30 marzo 2008

Koba... che?

Ho mostrato la foto del piatto a coloro che presumibilmente l'hanno assaggiato, come in quel polizesco un po' d'essay , ho fatto sedere il "Robert Verbal Kint", di turno al tavolo del mio studio. Ho attivato il video del pc e immaginandomi un "Chazz Palminteri" dell'entroterra marchigiano, ho chiesto se quello che appariva in video fosse il "Keyser Soze" di turno.

Lella ha avuto uno sguardo distratto, un'alzata di spalla, una smorfia sottile su un lato del labbro inferiore. Ha mosso la testa da destra a sinistra, evitando un fastidioso riflesso di luce appoggiato sul video, ha cercato di associare i colori e le forme alle sinapsi della sua mente.
No non mi ricordo, ne mangiamo tanti di piatti!

A Matti tremavano le mani, seduto in quella sedia bollente, sapeva che sarebbe stata una lunghissima notte. Quando ha visto la foto ho capito che sapeva, ma come in quel film, le sue memorie i suoi ricordi, sembravano sfuggire, scivolare dalle dita come palline insaponate. E come in quel film appariva il personaggio di "Kobayashi", qui qulacosa ne usciva, ma ... a fatica, strappato con le pinze da quella piccola bocca tremante:
Io quegli animali non li mangio papà, lo sai. E poi lì c'è quella cosa verde, che a me non mi piace.

"Chi?Che?Co?Io?" mi ha guardato negli occhi, una fessura sottile, si è avvicinato al tavolo e se nel farlo avesse zoppicato con il braccio sinistro lungo il corpo, non mi sarei meravigliato. Non sarebbe andata come nel film, qui il "diavolo" esisteva e non era sparito, la foto sul video ne era la prova. Era solo questione di tempo, non ci sarebbe stato un redfoot grasso come una balena, nessun quartetto vocale a Skokie, e niente caffé Guatemalteco. Qui le cose sarebbero andate diversamente e Lui lo aveva capito.
Tirò un lungo respiro, si aggiustò sulla sedia e ...

Era un risotto con cuori di carciofi freschissimi, sudati in un intingolo di olio evo, aglio, e una sottile fetta di guanciale, rosolata e tolta prima di mettere a tostare, in quell'intingolo, 80 gr di riso carnaroli per persona. Si, si, ... mi ricordo che lo hai lasciato scottare per un paio di minuti, poi hai sfumato con un mezzo bicchiere di bianco dealcolizzato. Hai fatto andare il risotto con un fumetto leggerissimo, mentre nel frattempo hai trattato quattro gamberi rossi spettacolari. Ricordo... ricordo che Matti non ne mangiò, e per il suo fù dura scegliere a chi toccasse.

Annnuisco sapevo che avrei ritrovato il bandolo di quella matassa, ora le palline non sono più insaponate e le tengo ben strette tra le dita. Ora ricordo che scaldai una padella antiaderente, la cosparsi di fleur de sel di Guérande, ci appoggiai i quatro gamebri scottandoli un minuto per parte, deglassai quella padella con mestolo di fumetto e ne ricavai un salsina con cui guarnii i piatti.

"Chi?Che?Co?Io?" è ancora lì, la testa bassa, con un filo di voce mi ricorda:
hai mantecato il risotto con olio evo, anche se questo da fastidio a qualcuno, ma a te piace essere un rompipalle, hai impiattato, messo il gambero insaporito con quella salsina e poi... Poi non so come ti è venuta quell'idea del basilico fritto.

Già il basilico fritto... e ora il piatto è qui, fatto rinascere dalla memoria di Verbal Leo. Lo guardo piegato sotto il peso della responsabilità, le spalle curve, una mia mano sulla sua spalla e... ed è un segno, un messaggio: può star tranquillo nessuno saprà che è stato lui a (ri)fare la ricetta del:

Risotto "Kobayashi"



28 marzo 2008

Esercizi di stile ?

Questa mattina volevo scrivere un post, raccontandovi di un posto che avrebbe dovuto ispirare il post, ma il posto non era il posto che avevo immaginato e quindi il post che volevo postare non posso postarlo. Quindi sposto il post che dovevo postare sul posto che non posterò e faccio un post che non è un post.

Ma mentre stavo pensando di scrivere il post sul posto che che avrebbe dovuto ispirare il post, ma che non era il posto che avevo immaginato e che quindi non potevo usare per fare il post, ho trovato nell'archivio delle foto, una foto di un piatto. La foto del piatto non c'entra nulla con il post sul posto che che avrebbe dovuto ispirare il post, ma che non era il posto che avevo immaginato e che quindi non potevo usare per fare il post.
E' la foto di un piatto che sicuramente volevo utilizzare per fare un post, ma che a questo punto, come dicevo, non c'entra nulla con il post sul posto che che avrebbe dovuto ispirare il post, ma che non era il posto che avevo immaginato e che quindi non potevo usare per fare il post.

Il post che sto scrivendo quindi non è un vero post, tantomeno è il post che avevo in mente di postare, quello sul posto che avrebbe dovuto ispirare il post, ma il posto non essendo il posto che avevo immaginato non poteva ispirarmi il post.

Bene ora ho scritto una ventina di righe di cazzate, ma che se volessi fare il figo potrei chiamare "Postatia" e dire che una struttura ispirata dagli esercizi di stile di Queneau

Ah un'altra cosa non mi ricordo neanche la ricetta del piatto fotografato, magari ora ci penso e poi ve la scrivo, o magari provate a scriverla voi.


24 marzo 2008

Mezza pensione, servizio completo

Matti è seduto al mio fianco, gioca con due tappi di minerale, Leo di fronte, a fianco di sua madre, è concentrato sul piatto d’insalata presa al buffet. Ormai tutti gli ospiti di questo ristorante, di questo albergo, di questo posto in mezzo ai monti sono seduti ai loro tavoli.

Una comitiva di quarantenni occupa tutto il lato di sala di fronte a noi sono in dodici, tutti adulti, i figli, i loro figli, sono “parcheggiati”, distanti, da loro, nel lato ovest del ristorante: due tavolate chiassose e litigiose. Lontani "che mica possiamo starci a rompere le palle con i nostri figli". I bambini tutti tra i sei e i dieci anni, sono irrequieti, si fanno dispetti, si tirano pezzi di pane, ordinano cocacola a fiumi, e quando arrivano i piatti li rifiutano non li vogliono, cambiano l’ordine fatto al mattino. Il cameriere imbarazzato cerca con un’occhiata di attirare l’attenzione dei genitori, nell'inutile tentativo di far rispettare le regole, ma quelli neanche per idea. Ogni tanto una madre, sempre la stessa, si alza e si avvicina al tavolo dei bambini, fa finta di arrabbiarsi, rimprovera i suoi due figli che non se la filano di pezzo, sequestra la cocacola, più per ripicca che per altro, tanto tra due minuti ne hanno ordinata un’altra lattina, e se ne torna al tavolo sorridente abbronzata e figa. Fa gli occhi dolci ad un tizio della comitiva, che non è suo marito, un tipo che fa di tutto per assomigliare a Riccardo Fogli, lei gli fa le battute e il marito la guarda di traverso, l'amico risponde sminuendo con mimica facciale la frase per non dagli troppo peso. Ogni tanto RiccardoFogli lancia un richiamo al suo figlio/amico: alza il braccio e grida “Vai Kevin !!!” Il figlio neanche si volta e mi ci occorrono due cene per capire chi sia Kevin. Che poi Kevin non lo sa, ma tra cinquant’anni quando di Costner non si ricorderà più nessuno, troppi attori famosi in questo ventennio, lui passerà tutto il suo tempo a rispondere alla domanda: "perché Chevin?"

Più vicino a noi c’è un’altra comitiva, ma i figli, tre bambini, stanno seduti con loro, seduti è una parola grossa. Si seggono per identificare la loro sedia, poi cominciano a correre per il ristorante. Tra l’atteggiamento di assoluta indifferenza tenuto dalla maggior parte di quei genitori e quello che adotta invece una madre, che seguendo con lo sguardo la figlia gli urla dietro: “Martinaaa torna qui non si correeeeee”, con voce stridula aquilina, sinceramente preferisco di gran lunga il primo. La mamma prova ad afferrare Martina durante un passaggio vicino al tavolo, un po’ come i cambi gomma della formula uno, ma la manovra non riesce e Martina, di corsa, si infila tra la mia sedia e il muro alle mie spalle. La mamma si alza prende a correre dietro a Martina e fa per infilarsi, oddio no, nello stesso pertugio dove è passata la figlia. Ma la signora onestamente non è in gran forma, anzi a due fianchi sporgenti, anzi ha un culone enorme, fasciato da una specie di tuta che sembra esplodere. Ma non demorde, con due colpi di reni accosto la sedia al tavolo, ma non basta, lei mi spinge avanti nel tentativo di afferrare la figlia, incastrandosi tra sedia e muro. E io penso che ora mi si spezzeranno le costole, le ultime due per lato quelle appena sopra il diaframma, perché quel culo e troppo grande per poter passare senza danni. E invece di vedermi scorrere tutta la mia vita, vedo le facce bastarde di Leo e Lella che si sbellicano dal ridere. E quando son sicuro che sto per sentire il “crack” netto dell’osso che si spezza e il collasso polmonare che ne conseguirà, Martina ha un’idea geniale: gira intorno al mio tavolo e con un guizzo è alle spalle della mamma, che torna indietro e mi lascia vivere e respirare, senza farmi mancare la visione di quell’enorme mappamondo allontanarsi dai miei incubi.
Lella e Leo continuano a ridere come pazzi, l’unico serio che ha capito la gravità della situazione è Matti, che prima guarda me, poi il culo della donna che sta tornando seduto e poi fa “Papà ti stava per schiacciare”.

E io mi incazzo, ribollo rabbia totale e definitiva, per il "mi scusi" neanche pensato, per tutto quell’urlare, per i bambini che corrono e che sbattono sul mio gomito mentre mangio. Per quel gruppo di figli che adesso è intorno al tavolo di servizio, ché lo chef sta preparando le crepes, e loro lì con i gomiti sul tavolo e la bocca appoggiata alle pile dei piatti e non solo la bocca ma anche i nasi smocciolanti tipici del dopo-sci, riccardofogli che parla con il suo amico, dennidevito, due tavoli più in là, e per farlo urla. Urlano i bambini, urlano i genitori per farsi sentire, urlano questi due anziani signori di fronte a me, con uno sforzo incredibile per loro, urlano tutti. E noi invce non parliamo, stiamo tutti e quattro zitti in attesa di andarcene via, solo Matti, credo, non riesco a sentirlo, sta facendo dei versi con la bocca giocando con i tappi. E allora mi viene in mente quella barzelletta in cui il matto dice: ma lo hai visto dove sta scritta la parola manicomio? Fuori. Ecco se mi guardo intorno gli strani, gli anormali, gli asociali, siamo noi. Mi alzo, no grazie le crepes non mi vanno proprio stasera signor camemeriere. Prendo Matti per mano, lo guido in questa "chicane" tra tavoli e bimbi buttati a terra, e mentre passo a fianco al tavolo dei quarantenni, la mia indole riemerge con tutta la sua inutilità: "Buonasera... e buon proseguimento.", "Buonasera... e buon proseguimento.", "Buonasera... e buon proseguimento."

E lì, ho la certezza definitiva della mia pazzia, perché solo i matti parlano da soli.

19 marzo 2008

... e quelle nostre

La farmacista legge la ricetta che il signore davanti a me gli ha passato, come ferebbe un poliziotto del controllo passaporti in piena crisi terroristica. Solleva gli occhi dal foglietto e chiede se quella ricetta serve a lui, no è per la moglie che non sta bene, ma sua moglie queste medicine le prende abitualmente? Chiede la farmacista. Ma no, fa quasi disperato, l'uomo quando sta bene non le prende, non ne ha bisogno. La farmacista sparisce nel retro, l'uomo mi guarda quasi disperato, ammicco in segno di complicità e di comprensione. La farmacista torna: ma è sicuro che deve prendere queste medicine? Le spalle dell'uomo si afflosciano, i muscoli svuotati dalla forza che li tenevano rigidi. Lo sento rispondere che quelle medicine sono state prescritte dal suo medico e che tra tanti dubbi l'unica certezza, è che lui non sa proprio cosa ci sia scritto su quel foglietto. La farmcista torna nel retro, i rumori che ci arrivano sono quelli di una telefonata, l'uomo non si volta neanche più a gurdarmi, è appoggiato al banco la testa su una mano, con l'altra fa girare ad uno ad uno gli stick di burro cacao sulla rastrelliera vicina a lui. La farmacista parla con il medico, il tono e le parole sono quelle di chi è costretto a scusarsi per tanto zelo. Torna, ha le scatole in mano, legge il nome sulle scatole, legge la ricetta, rilegge il nome sulle scatole a voce alta e sillabando come fa Matteo. Stacca i talllonci, li incolla alla ricetta e ora legge la scadenza di ogni farmaco, li appoggia sul banco e prende un foglio di carta, per incartarli, ma ci ripensa e ancora avoce alta rilegge le scadenze. Chiede il codice fiscale, l'uomo risollevato da una prossima conclusione, detta: RBTP... Alla fine per riconquistare il cliente la farmacista con una rista forzosa, butta lì una battuta: sembra di dare i numeri ! La guardiamo tutti con un'espressione di pena latente... e anche le lettere si affretta a dire.

Fa sempre così ! A parlare è una vecchina che è apparsa al mio fianco in mano un sacchetto della spesa, la schiena diritta le mani uncinate dall’artrite sciolgono un fazzolettone legato in testa, che scopre una massa di capelli grigio-azzurro-viola. Non mi guardi così, io avevo chiesto solo un po’ di colore grigio e il viola non lo volevo proprio. Balbetto un mi scusi, ma la vecchina non ascolta neanche e mi fa: senti maschiotto…
"Maschiotto" nel marchigianese dell’entroterra vuol dire giovane adolescente a cui è cominciata a spuntare la barba.
… il mio sguardo all’aggetivo “maschiotto” non la sorprende e fa: non penserai che per me sei più di un maschiotto! Comunque ti volevo dire che io adesso ti passo avanti che c’ho fretta e devo prendere solo le gocce.
Mentre l’uomo abbandona il campo, la vecchina che tanto vecchina neanche mi pare più, si avvicina al banco e chiede: mi serve una fiala di gocce per le pizze di pasqua.
Le pizze dolci di pasqua con le gocce! Sono anni che non faccio questa ricetta: pietra miliare della tradizione pasquale, dell’entroterra marchigiano: uova, zucchero, uvetta, canditi e le gocce: un estratto di rosolio concentrato e qualche altro liquore. La farmacista si è già “incartata” sulla richiesta della signora, le gocce di che? Ma come, perché una medicina? E la ricetta? La vecchina scuote la testa prova a spiegare, interviene una collega della farmacista: le gocce non ci sono ancora arrivate. E che aspettate ferragosto? La vecchina abbandona sconsolata il banco, mentre si riannoda il fazzoletto in testa, mi guarda e mi fa: tutti j’anni è così, me tocca ardije tutto. Ma la cojona so io che non me ricordo de compralle prima, ste canchero de gocce. Poi quando m’arcordo, de sabato, c’è aperta solo sta farmacia. Io. So’ la cojona. Che ancora ce discorro, e che me devo sbrigà a falle le:

Pizze dolci di Pasqua



Ingredienti per due o tre pizze:
700gr di farina circa vi dovete regolare per quanta ne prende; 200gr di zucchero;150gr di olio; 200gr di pasta di pane; 5 uova; 120gr di latte; 75 gr di uva passa; 30gr di lievito di birra;una buccia d'arancia grattugiata; 75 gr di arancia e cedro, due albumi e 50gr di zucchero a velo, confettini colorati e gocce di cioccolato.

In una scodella, meglio l'impastatrice, mescolatre le uova con lo zucchero, l'olio,la pasta di pane, il lievito sciolto nel latte tiepido, l'uva passa, i canditi e la buccia di arancia grattugiata. Aggiungete la farina fino ad ottenere un impasto abbastanza morbido,liscio ed omogeneo. Lasciate lievitare in un luogo tiepido per un'ora. Rilavorate l'impasto per rompere la lievitazione e mettetelo in una tortiera (imburrata e infarinata o coperta da carta da forno). Lasciate lievitare in un luogo tiepido fino al doppio del suo volume. Cuocete in forno a 180°per circa 30-40 minuti. Decorate con una glassa fatta con gli albumi montati a neve e zucchero a velo, cospargendo con confettini colorati e gocce di cioccolato.

Questo è il dolce della colazione della mattina di Pasqua, altra tradizione di quelle dure di una volta, fatta con: uova sode, salame e mazzafegato, coratella o fritto d'agnello, pizza di formaggio, pizza dolce e caffè. Conosco anche di alcuni intraprendenti che accompagnano direttamente la pizza dolce ai salumi. La forza della fame !

16 marzo 2008

Le pasque degli altri

Mi sveglio presto, più presto del solito. Una nebbia pesante si alza dalla baia, adagio, lentamente, scopre il tratto di mare che separa il centro città dalla terra ferma, lascia intravedere l'isola di fronte, i primi palazzi sulla riva. Poi rimane lì, stanca di salire, attaccata alle colline, che lascia solo all'immaginazione l'idea di sole e di cielo azzurro, cappa pesante di salsedine e smog, .
Esco.
Nel piazzale dell'albergo un gruppo di vecchi si muovono al ritmo del Pa Tua Chin. Misurano i movimenti con una lentezza che non ci appartiene più, con le mani giocano nell'aria, nel tempo, forse nella memoria, scaricano tensione e compensano la distanza tra passato e presente.


E' silenzio, la strada è deserta, qualche taxi sonnecchia in attesa del caos che scoppierà tra qualche ora. Salgo sul primo della fila, do un indirizzo, il tassista mi guarda strano e tre minuti dopo mi lascia qualche isolato più a nord, in una delle zone più popolari di Kowloon. Mi infilo in una via laterale ed è come se dio avesse acceso il gioco, una folla si muove veloce e sinuosa lungo la via, odori, rumori, colori, grida, richiami, luci. Urto la gente, calpesto piedi e mani, sembro ubriaco forse di sonno, certamente di profumi, mi appoggio ad un muro di lato, mi fermo ad osservare la gente che passa come fotogrammi di un film, un film che se ci fosse la pioggia potrebbe sembrare dell'ottandadue.
Da una bancarella alcune pentole fumano, l'odore di zuppa sale, si infila sotto la tenda e viene verso di me, a zaffate indistinte di profumo e di puzze, ora il fritto, poi il sudore, il piscio, e lo scalogno. Mi avvicino, faccio colazione con un brodo di verdure e noodles, non sono molti gli occidentali, anzi, non ci sono occidentali e anche la signora delle zuppe nota la cosa. Mi fa un paio di domande in un inglese stentato, rispondo, sorride: la zuppa era buona e le verdure fresche e saporite, dal suo raccontare capisco che qui vicino c'è un mercato o qualcosa del genere, dove lei le compra la mattina presto. Davvero?!


Mi rinfilo nella corrente di gente che mi passa accanto, galleggio lento a momenti e veloce in altri, guardo le spalle delle persone di fronte, spinto da chi arriva da dietro, riconosco l'approssimarsi degli incroci dal gracchiare dei semafori. Ascolto annuso, cammino, le luci sembrano rimbalzare sul marciapiede bagnato, non fosse per il grigiore del cielo potrebbe essere sera, notte. Poi quando meno me lo aspetto la folla scompare, lascia il posto alla luce di un giorno che stenta, le luci colorate alle spalle, la strada ora è ingombra di scatole bianche: il Mercato. E' una cacofonia di gente indaffarata, varco il cancello: tutti i contadini del sud della Cina si sono dati appuntamento qui, insalate, cavoli, bietole, meloni, estraggo la macchina e scatto una foto, una soltanto, poi un tizio con appeso al taschino della camicia un distintivo troppo pesante, mi invita a togliermi di torno. Riconosco la parola "security" e poi "headquarter", con garbo mi stringe un braccio e nonostante sia più basso di me, mi spinge con forza di là del cancello e mi intima di non azzardarmi più a fotografare.
Me ne vado. Cammino lungo il marciapiede,finché una fermata della metro non mi ingoia nella sua bocca spalancata. Una, due, alla terza scendo, quando riemergo il traffico è aumentato, è come passeggiare sulla riva di un fiume, risalendo la corrente di auto. Guardo le vetrine, mi è tornata la fame e mentre ho fame mi imbatto nella pubblicità di ristorante italiano che ha deciso di dedicare il mese di marzo ai carciofi, in effetti di carciofi ne o visti pochi anzi niente. Carciofi certo, da noi è tempo, poi Pasqua, l'agnello, i carciofi, madonna che fame.
E' meglio che torni, si è meglio, stanotte mi imbarco, poi ci penso, che tanto non dormo, e in mezza giornata di volo vuoi che non mi venga in mente qualcosa, che so, magari uno:

Spezzatino d'agnello con carciofi e patate rosticciate.



Per quattro: disossate e fate a pezzi non troppo grandi una spalla di agnello, dal macellaio fatevi dare anche il collo, per questo piatto è spettacolare, rosolate l'agnello in poco evo buono e una noce di burro, aggiungete un trito di rosmarino, salvia e timo. Una volta che la carne è ben rosolata, salate, pepate e sfumate con del vino bianco e poi aggiungete poca acqua fino a lasciare la carne coperta a metà. Chiudete con un coperchio e fate a andare a fuoco basso per un'ora. Nel frattempo pulite i carciofi e fateli a spicchi, teneteli a bagno in acqua e succo di limone. Pulite le patate e fatele a rotelle spesse un paio di centimetri, tuffatele in acqua bollente per un quattro minuti, freddate e asciugate. Quando mancano dieci minuti alla fine della cottura dell'agnello aggiungete i carciofi, salate, coprite e terminate la cottura. Nel frattempo in una padella scaldate un filo di olio evo con uno spicchio di aglio e del rosmarino, rosolate le patate finché non fanno una bella crosticina.
Mi sa che ad Hong Kong. la Pasqua si festeggia poco.

12 marzo 2008

Quando uno ci mette il cuore


"I am khalid mahmoud, A Bahrain national I have been diagnosed with Oesophageal cancer.It has defiled all forms of medical treatment, and right now I have only about a few months to live.I am very rich,but was never generous, I have given most of my assets to my immediate family members. I have decided to give alms to charity organizations.I cannot do this myself anymore because of my health.I once asked members of my family to give some money to charity organizations,they refused and kept the money.I have a huge cash deposit of Eighteen Million dollars with a finance House abroad. I will want you to help me collect this deposit and dispatch it to charity organizations.You will take out 20% of this funds for your assistance.DO REPLY ME VIA MY PRIVATE EMAIL(kmahmoud78@*****.**)"

Cominciamo col dire che le persone che stanno male e che soffrono, per davvero, hanno tutta la mia comprensione: so di cosa si parla.

Ma poi cambio tono. E vorrei informare Khalid che mi scrive la mail sopra riportata, ma anche gli Youssuf, Alexei, Hilmy, e tutti gli altri che mi hanno fatto una proposta simile, che io sono assolutamente disponibile ad aiutarli a regalare quei 18 o 20 milioni di dollari che hanno in quel conto. C'è da dire che su due cose, la mia coscienza si sente poco attratta dalla proposta. In primis, non sei mai stato generoso come sottolinei nella mail ("...but was never generous") e solo adesso che stai ad un passo dal baratro, ti scoppia tutta sta generosità. Cerca di capire, a uno come me qualche dubbio gli viene. Poi sinceramente la percentuale proposta la vedo un pochino fiacca. E' vero che sono sempre quasi quattro milioni di dollari, ma poi in euro arrivo più o meno ad un paio di milioni e mezzo, malcontati. Hai visto dove stanno andando le borse? Che magari non lo sai, KhalidYoussufAlexeiHilmy, ma in Italia con il passaggio lira/euro il potere di acquisto si è fondamentalmente dimezzato e la provvigione che mi proponi non e che mi metterebbe a posto per la vita, diciamo che una botta di culo al superenalotto, ti fa sembrare l'ultimo degli straccioni.
Comunque, diciamo che va bene? Diciamolo, va bene, prendo il 20%, contento?! Però a questo punto evitiamo sto giro di parole di mail: "... se sei d'accordo scrivimi." E certo che so d'accordo! penso che tutti sarebbero d'accordo no? Saremmo degli idioti. Quindi KhalidYoussufAlexeiHilmy dammi un segno della tua immensa neo-generosità in punto di morte, segui le mie istruzioni:


  1. Apri un conto non intestato, chiamalo pure come ti pare, la storia è piena di nomi stupidi, presso una banca di Vaduz, che a noi i trafficanti tedeschi con liste vecchie di sei anni non ci fanno paura (qui maltradotta);

  2. Versaci duemilioni e mezzo di euro;

  3. Attiva sul conto l'opzione e-banking compresa l'opzione telefonica;

  4. Mandami una mail con il numero di contratto e con la password telefonica;

  5. E giuro a stretto giro di posta ti do le coordinate bancarie di un conto dove far transitare sti 20 milioni di dollari, e poi di più ti mando un elenco di 20 istituzioni bisognose dei tuoi soldi.
    Quindi KhalidYoussufAlexeiHilmy
    , finché non fai quanto descritto sopra, perfavore, vatteneaffanculo e smettila di scrivere.

07 marzo 2008

... ma tutti gli altri giorni?

Lei vede "turchese" da tutte le parti, anche qui dentro a questo blog. Il turchese è un colore serio, è un misto tra blu e verde, forse aggiunto di un poco di giallo, che però si fa con il verde e il rosso, ma poi il rosso e il blu danno il viola e allora le cose si complicano.
Allora il turchese rimane solo in quelle giornate limpide di luce in cui il cielo si perde nel mare.
Ma il mare, da queste parti, non c'è e il cielo va a sbattere contro il verde dei monti e allora il colore è un'altro. E poi se ci penso io il "turchese" non ricordo di averlo incontrato spesso. Nella storia dell'arte, per esempio, non è un colore che appare molto, gli impressionisti preferivano l'azzuro, figuriamoci i futuristi con i loro grigi veloci, il periodo di Picasso era "blu", e poi "rosa" e Guernica è tutto neri, grigi e bianchi, e poi non è firmato. Forse la cosa che più si avvicina al turchese: sono le pareti della
camera di Van Gogh, ma non è il turchese che uno si aspetta.

Comunque Lei vede "turchese" e basta.
Così quando qualche giorno fa mi ha invitato, il solo maschietto fino a quel momento, a fare qualcosa di giallo per la giornata di domani in cui venisse fuori anche un po' di quel suo turchese, sono andato in palla. Come fai a colorare un piatto di turchese naturale? Se poi deve essere un piatto giallo da "festa della donna"?!
Allora sapete che vi dico io il giallo ce l'ho messo, ma per fare il turchese metteteci la vostra testa, guardateci dentro a quel giallo, a cosa significa, a cosa serve, e se serve un giorno per ricordarcelo, magari, ben venga ... ma tutti gli altri giorni?


Risotto di giallo, un poco turchese.



Per quattro: pulite un mazzetto di asparagi, e tuffatelli per 3 minuti in acqua bollente in cui avrete messo una carota e una cipolla. Raffreddate gli asparagi in acqua e ghiaccio e tenete da parte. Imbiondite uno scalogno tritato e una piccola cipolla in poco olio evo buono, aggiungete 320 gr. di riso vialone nano e tostatelo per 2 o 3 minuti, sfumate con del vino bianco dealcolizzato (fatto bollire in precedenza). Cominciate a tirare il risotto con il brodo in cui avete scottato gli asparagi, nel frattempo battete due rossi d'uovo salateli, pepateli e incorporate 60 gr di parmigiano. Preparate un pesto leggero con un poco di basilico, parmigiano e olio evo e ammalgamatelo a 100 gr di ricotta. Quando il riso e quasi pronto, saltate gli asparagi in una padella con una noce di burro, mantecate il risotto con 40 gr di burro, e le uova battute, guarnite con gli asparagi e con una piccola quenelle di ricotta profumata di pesto.
Prima di impiattare, ricordate, di stendere nel fondo del piatto qualche goccia di colatura di alici: il turchese.

03 marzo 2008

Prego eh...!!

L'asfalto è lucido sotto una pioggia leggera che mi accompagna negli ultimi quaranta chilometri che mancano per arrivare a casa. Quando torno, nel viaggio, penso al cibo, ai piatti che farò per loro che che mi aspettano. Allora, incorporo ingredienti, li tolgo, li butto, li cerco mentalmente e cerco i sapori gli accostamenti, passo il tempo. Poi magari, arrivo a notte fonda, a casa sono già tutti a letto e allora ceno con due fette di prosciutto e via.
La pioggerella è insistente, davanti a me una punto bianca guida distratta, va veloce, sembra accorgersi delle curve all'ultimo momento, ho la sensazione che chi è alla guida o sta scrivendo un sms o sta cercando un cd nel cassetto. Ad una curva rischia un frontale, sbanda recupera, rispanda va sottosterzo, rallento e la vedo attraversare la strada in derapata, finisce dalla parte opposta, urta degli alberi, si cappotta fa un paio di giri e si ferma così: le ruote all'aria, il muso nel fosso e l'anteriore ad invadere la carreggiata opposta. Fermo l'auto metto le quattro frecce, corro verso la punto, chiamo. Niente. Corro dalla parte opposta fermo un'auto che sta arrivando a palla. Ritorno alla punto: è distrutta i vetri scoppiati, il cofano qualche metro più indietro, l'abitacolo in parte schiacciato, un semiasse spaccato, gli sportelli deformati e bloccatti, mi inginocchio infilo la testa nell'abitacolo, un'ombra si muove. Tutto bene? Si,si. La voce spaventata di una ragazza giovane risponde tremante, la guido verso il retro dell'auto per farla uscire, sferro un calcio possente ad un agolo del lunotto posteriore che rischia di tagliarla.
"Ma che fa mi rompe i vetri?"
(...)
La tiro fuori, è giovane trema, ma non si è fatta niente neanche un graffio. La metto nella mia auto al caldo. Intanto chiamo la polizia, che però mi dice che visto che sono su una provinciale devo chiamare i carabinieri, si loro verranno ma ci vorrà un po', stanno ad una trentina di chilometri da lì "... e c'è un tempaccio !!".
(...)
Intanto le auto che si erano fermate piano, piano se ne vanno: "Tanto ci sta lei, no!?" E certo, tanto non c'avevo niente da fare, magari devo solo tornare a casa dopo una settimana di lavoro. Torno in auto al caldo, la ragazza ha lo sguardo fisso davanti: Tutto bene? "Si è rotta tanto?". "E c*** è distrutta la puoi prendere e buttare dal rottamaio". Mi guarda come se avessi parlato per la prima volta. "E' di mio padre l'ha comperata lunedì scorso". Lunedì, martedi, mercoledì, giovedì, cinque giorni di vita, non proprio ammortizzata, direi. "Ma sai magari un carrozziere bravo". tento di tirarla su. "Ho chiamato il mio ragazzo, che dice chiamo anche mio padre" Ma magari lo chiami dopo con calma. Aspettiamo, dopo mezz'ora nessun carabiniere, niente ragazzo, e solo auto che chiedono cosa è successo, do le spiegazioni, ascoltano e poi "E va bene, tanto c'è lei no?!"
(...)
Dopo quaranta minuti arriva il ragazzo e il futuro suocero, si abbracciano, si baciano, è fatta adesso vado a casa. Il ragazzo la guarda "O amore, tremi tutta, senti freddo, torna dentro al caldo" La ragazza prende e si riinfila nella mia auto, non in quella del ragazzo che è lì a mezzo metro, ma nella mia, nella mia che dovrei andare a casa.
(...)
Mi avvicino ai familiari che intanto hanno preso in mano la situazione e stanno spiegando alle solite auto che si fermano cosa è successo. "Scusate io dovrei andare a casa". Mi guardano inebetiti, come a dire: e che vuoi da noi? "Hai la ragazza dentro la mi auto" faccio al giovane."Ah... " Sorride "Digli che vada nella mia".
Ho capito questa è una serata del c****, con gente uguale alla serata, salgo in auto e dico alla ragazza che devo andare, "Dove !?"
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Mi guardo intorno magari non mi sono accorto ma ci sono piazzate nei paraggi un paio di telecamere, che sicuramente stanno girando una puntata del "Il più coglione della settimana". O magari sulla mia giacca si è disegnata una croce rossa e una banda catarinfrangente con scritto sopra "118".
A casa voglio andare, sono quasi le undici e voglio andare a casa, a casa dopo una settimana di lavoro, voglio tornare a casa. Lo dico con gentilezza, la ragazza esce dall'auto, fa per andare verso l'auto del ragazzo, io faccio per partire, ma lei mi si paizza davanti e mi fa: "A lei la mia borsa?". Io non tocco neanche quella di mia moglie che non si sa mai che poi mi si accusi di averla messa in ordine. Cerchiamo la borsa, prima nell'auto incidentata poi lungo il ciglio della strada, poi la ragazza si spinge nella mia auto apre la portiera del passeggero, a tentoni cerca nella zona dove ci si infilano i piedi e ne esce tutta soddisfatta con la borsa in mano. "Visto! Ce l'aveva lei !"
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Anche il piatto che stavo inventandomi mi hanno fatto dimenticare, non fosse per la mia sana pazienza chi si sarebbe ricordato che volevo fare una:

Insalata tiepida di lingua con giardiniera



Per quattro persone considerando il piatto come un antipasto, mezza lingua lavata e pulita (io tolgo la pelle prima), che va fatta bollire con carota, sedano, cipolla, chiodi di garofano e alloro per circa 90 minuti. Nel frattempo preparate le verdure, pulendole e riducendole nella forma desiderata, cercando di tagliarle in dimensioni simili. Lessatele in acqua salata e aceto, in proporzioni di 8 a 1, a me piacciono poco forti, aggiungete qualche chiodo di garofano. Tuffate prima le verdure più coriacee (carote e sedano) per poi aggiungere le altre. Scolatele al dente e lasciate raffreddare, condite con olio evo e pepe, correggete se serve di sale.
Servite sia la carne che la giardiniera tiepidi.

Duro l'abbinamento con un vino, causa aceto, meglio provare con una birra una Lager se non addirittura una Stout. Si meglio una Stout, sicuramente una Stout... Grazie... Prego.