25 ottobre 2009

Un filo mi lega

C’è un filo leggero che mi lega, mi tiene legato; agli affetti, alla terra, la mia, quella che vivo. Alle cose che amo, e porto lontane, più strette vicine.
Una bava di ragno che si sfila sottile, quando io parto. Un legame leggero, aereo, quasi diafano, evanescente, come il respiro di un figlio che dorme, spiato nel buio. Lo sento tirarmi, a volte, come un guinzaglio che strappa alla fuga. Lo ritrovo negli occhi di un bimbo sorpreso dal mondo, nell’ arrancare gobbo di un vecchio. Nel sorriso timido di una ragazza che guarda il mio libro: sfogliato al contrario del suo, in questo treno che attraversa la notte.

Lo perdo a volte distratto dai suoni, dalla cacofonia urlante, della gente "vomitata" per le strade che viaggio. A volte distratto dai profumi non miei, dai sapori lontani che annullano quasi, senza tagliarla quella bava di ragno.

E' allora che torno a cercarla nelle voci allegre che mi parlano dal video, in una foto cercata tra tante che porto, che faccio. Ricordi affollati, in profumi che non trovo, che sanno di casa diversa. E a poco serve provare a chiedere:

Il Barcarolo consolidato



Che il barcarolo fosse un prodotto da export non era immaginabile, quando lo facemmo nascere tra Umbria e Marche. Questa sorta di caffè corretto a metà strada tra il caffè bevuto dai bambini e la Moretta di Fano sta guadagnando mercati e "marchet scear" che neanche la gieffecappa riesce a stargli dietro. Me lo faccio fare nel profondo Coneglianese nella modaiola Milano, nella ridente Firenze. Sono arrivato a farmelo fare nelle capitali Europee, a Sidney qualche mese fa, qui ad Hong Kong ma non l'altra sera. La preparazione originale prevede: un caffè d'orzo in tazza grande, tazza in cui prima va strizzata e poi lasciata una buccetta di limone, alla fine si corregge il tutto con Varnelli o Sambuca se si ci si trova in territori estranei.
Ma qualche giorno fa, certamente prima che partissi per venirmene qui, ho consolidato la preparazione:



Ho incorporato a 250 cl di panna 250 cl di caffè d'orzo molto ristretto . Potete farlo anche con l'orzo bimbo solubile viene benissimo l'importante e che si bello carico. Ho aggiunto una buccia di limone intera e ho la sciato sobbollire per una ventina di minuti. Ho tolto la buccia di limone, zuccherato a piacere e ho aggiunto 4 fogli di gelatina per dolci:la quantitá dipende da quanto vi piace densa la panna cotta, perchè alla fine di qualcosa di simile stiamo parlando. Ho riempito di un terzo degli stampini di alluminio. Ho inserito un disco di pan di spagna bagnato con il barcarolo in forma di caffè. Ho finito con il resto del composto fino a riempire gli stampini. Ho lasciato raffreddare.

Per completare ho preparato una crema al cioccolato senza farina: ho battuto un tuorlo d'uovo con due cucchiai di zucchero, ho incorporato 200 cle di latte e 50 gr di cioccolato 75% sciolto a bagnomaria. Ho ricotto tutto a bagnomaria finché la crema non ha preso corpo e lucidità. Alla fine ho corretto con del Varnelli abbondante.

E quando l'ho fatta assaggiare a Matti mi son dimenticato che la crema fosse alcolica ... piuttosto.




16 ottobre 2009

Una Zucca di Marca

Esco. Nel rumore ovattato di questa città che si va a rinchiudere in casa. Gli ultimi fuochi di un tramonto lontano, non scaldano dal freddo che è appena arrivato. Il cane dei vicini si agita dietro la siepe. Gli ululati svegliano altri due cani, in un guardino aldilà della strada. E' sempre così, il mio passare annunciato, come un tomtom casalingo, dal latrare alternato dei cani. Nessun altro per strada.
Attraverso un giardino, altalene e scivoli immobili. Un campetto di calcio scorre al mio fianco. La ghiaia grigia lascia il posto all'asfalto. Ancora una svolta, ancora siepi, giardini, spezzoni di vita non mia, che passa soffusa dietro le finestre oramai accese.

Entro. Un cartello con la scritta "APERTO" evita il dubbio che le luci basse possono far nascere. Mi infilo dentro al locale, come un boccone ingoiato senza morsi. Mi nascondo dietro ad una nicchia del muro e aspetto, un gazzettino per ingannare il tempo, che sfoglio senza leggere.

Un buon succedaneo della propria casa, della propria cucina. Cibi leggeri, fatti con cura, con storia. A pranzo: lui in cucina e lei in sala, la sera si invertono i ruoli. Si mangia veloci, tranquilli, perfetti. Poi dopo davanti ad un barcarolo, unica eccezione marchigiana in questo pezzo di Marca, si chiacchiera. Ritornano i figli che non sono qui, il lavoro, i miei viaggi e poi la cucina. La mia curiosità per i piatti locali: gli s'ciopet, i bruscàndoli, la sbirraglia. Ed ogni volta me ne ritorno a casa con un pezzo di storia non mia. Un pezzo di cultura ancora da incollare alla mia storia, e a questo blog come faccio oramai da tempo.

E se vicino ai pissacàn stasera c'era una fetta di zucca passata in forno. Ma una zucca diversa da quella che conoscevo: ogni marca ha la sua "marca" di zucca, almeno. E se c'era la zucca, dicevo, non potevo non far diventare un piatto le chiacchiere di una serata con la signora, e allora:

Gnocchi di zucca con speck di Corvara e fonduta al Montasio




Ho preparato gli gnocchi in questo modo, ma invece di un chilo di patate, li ho fatti con 600 gr. (a crudo) di patate e 400 gr. (cotti) di polpa di zucca Mantovana (così mi han detto).
Poco prima di servire ho appassito mezza cipolla in poco olio,ho profumato con del timo, ho aggiunto 200 gr., tagliati a fiammifero, di speck di Corvara, omaggio gradito di fraterne vacanze. Ho lessato gli gnocchi in abbondante acqua, e mentre saltavo gli gnocchi in padella, ho aggiunto qualche cucchiaio di fonduta al Montasio che ho preparato scaldando a bagnomaria 250 gr. latte e una noce di burro (sostituibile con 250 gr, di panna fresca) a cui ho incorporato 250 gr. di Montasio di 3 mesi che avevo grattugiato in precedenza.




Ho servito e mangiato poco, perché se siete in quattro ma affamati un paio di cento grammi in più di patate e tutto il resto in proporzione non guastano.



06 ottobre 2009

Strade non scontate

Che questa strada porti verso il mare, non è così scontato. Prende nella direzione sbagliata: invece di scendere, (per noi montanari l’andare verso la costa sarà sempre “scendere”), se ne va dalla parte opposta: verso le montagne.
E appunto sale e non scende. Si arrampica verso le colline dietro Cabernardi. Mi scorre davanti mentre me ne sto seduto accanto a lui, gli occhi incollati fuori dal finestrino, sulla campagna di una fine estate, che passa silenziosa. Aspetto la vista del mare, annunciatomi mentre salivo in auto con lui. La vista di una spiaggia che, nell’immaginario di bimbo, è colorata di ombrelloni, di secchielli e di formine.

La Vecchia renault dieci arranca decisa. Una nuvola di polvere leggera ci insegue, la strada sterrata si sta riasciugando dopo la pioggia di ieri. Poi la salita finisce, allungo il collo in avanti a cercare quel mare agognato. Lui se la ride soddisfatto, silenzioso, una foglia di basilico infilata sopra il suo orecchio destro. La strada scivola tra le “punte” delle colline, passa accanto al vecchio pozzo di Vallotica, e prima che si rituffi in una discesa, lui ferma l’auto. Si gira sul sedile, per affacciarsi dalla mia parte e mi dice “vedi?”.
Guardo il suo viso, abbronzato dal sole dell’orto dove passa i suoi pomeriggi di lettura, di parole crociate e di solitari sonnecchi. I sopraccigli folti e i capelli biondi che questo sole di settembre rende quasi trasparenti. La sua camicia a scacchi di cotone leggero, le sue mani nodose.
Seguo il suo sguardo, e lontano, oltre tutte le colline delle Marche, vedo un’enorme striscia di azzurro, un tratto “grasso” di pastello, che si stacca dal marrone della costa e dal celeste del cielo: il mare.
Il mare senza le onde, senza il vociare dei bagnanti, il mare senza la spiaggia che scotta, senza gli ombrelloni, i secchielli, le formine. E senza le navi, che da quassù a quasi quaranta chilometri, non vedrò mai.

Lo guardo un ultima volta, mentre scompare dietro agli alberi di questa strada che ci porta al mercato. Andiamo a comprare il pesce, che è la cosa più naturale se sei al mare. Anche se lontano.

Il pesce, per lui, è stato sempre un pesce di fiera, di mercato, comprato già cotto in posti che solo lui sapeva. Gli spiedini arrosto di San Lorenzo, la frittura di Pergola, i sardoncini scottadito di chissà dove. Pesce che appariva a contorno dei suoi immancabili piatti di pasta "affogati" di cipolla e parmigiano. Un pesce anche mangiato freddo o appena riscaldato sulla stufa da mia nonna, o da mia zia. In un contradittorio infinito su come doveva essere, scaldato, servito, mangiato. Fino all’ultima lisca fino all’ultimo anello di totano. Per ritrovarlo arrabbiato e musone, quando poi scopriva, che qualcuno aveva buttato l’ultimo avanzo, ormai vecchio di giorni. Un pesce tutto suo, solo per lui, che non avrebbe mai concepito, forse, la mia:

Insalata tiepida di mare e carciofi sott'olio



Per 4 persone
Il giorno prima cuocio al vapore, aromatizzo l'acqua con qualche grano di pepe e un rametto di rosmarino, 16 cuori di carciofo teneressimi, che lascio belli croccanti. Li asciugo e li condisco con olio, sale, rosmarino e aglio a pezzetti (che poi eliminerò). Li lascio riposare in frigo per tutta una giornata.

Il giorno dopo rimedio: 8 calamari piccoli, 8 mazzancolle belle grandi, due piccoli merluzzetti e due gallinelle. Pulisco il pesce e lo cuocio al vapore separatamente, con acqua aromatizzata con succo di limone, buccia di limone grattugiata e un paio di rametti di finocchio selvatico. Preparo una salamoia di olio, sale, pepe e finocchietto selvatico.

Impiatto il pesce tiepido e i carciofi tirati fuori dal frigo almeno un paio d'ore prima.




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