31 marzo 2010

Viatici Pasquali

Sto arrivando eh ! Sono qui sul primo treno.
Spaccabal ha sottratto il cellulare alla genitrice e mi chiama. Il suo non è un avvertimento, una constatazione di luogo; è un messaggio tranquillizzante: una sorta di viatico, una consolazione che va oltre al semplice "sto arrivando". E’ lui che viene a far compagnia a me, quello solo sono io, e non lui.
In questa realtà, che a volte sembra quasi virtuale, ci incrociamo per il mondo tra skype, feisbuc, treni, stazioni, autostrade, code e caselli. La logistica del nostro vivere ha preso forme organizzative inaspettate, impensate. L’ultima valigia viene caricata con i vocabolari di greco e latino, con il libro di Pinocchio, la scuola italiana non demorde, rimane attaccata addosso, terrorizzata di essere dimenticata nel breve lasso di tempo di una vacanza. Ogni tanto il telefono vibra, seguo il loro percorso attraverso gli sms che mi manda: Ancona, Fano, Jesi… Jesi ? Non faccio in tempo a finire il pensiero, oddio stanno tornando indietro, che arriva un altro messaggio: no era Pesaro, scusa mi ero sbagliato B-). A Rimini mangia un panino fatto con una brioche a metà, come dice lui, con dentro il prosciutto e il formaggio, ma non mi piace, mi porti a mangiare la pizza stasera?
Certo che lo porto a mangiare la pizza, poi a comprare un libro in quella libreria che resta aperta fino a mezzanotte, e poi anche un gioco, sì dai, che dobbiamo risanarci da un inverno passato distanti e troppo poco insieme.
A Bologna mi informa che ha comprato un giornalino di paperino. E’ diventato un rito oramai, leggere al ristorante le storie di paperino in dialetto anconetano. Qui dove la Lega è il primo partito con il trentacinque percento, io mi dileggio in parlate pseudo-terroniche che strappano occhiate interrogative dei commensali vicini.
Un ultima riunione pomeridiana mi distrae dai messaggi in arrivo, saluto, spengo il computer lo infilo nello zaino, e questo in spalla, scendo le scale e guardo il cellulare: B-) siamo a padova B-). La “p” minuscola è la sua firma. Merda, e io ancora a Treviso. Mi tuffo in autostrada, poi la tangenziale che mi ingoia stanca e lenta come al solito, mi infilo dentro la baillamme architettonica di Mestre. Mi fermo un secondo in faccia alla stazione, le quattro frecce accese, salgono al volo, veloci, ma non serve ad evitare una strombazzata, riparto: la baillame, la tangenziale, l’autostrada, il garage di casa, giù le valige, dentro all’ascensore ed è solo lì che riusciamo a guardarci negli occhi. In silenzio sorride, mi guarda, le sue mani ingombre del giornalino e dello zaino di scuola, e allora si avvicina, infila la testa nell’incavo del mio braccio destro, lo stringo in un abbraccio gli carezzo la nuca, i capelli cortissimi che pungono, il suo respiro stanco: Visto ? Sono arrivato!

E visto che lui è arrivato quassù, noi non cucineremo il pranzo di Pasqua laggiù, ma se lo avessi cucinato, avremmo cucinato un:

Coniglio ripieno con i carciofi



Giuro che è più lunga da leggere che da fare !!
Dunque, disossare un coniglio è più complicato di un pollo. I polli nascono consapevoli di essere disosatti, mentre i conigli non ne vogliono proprio sapere, e quindi ? Quindi fatevelo disossare da chi ve lo vende: il vostro macellaio. La mia macellaia, per certe cose mi affido al lato femminile del mio fornitore, non solo me lo disossa, ma su certe elaborazioni, alla Daniela, affido anche la preparazione, su precise istruzioni o su sua iniziativa. Salate quindi la parte interna del coniglio, a parte preparate una sorta di polpettone che deve costituire il ripieno con circa 500 gr di polpa di maiale macinate finissima, usate 2/3 di arista e 1/3 di capocollo, fate macinare insieme alla carne anche 150 gr prosciutto crudo, ora salate, pepate e profumate con una grattata di noce moscata. Componete il polpettone e a questo punto inserite 6 cuori di carciofo metà interi e metà sminuzzati nel polpettone. I carciofi dovranno essere cotti in padella con aglio, prezzemolo e sale, lasciateli belli al dente che poi cuoceranno ancora nel forno. Riempite il coniglio, chiudetelo fissandolo con degli stuzzicadenti e poi legatelo con dello spago foderando l'esterno con qualche fetta di pancetta.
Rosolatelo in olio evo profumato con aglio, rosmarino e salvia, lasciatelo dorare da tutte le parti, sfumate con mezzo bicchiere di vino rosso e mezzo di brodo. mette in forno coperto con carta alu e lasciate andare a 160° per 60 minuti. Se avete un termometro: dovete raggiungere 85° al centro dell'arrosto. Dopo un'ora togliete la carta alu, raccogliete buona parte del sugo e guarnite con delle patate novelle. Rinfornate fino a cottura ultimata delle patate e dell'arrosto, bagnando ogni tanto con parte del sugo. Con la parte restante fate una riduzione tirando un roux: una noce di burro, la stessa quantità di farina, che lascerete cuocere fino a che prende un colore dorato, poi aggiungete il fondo dell'arrosto.
Mentre l'arrosto và, preparate i carciofi, uno per persona, mondateli eliminate le foglie esterne, tenete a bagno in acqua e limone. Cuocete i carciofi al vapore, metteteli nella vaporiera capovolti e controllate che rimangano croccanti. Freddateli adagiandoli in una ball con del ghiaccio. Preparate la farcia con 100 gr di mollica di pane, 70 gr di caciotta fresca, un uovo intero, prezzemolo tritato, sale e pepe (postcorrezzione: a piacere aggiungete una punta di aglio schiacciata con il piatto del coltello). Riempite i carciofi e passateli al grill per 15 minuti prima di servire. Servite il coniglio a fette, guarnendo con le patate e con il carciofo.



Fate una Buona Pasqua !!

27 marzo 2010

Tradurre i consigli

Fuori dalla finestra sono esplosi i ciliegi, i rami si muovono adagio nell'aria del mattino, oscillano leggeri, i petali in precario equilibrio. Il loro riflesso sui quadri dello studio ci avvolge.
Lui seduto al mio solito posto, legge i commenti di chi mi consiglia come cucinare gli ultimi tortelli. Ha un' espressione incuriosita, un sorriso gli si allarga leggero, ogni tanto gli occhi mandano segnali di meraviglia, incredulità, diniego assoluto. Lo vedo arrestare la lettura, concentrarsi, cercare di forzare le sinapsi per immaginare i sapori. Concorda su molte cose, per altre rimane sorpreso, quasi una mia fotocopia senza esserci parlati.

Intanto fuori la primavera sta strappando i fiori dal ciliegio, una nuvola di petali rosa volteggia sopra il giardino, atterra sul terrazzo e si rincorre come in un gioco di bambini.
Resterei a guardare questo vento leggero, passare oltre il ciliegio, aldilà di quel campo , immaginarne la strada. Vederlo superare le colline davanti casa, salire verso le fondiglie, poi alzarsi più in alto mentre si infila tra Cabernardi e Camarano. Lo vedrei correre lungo questa terra, laggiù dove una striscia di pianura costeggia l'azzurro del mare, oggi gonfierà qualche vela e soffierà la sabbia tra i capelli dei bimbi che giocano sulla spiaggia.

Mi tocca una spalla, mi strappa dal volo, un lieve accenno e si avvia verso la cucina. Mi alzo da questa poltroncina affacciata su questa primavera, è ora di cucinare i:

Tortelli di agnello e carciofi in crema di patate e asparagi




Qualcuno tra i commenti dei consigli ha detto che gli asparagi avrebbero coperto: non è così. Invece coprono molto lo zafferanno in pistilli sciolto in un brodo vegetale leggerissimo e incorporato in una crema di patate. Anche la liquirizia ci è sembrata piuttosto "decisa", e anche i due centimetri di tubetto mutti, e tanto per non lasciare niente di intentato anche un sughetto di pomodoro leggero con un poco di scalogno, ci ha lasciati così, poco convinti. La crema di parmigiano ci sta e anche con fettine sottili di carciofo fritto sopra, e anche l'idea di crema di topinambur non è male, anche se poi alla fine abbiamo preferito un'altra strada.

Per quattro persone.
In 300 ml di acqua fate sobbollire due piccole patate e tre asparagi, fate superare la cottura alla verdura, mettete da parte quasi tutto il brodo, lasciandone solo un poco e passate le verdure al passaverdure, rimettete sul fuoco salate e condite con un cucchiaio di parmigiano grattugiato, fate appena alzare il bollore affinché il parmigiano si sciolga. Correggete la consistenza con il brodo tenuto da parte e poi tenete in caldo. Mentre lessate i tortelli in una padella fate scioglire il fondo di cottura dell'agnello che avrete tenuto da parte, profumandolo con un rametto di rosmarino che poi toglierete. Scolate i tortelli e finite la cottura saltandoli nel fondo di agnello. Impiattate con la base di crema di patate e asparagi nel fondo del piatto, adagiate sopra i tortelli e guarnite con un asparago a filetti, precedentemente scottato e sbianchito.



Grazie per i Vostri consigli !

19 marzo 2010

Questa volta tocca a Voi


Si è capito ?
No dico, aldilà dei preti in debito di protagonismo, s'è capito che quello del post precedente è l'antipasto ? Si l'antipasto del pranzo di Pasqua, che non cucinerò.
Bravi, come a Natale.

E adesso tocca al primo piatto: quello delle foto, quello è un tortello con farcia di agnello e carciofi. Ora provate ad immaginare di averlo in casa, fermo restando che potete farvelo con la ricetta che troverete più in basso, ecco come lo servireste ? Come lo preparereste dopo aver servito una coratella al pranzo di Pasqua ?

Scrivetelo nei commenti avete tempo fino a venerdì prossimo, poi con un'innappellabile mio personale giudizio, cucinerò la ricetta, o le ricette, suggerite da voi che più mi ispireranno e vi racconterò il:

Tortello di agnello e carciofi ...


Ho rosolato 500 gr di polpa di agnello (parte del coscio) fatto a pezzettoni, con una noce di burro e un paio di cucchiai di olio, dopo una ventina di minuti quando il liquido si è riassorbito ho salato e pepato e poi sfumato con mezzo bicchiere di vino e un goccio di grappa morbida. Ho lasciato evaporare l'acool, ho aggiunto 6 carciofi puliti e mondati divisi in quarti. Ho coperto con carta alluminio e coperchio e lasciato andare a fuoco basso per una decina di minuti. Ho poi passato la pentola in forno per un'ora a 135°, accertatevi che ci sia abbastanza liquido per terminare la cottura senza rischiare di ritrovarvi la carne rinseccolita.
Ho passato al robot e ho ridotto il tutto ad una "pomata", aggiunto un profumo di parmigiano grattugiato, una grattata di noce moscata e poi ho preparato i tortelli.

Adesso tocca a Voi

17 marzo 2010

Senza rancore

E’ un freddo che morde alle mani e strappa le orecchie. Me ne resto seduto sul marmo ghiacciato di questa panchina, lungo il viale che porta verso casa mia. Le mani infilate nelle tasche del giaccone, piegato dal freddo e dalla paura. Che dirò a mia madre? Che cosa gli racconterò ?
Aspetto che mi torni un filo di coraggio, un accenno soltanto, poi mi alzo e vado.

Un paio d’ore fa ho percorso lo stesso viale, ma in senso contrario, da casa fino alla vecchia chiesa, per scoprire che il nostro parroco non c’èra. Al suo posto si è presentato un frate vestito di bianco e nero, un viso più giovane di quello di don Andrea, una parte della testa scoperta dai capelli che la circondano come una sorta di corona, un barba nera e folta. Ha la faccia arrabbiata, risponde ai saluti dei pochi fedeli a denti stretti. Mi sono avvicinato e gli ho detto che sono Marco uno dei chierichetti, mi ha risposto che ero arrivato troppo tardi e che ce ne erano già due e bastavano, e che chi arriva tardi non merita di essere un “servitore del signore”. Sono rimasto ad aspettare un altro compito, c’è sempre la croce da portare, forse l’incenso, o magari una delle candele, alla processione del venerdì santo. Mi ha intimato di andarmene con gli altri fedeli, che per la processione del “cristo morto” non gli serve niente. Mi sono nascosto in mezzo agli adulti, un paio di sguardi accusatori mi hanno commiserato, qualcuno ha assistito alla scena. Ho visto Moreno e Fabrizio vestiti con la tunica rossa e la cotta bianca, le teste basse stranamente silenziosi. I nostri sguardi si sono incrociati per un momento e la mano sinistra di Moreno si è mossa velocemente verso di me, in un accenno di saluto. Ho seguito la processione rispondendo alle preghiere, davanti casa ho visto il viso di mia mamma soddisfatta della mia presenza, ma dubbiosa del mio non ruolo.
Mi sono seduto sulle panche della seconda fila, la prima è riservata alle persone importanti del paese. Ho ascoltato la messa e la predica, strana, di questo prete. Con Moreno e Fabrizio ci siamo scambiati delle occhiate furbesche, loro ora sono alle sue spalle, il prete è sceso dal pulpito, e la predica la fa quasi in mezzo ai banchi. Parla come non parlano i preti, tra chi ascolta serpeggiano risatine strappate dal vocabolario del tutto nuovo, usato per la prima volta in questa chiesa. Ascolto rapito da un linguaggio quasi da bar che per un bambino di dieci anni è come guardare le comiche alla televisione, alle una del sabato. Poi succede, nessuno se lo aspettava, nessun accenno particolare, ma quando succede è come se “Ridolini” evitando un pugno in faccia fa cadere il suo nemico in una pozza di fango. Il prete ha indicato il tabernacolo e ha spiegato che la dentro non c’è cristo, ma che la dentro c’è “cacca”. Si ha proprio detto cacca, cacca quella che fai quando vai in bagno. Credo che ridano tutti ma io rido di più. Forse perché ho dieci anni, forse perché se a dieci anni senti la parola “cacca”, rideresti anche se sei in mezzo ad una piazza da solo. Se poi la dice un prete, in chiesa, la notte del venerdì santo con davanti le facce dei tuoi amici rosse rubizze nello sforzo di trattenersi, a dieci anni, scoppi dal ridere e non riesci più a fermarti. Da grande capirò che il senso di quella parola e della predica in se stessa, era profondo, quasi avveniristico per l’inizio degli anni settanta, una spiegazione del labile confine che c’è tra il credere e il non credere. Ma vallo a dire ad un bambino di dieci anni, usando la parola “cacca” !
Ora mi guardano tutti, il prete quello con la barba e senza capelli, ha scelto me e la mano tesa con il suo dito puntato mi indica. Ha detto qualcosa, ma non ho capito, tutti mi guardano, è Marco il figlio di Sante e Renata. Gli sguardi sono divisi quasi equamente in due tipi: accusatori e compassionevoli, quello del prete è tra i primi. Continua ad additarmi, la mascella serrata, e ora ho capito mi ha intimato di andarmene, ha fermato la messa per cacciarmi via, a me perché ridevo, a dieci anni mi caccia dalla chiesa nella messa del venerdì santo. Non sono neanche riuscito ad aprire il portone tanto mi tremavano le mani, a farlo per me è stata la “contessa”, anziana nobile, erede della stirpe dei conti della Genga, tra i cui discendenti fa vanto Papa Leone XII. Ecco lei con le mani tremanti, ma per un malattia che allora non conoscevo, mi apre il portone e mi sibila all’orecchio: ti devi vergognare. E me ne esco, mentre la voce del prete, quello con la barba e senza capelli, si spegne dietro al portone che si chiude.

E’ un freddo che morde alle mani e strappa le orecchie. Me ne resto seduto sul marmo ghiacciato di questa panchina lungo il viale che porta verso casa mia, le mani infilate nelle tasche del giaccone, piegato dal freddo e dalla paura. Che dirò a mia madre? Che cosa gli racconterò ? Magari tra due giorni sarà tutto passato, sarà tutto dimenticato, tra due giorni faremo colazione come sempre: le uova colorate, il caffè, il latte e

La coratella con la pizza di Pasqua


Per la pizza di Pasqua (ricetta a lunga lievitazione)
Gli ingredienti
300 gr di farina manitoba, 800 gr di farina professionale o 00, 200 gr di parmigiano grattugiato, 100 gr di pecorino, 22,5 gr di lievito fresco, 15 gr di pepe, 20 gr di sale, 5 uova, 100 gr di acqua, 150 gr di latte, 60 gr, di burro, 60 gr di olio evo, un rosso d'uovo per spennellare, pecorino fresco a piacimento.


La sera prima preparate il polish con 150 gr di farina manitoba, 100 gr di acqua, 7,5 grammi di lievito fresco, e 5 grammi di pepe ,macinato. Impastate e lasciate in frigo per tutta la notte.
La mattina successiva preparate un preimpasto con 250 di farina (tipo professionale oppure 00), 150 di latte intero, 15 gr. di lievito fresco sciolto nel latte tiepido e 10 gr di pepe macinato. Lasciate lievitare per 2 ore a 24/25 gradi fino al raddoppio.
Impastate il polisch e il preimpasto aggiungete 200 gr di parmigiano e 100 gr di pecorino entrambi macinati, aggiungete 5 uova intere, precedentemente battute con 20 gr di sale, incorporate 350gr di farina ( 150gr di manitoba e 200gr di professionale o 00).
Ora aggiungete 60 gr di burro a pomata e 60 gr di olio di oliva evo. Incorporate ancora 350 gr di farina (professionale o 00). Impastate per 15 minuti alla vel. 1,5 se avete un’impastatrice, o a forza di braccia nel caso contrario.

Lasciate riposare per un’ora e poi formate i panetti che vi occorrono a seconda degli stampi che disponete. Formate delle palle di pasta in cui dal basso incorporerete pezzi di pecorino fresco grandi poco più di una noce. Mettete la pasta nelle forme e lasciate lievitare in forno per almeno due ore.
Spennellate con un rosso di un uovo allungato con poco latte e poi iniziate la cottura a 200° per 10 minuti con un contenitore di acqua all’interno del forno. Dopo 10 min. togliete l’acqua abbassate a 180° con la porta del forno aperta a camino, dopo 15 minuti abbassate a 160° chiudete la porta e terminate la cottura per altri 25 minuti.
Lasciate in forno per un’ora dopo la cottura e poi raffredate capovolte.


Per la Coratella
Rimediate il quinto quarto di un agnello: polmoni, cuore, reni, milza e “budellini” (intestino) questi vanno aperti e lavati in acqua bollente, lasciati per qualche ora a bagno in acqua e aceto di vino bianco e poi sbollentati per 5 minuti, e poi tagliati a pezzettini. Il resto va lavato bene e ridotto a piccoli cubetti. In una padella scaldate bene una quantità di olio evo tale che copra l’intera padella, lasciateci soffriggere 4 spicchi di aglio vestiti e schiacciati con il piatto di un coltello. Togliete l’aglio una volta che comincia ad imbiondire e poi mettete la coratella a cuocere. Lasciatela andare a fuoco allegro finché il liquido che produce non si riassorbe, occorrerà una ventina di minuti. Salate e pepate, e lasciate rosolare per un paio di minuti, poi sfumate con un bicchiere di vino bianco secco. Lasciate sfumare il vino a fuoco basso e coprite con un coperchio continuando la cottura per altri 15 minuti. Alla fine incorporate un bel mazzo di prezzemolo tritato e aggiungete un poco di succo di limone, che non deve assolutamente essere invadente.


Qualcuno (più di me) giudica questo piatto qualcosa di poetico. Ecco mi piacerebbe vederglielo scrivere qui.

07 marzo 2010

Quanta bella gente

Sono anni che non vado a Milano, ci passo si, ma taglio la sua periferia cavalcando veloce le tangenziali. Sono anni che non entro nei suoi viali, delimitati dai binari del tram e dai marciapiedi invasi da auto. Sono anni che non arrivo nelle mattine affollate di traffico, di lettori di giornali alla guida e di guidatori incazzati. Sono anni che non mi mangio il panino al volo nei suoi bar frugali, che la sera non salgo su un taxi e mi faccio portare all'unica Carbonaia che concepisco senza numeri e senza mari. Sono anni che non fuggo dalle serate in cui "incontreremo tanta bella gente !". Che poi io la bella gente, quella che mi siede a fianco o quella che si fa un'aperitivo nello stesso locale, per quanto mi sforzo non riesco a vederla ne bella ne tanto meno brutta, direi: indifferente. Ecco a me "la bella gente" mi risulta piuttosto indifferente, cosciente che non la incontrerò mai più dopo quella serata, preferisco dedicarmi a soddisfare il mio istinto di gusto, di piacere in senso lato, piuttosto che preoccuparmi della "bella gente".

Non fu così una sera che dovetti seguire un giovane "capetto d'ufficio" che tutto capiva e poco apprezzava. Venni accompagnato in un ristorante modaiolo dalle parti di corsodiportaticinese. L'estate ristagnava sui sampietrini dell'acciottolato, umida e pesante nonostante il buio. Seguivo svogliato la comitiva cosciente che i miei gusti non avevano nulla a che vedere con i loro, lo avevo capito da tempo, ma provavo in tutti i modi a farmi piacere: comitiva, "capetto" e alla fine anche il lavoro. L'entrata del ristorante poteva anche ingannare, una vetrina di una certa età lasciava che un filo di speranza ci si aggrappasse sopra come un salamandra in quel caldo di agosto. Tutto cadde, crollo, salamandra compresa, quando un mio collega, con un filo di bava lumacosa, rassicurò il "capetto" con la frase più stupida che potessi immaginare: "... vedrai quanta bella gente!"
Entrai scavalcando la povera salamandra abbandonata, beata lei, sul marciapiedi, mi invase una musica assordante che dimenticai immediatamente, segui i colleghi nella penombra del locale. Ci fecero sedere in giardino, la musica arrivava meno invadente, ma costringeva a leggere il labiale del vicino, la luce era inesistente a parte la candela in mezzo al tavolo. Insieme all'acqua venne portata una confezione di spray contro le zanzare, che dalla vicina darsena spadroneggiavano nonostante il divieto di transito. Di quello spray ne venne fatto un uso indecente, che saturò la mia mucosa creando una alone persistente intorno a me. Rinunciai al vino mentre qualcuno si atteggio a mulinare i bicchieri e tuffarci il naso dentro nonostante la puzza di "Autan". Quando arrivarono i piatti la mia faccia aveva oramai un'espressione evidente, e, forse a causa di un leggero senso di colpa, qualcuno mi fece notare che si magari non era il massimo tra i ristoranti ma "visto quanta bella gente ?!
Non ricordo la gente che mi circondava, anche perché erano ombre nell'ombra e se fossero belle o brutte (le genti) non avrei, anche volendo, potuto constatarlo. Ricordo invece che mangiai la peggiore:

Cotoletta alla milanese


Togliamoci dalla testa le "orecchie di elefante" che ai tempi in cui frequentavo Milano, ma anche ora, erano tanto alla moda.
La Cotoletta è alta (da 1,5 a 3 centimetri please) di vitello e con l'osso, quindi al macellaio chiedete una costata di vitello. Ripulitela dal grasso del bordo e non battetela, non battetela ... non bat-te-te-la !
La passate invece nell'uovo questo si battuto e pepato ma non salato, il sale estrarebbe i liquidi della carne e staccherebbe la panatura. Va poi passate nel pan grattato, ecco qui potremmo anche fermarci e disquisire per una giornata o giù di lì, il mio pan grattato è fatto con mollica di pane secco macinata finissima, e mollica di pane raffermo passata alla grattugia a mano, la crosta del pane va evitata in quanto troppo "arida".
Dopo la prima impanatura le ripasso nell'uovo e faccio una seconda impanatura per avere una crosta più spessa e croccante, ed evitare che l'umidità della carne la possa staccare. A questo punto vanno fritte, e vanno fritte in solo modo: nel burro chiarificato, non ci sono alternative è così, come la pioggia che cade, il sole che sorge, la notte che arriva, il tempo che passa.

Servitele con patate fritte o con un'insalatina fresca e croccante o se vi piace con rucola e pomodori.


Per chiarificare il burro: mettete un panetto da 250 gr in una casseruola e mettetelo a bagnomaria, lasciatelo andare finché in superficie non inizia ad apparire una schiuma bianca (la caseina) che dovete eliminare con uno passino o con un cucchiaio, l'operazione dipende dalla temperatura, ma per avere un buon burro chiarificato vi serve almeno un'oretta.

E se incontrate bella gente come voi ditegli di passare di qua.