhi.
Papà. Ma ci hai messo il sapone? Ma no Matti!
Guarda il fratello, gli occhi stretti in una fessura, la labbra serrate in una morsa di rabbia. Mi ci hai sputato te ?

08 novembre 2007

Maccaroncini ed esperimenti

La stanza è fredda. La parte del corpo che ho fuori dalle coperte, sembra congelata. Naso e bocca freddi, e un vago cerchio alla testa, sono i sintomi di una temperatura troppo bassa. I miei fratelli dormono, accanto a me nell'enorme letto di ferro battuto. Dalle persiane socchiuse, filtra la luce grigia del giorno. Scivolo fuori dalle coperte, e saltello, a piedi nudi fino in cucina. Lì la temperatura è quasi tropicale. Mi infilo tra la finestra e la stufa scoppiettante. La grande piastra di ghisa infuocata, i tubi del camino bianco, che sopra la mia testa fanno una stretta curva per uscire da sopra la finestra, riempiono la stanza di caldo. Mi siedo sulla panca che serve a raccoglier la legna, e mi crogiolo a quel calore rassicurante.

I vetri hanno una patina di condensa spessa e pesante. Ogni tanto una goccia scivola dall'alto, un percorso quasi rettilineo. Prima piano quasi incerta, avanza, s'arresta, poi come a seguire un richiamo, fa una leggera curva ad incontrare un altra goccia. Si uniscono si aggregano, aumentano di peso e volume, e alleate nel gioco, partono, veloci verso il basso ora perfettamente diritte. Nella corsa trascinano altre gocce, precipitano giù finendo sul bordo di legno, mangiucchiato dal tempo. Allargano la traiettoria liberandola dalla condensa e lasciando una fessura sottile da cui si intravede il mondo di fuori.
Di fuori mia madre e mia nonna, che puliscono una gallina, ormai morta. Un pentolone di acqua bollente che fuma nel freddo di novembre. Movimenti veloci, la massa di piume bianche che finisce nel pentolone. Una breve immersione per facilitarne la spiumatura.

Sobbalzo. Un ciocco scoppia nella stufa, il crepitio del legno spaccato e attaccato dal fuoco continua. Fuori, quattro mani veloci, stanno spennando l'animale, appoggiato su di un tavolaccio tra orto e giardino. Mia mamma fa il lavoro "di fino" elimina, con fare certosino, le piccole piume più coriacee. Mia nonna sventra la gallina, la apre, infila una mano dentro, elimina parte delle interiora e recupera qualcosa che finisce in un piccolo tegame. Un ultima lavata sotto l'acqua corrente, gli attrezzi: il caldaro, il tavolaccio, coltelli e parananze, finiscono al loro posto. Salto giù dalla panca e mi nascondo dalla parte opposta, tra la credenza e la stufa. Da lì posso tener d'occhio l'ingresso senza farmi vedere, uno scherzetto.

La gallina appare sulla soglia, il collo nudo esce, penzolando, dalla pentola che mia nonna ha in mano. Mi viene incontro l'occhio vitreo fisso che mi guarda, mi passa accanto e si ferma sul tavolo della cucina.
Che ci fai ? Chiedo. Mia nonna sobbalza, lanciando un grido. E tu che fai qua, ancora in pigiama e tutto scalzo? Mi guarda con un piglio di rimprovero. Io osservo la gallina e il mucchietto di fegatini nel piccolo tegame.
Che ci fai con la gallina? Metà la facciamo al forno con qualche salsiccia vicino, con l'altra metà ci facciamo il brodo. Guardo i fegatini, un dito spunta dalla manica troppo lunga del mio pigiama: e questi? Con quelli ci faccio un sughetto. E poi? e poi, facciamo:

I maccaroncini con le battecche

Il procedimento è meno complicato di quanto possa sembrare, ed è illustrato nel post precedente, qui, si fa una sfoglia abbastanza sottile di pasta all'uovo, per quattro persone sono sufficienti due uova intere impastate con 200 gr di farina e un pizzico di sale. Si tira la sfoglia e poi la si taglia alla dimensione di una pappardella. La pasta si avvolge attorno alla battecca e poi la si passa sul pettine da telaio imprimendo la forma dei fili e formando il maccaroncino. La cosa difficile magari è procurarsi un vecchio pettine da telaio, abbandonato in qualche vecchia soffitta, le battecche sono rametti di frassino puliti e lasciati seccare. Si prepara, poi, un brodo di gallina, oppure per renderlo più leggero usate un pezzetto di gallina e un pezzo di muscolo di manzo. Il brodo deve bollire per un tre ore con sedano, carota, cipolla e un chiodo di garofano. Mentre il brodo va, si prepara il sughetto di rigaglie: tagliando a tocchetti piccolissimi le interiora di un pollo: fegato, cuore e maghetto (ventricoli). Le si rosolano, ben bene per una decina di minuti, in padella con una noce di burro e una foglia di salvia. Si sfumano con del vino bianco e si aggiunge un cucchiaio di passata di pomodoro. Si lascia andare per altri quindici venti minuti e poi si tiene il sughetto al caldo. Si filtra il brodo, lo si rifà prendere bollore e poi si tuffano dentro i maccaroncini che devono rimanere al dente, si impiattano lasciando che i commensali si servano del sughetto a piacimento (magari non tutti gradiscono, ma merita). Senza dimenticare una bella grattatugiata di parmigiano.

Ecco questo è un piatto della profonda tradizione dell'entroterra marchigiano. Questo è un piatto che rappresenta il concetto: "in campagna non si butta mai niente". Di più: questo è un piatto che nessuno fa quasi più, non l'ho mai trovato proposto in un ristorante, e come avete letto dal post precedente, da altri parti d'Italia non lo si conosce, così come lo si fa nella Marca Ancontena. Esiste però qualche cosa di simile, probabilmente delle dimensioni di una "penna", condito con sughi diversi, come molti di voi hanno segnalato. Ma il brodo no vero? L'esperimento era questo trovare qualche cosa di Tradizionale, la cui memoria si sta perdendo e metterlo in rete. Per farne cosa? Per renderlo immortale. Magari tra qualche giorno su google digitando "maccaroncini" lo "spider" metterà questo post tra i primi dieci risultati della ricerca. E magari è vero che internet è limitata al solo senso della vista ... ma nonna diceva "Cocco mio, si mangia anche con gli occhi".

04 novembre 2007

Esperimento globalizzante

Un anonimo, commentando un paio di post fa, parlava di questo blog, o magari di quel post, come di una "contraddizione in termine". Parlare, cioè, di tradizioni, e "tentare di tenerle vive" attraverso uno strumento che, secondo l'anonimo lettore, uccide le tradizioni stesse: internet.
Nel dubbio che lui, l'anonimo, potesse aver ragione mi è venuto in mente un esperimento, altamente scientifico, quindi non fate quelle facce. Ecco dunque l'esperimento globalizzante. Guardate questa sequenza di foto:









Due precisazioni due: non si vince nulla; e quelli sopra non sono i "garganelli", che la mammina che vive nel mulino in mezzo al campo di grano, o la ragazza che ha ripulito il faro, fanno con le loro manine amorose.

Lasciare un commento a questa indagine vi farà diventare protagonisti di una delle più importanti ricerche antropologiche mai promosse in rete. Che se lo vengono a sapere quelli dell'isola dei famosi, che mentre sono là, qua succedono queste cose, se ne vanno tutti e lasciano "cappuccetette rosse" sola come un cane.

A parte gli scherzi, ma senza prenderci troppo sul serio, che può far male, adesso ditemi se avete mai visto questa pasta, magari mentre la faceva una nonna o magari l'avete mangiata da qualche parte.
Se la risposta è un si, ditemi dove l'avete vista o dove e come, questo è importante, l'avete mangiata. Anche i "no "sono importanti, se uno mi dice: Io a Timbictu non l'ho mai vista, io ho la quasi certezza che a Timbuctu questa pasta non ci sia. Quindi datevi da fare e non latitate, la scienza vi chiama.

30 ottobre 2007

Spigoli di muro, peluche e altre amenità

C'è una foto vecchia e sgualcita. I segni del tempo hanno lasciato righe ramificate come le crepe di un ghiaccio. I contorni sono rifilati da sforbiciate, che regolarmente, hanno eliminato pezzi che il tempo aveva strappato. Nella foto un bambino è seduto al suo banco di scuola. Quei banchi ad un solo posto, quei banchi di una volta. Stranamente quel poco che si vede del resto dell'aula è deserto, di sedie lasciate in disordine. Come se la lezione fosse finita da tempo e il bimbo è rimasto lì, da solo, a posare per la foto. Calza un paio di scarponcini alti e pesanti e un paio di calzettoni che ripiegati gli arrivano fin sotto al ginocchio. I pantaloni corti scoprono le cosce grassoccie e rotondelle. Il grembiule somiglia ad una gonna, il colletto, bianco. Il bimbo impugna una matita appoggiandola ad un quaderno, poco convinto di scrivere. Ha capelli lunghi, fermati sulla testa da quelle fermezze che lo fanno, insieme a quel grembiule, somigliare tanto ad una bimba. Forse c'è anche un fiocco sui capelli, segno di un non appagato desiderio di figlia. Alla sua sinistra è appoggiato un peluche che raffigura un galletto, o forse un orsetto o magari un cagnolino. Ha gli occhi piccoli, la fronte spaziosa, il viso rotondello e un mento volitivo. La bocca è serrata in un espressione indefinibile. E' indifferente alla foto, forse la considera una scocciatura, e vuole andarsene a casa a mangiare. Oppure è l'espressione contrita di un pianto trattenuto, per orgoglio o per rabbia. Quei pianti che riempiono il petto, strozzano la gola e gonfiano gli occhi. Qualcuno lo ha costretto in quella posa, gli ha detto di restar fermo, gli ha detto di guardare verso la macchina fotografica, gli ha detto di sorridere, gli ha detto di far finta di scrivere.

Qualcuno però, si è dimenticato di dirci che il mondo non è quello dei banchi di scuola, e dei peluche colorati. Qualcuno si è dimenticato di dirci che il mondo è un'altra cosa. Nessuno ci ha detto, che lealtà, onestà, trasparenza, umiltà, non sono più tanto di moda. Il fatto è che lo abbiamo scoperto da soli, prendendo il muro di spigolo, diritto in faccia. Lo abbiamo fatto a nostre spese, sputando i denti caduti e ingoiando l'amaro che rimaneva in bocca. Tornati a casa abbiam sorriso alle stesse mamme che ci facevan le foto quando eravamo bambini. Una mano sulla spalla, e un sorriso distratto a tranquillizzarle che fuori è tutto come ci avevano raccontato loro. E che sì, va tutto bene e non c'è di che preoccuparsi. E non importa se siamo grandi, padri, madri; è che per loro siamo sempre figli con il grembiule di scuola e i pantaloni corti come in quella foto con il peluche sul banco.
Alla fine di tutto, rimaniamo soli a tirarci su a vicenda, a trovare ragioni e soluzioni, per galleggiare e per tornare ,piano, piano, a navigare.

E se uno mi chiede cosa può farsi da cena, per tirarsi su dopo una giornata passata a schivar spigoli di muri, la risposta che mi viene in mente è solo una: una carbonara, meglio una:


Carbonara Ma'Kaira di farro e orzo



Ho provato questo nuovo spaghetto dell'abruzzese Ma'Kaira, giusto per movimentare uno standard che sicuramente in rete impazzerà. La Ma'Kaira fa un ottima pasta, e questa non mente alla fama, ma, ha un piccolo difetto, come tutte quelle di farro: è delicata. Se state lì con il forchettone a girare e rigirare la spezzate tutta, quindi toccatela all'inizio e poi non fatelo più, fino a che non la scolate. Per il condimento, per quattro persone, io uso 2 uova intere e 2 tuorli ,"occio" che le uova delle galline di mia suocera sono molto più piccole di quelle in commercio, e allora magari ne bastano due più uno. Uova che batto a lungo con un pizzico di sale, aggiungo poi, pepe, se ne avete uno buono ( Sechuan, Sarawak, Muntok) è meglio. Aggiungo poi un'abbondante grattata di noce moscata, parmigiano grattugiato e un poco di latte a ridare liquidità. Sciolgo della pancetta con pochissimo olio, e la lascio rosolare a fuoco basso. Scolo la pasta e la salto, a fuoco vivo, nella pancetta, in modo che si impregni ben ben di grasso. Spengo il fornello e verso le uova, continuando a saltare. Alla fine devono rapprendersi ma non troppo, per i miei gusti. Quando impiatto aggiungo anche un trito di prezzemolo. Scandalizzati? Non è più la carbonara? Pazienza, sapeste come tira su.

28 ottobre 2007

il Vino dei blogger #12

Ecco.
Uno pensa di tenere un basso profilo, ultimo arrivato in un gruppo che parla di vino, e poi. Poi tocca a lui, ma tocca a lui, nientepopodimeno che, nel numero dell'anniversario.
E già. E' passato un anno da quando Marco di "Imbottigliatoallorigine" ha lanciato "il vino dei blogger", l'appuntamento mensile italiano sull' onda del WBW d'oltreoceano. E cosa si fa in occasione di un anniversario? Cosa si beve in queste occasioni? Troppo facile pensare a festeggiamenti a base di champagne. Scontato e già dato lo spumante. E poi non mi pare si sia gente "caciarona" e allora?

Riflettere su questo anno passato, meglio Meditare, e per farlo bene, bere. Quindi il tema del dodicesimo "Vino dei blogger" è:

VINI PASSITI DA MEDITAZIONE



Le regole
Volutamente sono ammessi solo vini passiti o muffati; niente speciali e quindi liquorosi (lasciamo qualche tema anche per il futuro );
Qualsiasi uvaggio;
Nessun vincolo a provenienza geografica e a prezzi;
Qualsiasi denominazione;
Descrivere il vino e darne tutte le informazioni possibili;
Possono partecipare tutti coloro che ritengono di avere un vino da raccontare;
Non è finita diteci come lo bevete: a seguire un dolce? Quale?. Con cioccolata vicina? Che tipo? Con un sigaro? La marca.

E poi raccontate a cosa pensate quando bevete, di cosa parlate con chi vi fa compagnia. Perché quello che è fondamentale, e che spesso rende un vino indimenticabile è: l'occasione.

Si pubblica tutti nella giornata del 22 novembre. A seguire la pubblicazione, si manda una mail al sottoscritto lacolica@hotmail.it con oggetto "il Vino dei blogger #12". Mi impegno a riepilogare il tutto il fine settimana successivo quello della pubblicazione, e a passare il testimone a... Fatevi sotto.

Ho preparato un banner che linka questo post, chi vuole può "pubblicizzare" l'evento sul proprio sito o blog, copiando il codice qui sotto:


<div align="center"><span ><strong>PARTECIPA A L'ANNIVERSARIO</strong></span>

</div><a href="http://unacolicadacqua.blogspot.com/2007/10/il-vino-dei-blogger-12.html"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5126082235698922002" border="0" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; CURSOR: hand; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJfYSKcn1AnHWFfO7VpN8UcqZdMCdhprRfsHklGgweajpraMNIDbt4Pe00_JkjQlM9SywpzLXGIhjT5kCJh6zlM08_9u-omDb2DRne070G2A_vMw25zwzNSMN7wU_mLyMMTt0y/s200/passiti_manifesto_small_3.jpg"/></a>