28 novembre 2007

Iron Blog ... Iron life ...

Mi compri mezzo chilo di castagne? Lella mi guarda con fare interrogativo. Devo fare una gara. Spaccaball è impegnato con il disegno di una funivia: con la bicicletta papà? No, una gara di cucina Matti! Ma lui ha già riabbassato la testa, ora è concentrato sul pilone centrale dell'impianto che sale quasi in verticale su un cucuzzolo improbabile. In cima al cucuzzolo, in un misterioso equilibrio di forze, uno sciatore aspetta la costruzione della funivia, incerto se lanciarsi in quella discesa mozzafiato o tornarsene con la cabina, sempre che Matti riesca a costruirla prima che lo sciatore precipiti a valle. Intanto mi sto arrovellando il cervello su come incastrare i due+uno ingredienti, della sfida "ironesca": castagne, cioccolato, e un frutto secco a scelta. Non sfoglio ricettari, libri e internet, voglio vedere che "topolino" riesco a partorire da solo. Passa il pomeriggio. Ciao Papà, che fai? Quando "Chi?Che?Co?Io?" al secolo Leo rientra, mi trova seduto al fianco a Matti a disegnare il piatto su di un foglio di carta. Papà deve fare una gara con la bicicletta. Matti ti ho detto che è una gara di cucina. Siii !? Ma allora perché è da due ore che stai disegnando le ruote delle biciclette sui fogli di carta ?!? (...)
Spiego le regole e tutta la famiglia si butta nel gioco: Allora prendi il cioccolato e lo sciogli. A me le castagne non mi piacciono. Potresti fare una tagliatella con la farina di castagne. A me le castagne non mi piacciono. No un dolce, con il cioccolato che si scioglie sopra. A me le castagne non mi piacciono. Magari cuoci le castagne in forno e ne fai una granella. A me le castagne non mi piacciono. Per la frutta secca i pinoli, come nel castagnaccio. A me le castagne non mi piacciono. Aaalt ! Castagne lesse perché non le ho mai fatte, pistacchi per il colore e il sapore, e il cioccolato per fare una:

Ganache di cioccolato e castagne con croccantino ai pistacchi
(recipe english version... or better "maccaronic" english version HERE)



Per la Ganache e per 4/6 porzioni
battete il tuorlo di un uovo con 50 gr di zucchero finché non raggiunge una consistenza spumosa, incorporate 100 gr di crema di latte, e riscaldate a bagnomaria fino a 70°. Allo stesso tempo in una ciotola sciogliete, sempre a bagnomaria, 100 gr di cioccolata amara al 55%, profumate con un cucchiaio di rum. Una volta che la cioccolata sarà sciolta aggiungete il latte e l'uovo, amalgamate con vigore. Incorporate ora 200 gr (peso a secco) di castagne sbucciate e pulite che avrete precedentemente lessato per 50 minuti in acqua aromatizzata con 2 foglie di alloro. Mettete la ganache nei coppapasta, (ring, cerchi di acciaio) appoggiati su di una teglia, questa coperta di carta forno e lasciate raffreddare in frigo per almeno 2 ore.

Per il "crumble" di croccante.
sciogliete 100 gr. di zucchero bagnato con due cucchiai di acqua, quando lo zucchero comincia a prendere un colore nocciola, incorporate 50 gr di pistacchi tritati al coltello. Disponete velocemente il croccante su di un foglio di carta forno e coprendo con un altro foglio tiratelo con un mattarello. Una volta freddo passatelo al mixer a lame fino ad ottenere il "crumble"

Per il croccante da guarnizione.
seguite le indicazioni del croccante precedente, ma incorporate i pistacchi solo quando lo zucchero avrà preso un colore mogano intenso. Quando lo tirate con il mattarello fatelo diventare molto sottile.

Faccio un passo in più e, non richiesto, propongo un vino in abbinamento a questo piatto. In effetti si tratta di un vino speciale aromatizzato: un liquorvino con base di vini rossi siciliani, aggiunti di un infuso aromatizzato con foglie di marasca, ottimo per dolci al cioccolato e con un buon rapporto di qualità prezzo: ALA di Duca di Salaparuta.

Mmmh però mi sa che le castagne a me mi piacciono!

Aggiornamento: è finita così

25 novembre 2007

Vino dei Blogger #12 résumé

E’ andata. La dodicesima tappa, quella dell'Anniversario del primo anno, del vino dei blogger è passata.
Una buona partecipazione e tante idee per un vino da fine pasto, e non solo, un paio poco ortodosse ma belle ed interessanti.
Comincio, in ordine sparso e senza nessuna pretesa di classifica

Aristide ci porta in Francia, ma non con il più conosciuto Sauterns, ma con un Coteaux du Layon Maria Juby 2003 del Domaine Patrick Baudouin, che poco o nulla ha da invidiare al più conosciuto cugino.

Dalla Francia Torniamo in Italia sulle foci del Po, con Mirco che ci racconta del suo Ailanto “sovrammaturato” che oggi non c’è ancora, ma che lui sta crescendo, con tutte le difficoltà di cosa voglia dire fare un passito in quelle zone. In bocca al lupo.

Dalle foci del Po, alla Val d’Aosta con Kat e Remy cuocchidicarta che, giustamente, ci raccontano due vini di quella terra. Il Podium un bianco a base di Petite Arvine, frutto della mente creativa di due giovani produttori Svizzeri. Il secondo Il Pierrots frutto del caso è un passito rosso a base di due bacche autoctone della regione il Petit Rouge e il Fumin. Due proposte che svegliano la curiosità e la voglia di cercare e provare queste due scoperte.

E come se fossimo spinti da un vento impazzito, me ne rendo conto mentre scrivo, voliamo in Spagna, dove Joan ci racconta di un enologo “errante” Telmo Rodriguéz, della sua Compagnia de Vinos e del suo secondo vino per la zona di Malaga, l' MR (le sigle piacciono a Telmo) a base di Moscato di Alessandria. Altra curiosa scoperta.

Cipolla, Adele di Gustosamente ci parla di un passito a base di Moscato Giallo e Garganega: Le Cime. Vino di una piccola azienda agricola mantovana, coltivato sull’appezzamento più alto della stessa azienda e da cui probabilmente si riesce a buttare un occhio al lago di Garda.

Le peperine, a metà del viaggio, mi riportano a casa nelle Marche. Con l’ Arkezia muffato di san Sisto di una delle aziende storiche di quella terra. E anche il loro accostamento con morbido gorgonzola è assolutamente azzeccato.

Giacinto del Maiale Ubriaco ci porta a sud, alle pendici del Grande Vulcano a Linguaglossa in provincia di Catania. Li ci racconta di un rosso che nasce sulle pendici del Vulcano il Sikélios e di un incontro “… ritorna l'uomo sui terreni arsi a rinfoltirli e quivi poi a vendemmiarli.”

Non ci allontaniamo troppo e sempre nella stessa terra, nello stesso mare: Sigrid di Cavoletto, di ritorno da Salina, ci racconta della Mavasia delle Lipari di Fenech. Di più Sigrid racconta del suo produttore, personaggio carismatico e, rompendo le consuetudini propone anche un accompagnamento come aperitivo.

Risaliamo il mare tirreno e andiamo con Fiordisale nelle cinque terre a scoprire il raro e blasonato Sciacchetrà. Gisella incastona su quegli scogli a picco sul mare un ricordo d’infanzia che tanto mi piace.

Luciano ci porta nella zona che un tempo rappresentava la “l’antica bordeaux romana”: l’Ager Falernum. Lì scopre per noi il Fastignano 2003 da una vigna ottuagenaria un primitivo in summaturazione, con rese bassissime che regale un vino rosso dolce tutto da scoprire.

Con MariaGrazia andiamo nella mia attuale terra adottiva, per farci raccontare di un Recioto di Soave 2002: ORO. MariaGrazia non racconta solo il vino ma anche un bel pezzo di storia del vignaiolo che lo produce: Umberto Portinari.

Sorsetti, che si aggiudicano anche il testimone per il prossimo Vino dei Blogger #13, propongono un passito da aperitivo, che mancando di corpo si presta in maniera particolare ad aprire il pranzo. L’Acquamadre sembra però avere le carte in regola per arrivare fino in fondo a chiudere il pranzo con un buon sigaro.

Con Mario di Terre Alte si ritorna in Veneto a parlare di vespaiola il vitigno principale del Torcolato che prende il nome dalla particolare lavorazione a cui i grappoli sono sottoposti. Altro vino, altre curiosità, notizie, altri piacevoli incontri.

I Muvara della loro trattoria anche ammettendo la loro poca esperienza e conoscenza in materia ci raccontano del Moscato di Sardegna e di una bottiglia particolare dedicata agli amici.

Un altro viaggio spaziotemporale e con Pierluigi e i suoi vini dal mondo, arriviamo in Crimea (Ukraina) per sentirci raccontare di un Pinot grigio dolce del 2002, vinificazione in rosso nelle caratteristiche anfore come un tempo. Un vino curioso che andrebbe sicuramente scoperto.

Ritorniamo in Italia con Andrea Gori di Vino da Burde che nel raccontarci delle sue ultime fatiche di sommelier e babbo per quindici minuti si concede ad uno dei grandi classici: Vin Santo Avignonesi 1994, dal colore quasi mogano.

David di A purple stain, alla sua prima esperienza in questo giro di vini, ci parla ancora in Veneto. Di una zona al confine con il Friuli e di una gita per San Martino, per raccontare del Dogale Passito.

Mariangela di MaiSazi ci propone un altro marchigiano, il Sommo 2005. Un passito rosso da Vernaccia di Serrapetrona, che sembra aver poco convinto la nostra amica. Ma quella, dico io, è una zona che sta ancora cercando di capire cosa fare da grandi.

Da ultimo il mio post che parlava di frittelle e di verdicchio, di un amico e di storie, tante storie, come piacciono a me. E allora un grazie a tutti coloro che hanno partecipato a questa edizione e a tutti coloro che leggono e comentano.
Loste

22 novembre 2007

Storie di vino e di frittelle

Squilla il telefono. Sul display appare il suo nome, strano, lui non chiama mai.
Allora domenica !? Si domenica. Cosa cucini? Non ne ho idea, ma per certo berremo un passito da meditazione, come piace a te.
Gli racconto velocemente la storia de "il Vino dei Blogger".

Gli spiego che voglio aprire uno dei cavalli di battaglia della mia terra:
il Tordiruta


è un passito di verdicchio prodotto dalla Moncaro, nell'area classica di produzione dei Castelli di Jesi, meglio: nel comune di Castelplanio in contrada Piagge Novali.E' un vigneto piccolo, a trecento metri di altezza, due ettari di terra abbastanza sabbiosa, per un totale di 150 q.li di frutto. E' il prodotto di una vendemmia tardiva, di dieci settimane di appassimento su graticci con muffa nobile, di una fermentazione e di un affinamento per dodici mesi in barrique e altri dodici di maturazione in bottiglia. Ne esce un liquido denso, di un giallo dorato carico, con un profumo intenso di frutta candita e di frutti esotici, una nota speziata e piacevole. Un sapore armonico, vellutato in bocca, con retrogusto caratteristico della muffa nobile e una freschezza brillante.

Non ho pensato neanche al dolce, faccio io. Me lo faresti un regalo? fa lui. Se posso. Hai da scrivere? Si. Lui detta, è una ricetta quattro ingredienti, un dolce. Mi spiega il procedimento. Se tu me lo fai domenica, quando vengo a pranzo da te, è la prima volta che lo mangio dopo quindici anni. La domenica mi metto al lavoro e oltre al pranzo preparo il dolce. E' povero: 3 uova e 3 cucchiai di zucchero che vanno montati con la frusta, 500 gr. di farina di castagne, tanto latte quanto ne occorre per ottenere la consistenza di un "budino", uva passa ammollata in poco rum, una bustina di lievito per dolci, due cucchiai di anice o mistrà a profumare Poi, per prova, ne faccio due quenelle e le friggo, come da ricetta, in olio di semi bollente (magari la tradizione avrebbe voluto lo strutto) Rimangono sul piatto due "pallotte" marroni, che imbianco di zucchero a velo e poi per non farle sentire sole e abbandonate, mi invento una salsa inglese al marsala e una salsa al cioccolato.
La farina di castagne sa di fumo, mai usata. Non so se debba sapere di fumo o no, ma il dolce ha quel sapore particolare. Qualcuno ipotizza errori nell'esecuzioni delle ricetta, o un ingrediente andato a male. No è tutto a posto. Sarà! Nel dubbio preparo un dolce alternativo magari invece di un regalo gli ho preparato uno schifo.

Pranziamo e parliamo, con le mogli raccontiamo della vita, dei figli, ridiamo, scherziamo. Tu in Veneto a casa mia, e mi da Roma a Genova belin'. I programmi, il futuro, sei anni e poi basta molliamo. E' il momento del dolce ne porto solo un un paio a tavola. Spiego i dubbi e dico: assaggia che se non è, buttiamo. Lui prende la "pallotta" e la divide in due, le parti fumano soffici. La mette in bocca, chiude gli occhi mastica adagio, si alza mi abbraccia e dice: Te me gha fatto un gran regaeo. Te me gha fatto:

Le frittele col Pappazzon



E' andata. Mentre Grazia frigge, apro il vino, la chiacchiera riprende. Le spalle appoggiate alle sedie le gambe allungate sotto il tavolo, frittelle di papazzon che passano di mano e di bocca, veloci. Le storie di un bambino nella bassa Veneta, di un ragazzino, e poi di un ragazzo. Di una mamma che friggeva e di un piatto quasi di famiglia, o magari della zona? Dei "bitorzoli" che l'impasto friggendo lascia e che devono essere quasi neri, e del: mmmh ma senti che buoni!! Che poi in dialetto Se ciama i "buti": che sono come quelli che fanno le patate quando invecchiando "germinano" (butano). Lui continua: in Veneto c'è un detto: " te si come na patata col buto", cioè non servi più niente. La frittella che gira nelle sue mani, come se fosse un oggetto di culto, il piacere di ritrovare i sapori dell'infanzia. Alza il calice, il gesto fa brillare il vino, che ora sembra avere riflessi ambrati, mi guarda, serio e fa: grazie, l'ultima volta che le avevo mangiate c'era ancora mio padre.

Questo post partecipa al "il Vino dei Blogger #12"

19 novembre 2007

Cosa fanno gli altri di domenica?

Cosa fanno i food bloggers di domenica? Quando i lettori latitano dai loro siti. Si riposano? Magari si rilassano, spengono l'infernale strumento, e fan finta che il mondo virtuale non esista per dedicarsi a quello reale? Si prendono una giornata di riposo dal loro "ristorante" virtuale?
Macché, i food bloggers la domenica cucinano. Preparano le ricette e le tengono nel cassetto per i giorni seguenti. Caricano la loro arma di cartucce virtuali. Spadellano a spron battuto, provano, fotografano, riciclano, buttano.

Ma non è solo per questo, garantisco, è anche piacere relax come dice Mara nel gesto ritrovato di tirare la sfoglia della sua tagliatella. O chi magari nella stessa tagliatella ritrova i ricordi di un tempo. Il cibo, alla fine di tutto, è solo memoria, ricordo, dopo aver mangiato è la sola cosa che vi resta, piacevole o meno che sia.
Così mentre questa mattina, presto, più presto, viaggiavo verso il mio lavoro, mi chiama un'amico sofferente d'insonnia. Parla, si informa, racconta, e poi chiede: e ieri che cosa hai cucinato? Ci penso, rifletto e dico: niente.
O meglio ho mangiato, quello che ricordavo delle domeniche d'infanzia contadina. Il pomeriggio si andava a trovare un amico di famiglia, un parente, le chiacchiere degli uomini diverse da quelle delle donne. Noi piccoli ad origliare, per poi finire "sbattuti" fuori sull'aia a giocare. Fino al momento della merenda:

Il salame il cacio e le olive


magari ancora non del tutto pronte, qualcuna appena acerba che "lega" i denti, e allora grandi morsi su fette di pane, per smorzare il sapore e giù bicchieri di vino. Il salame, il formaggio di casa che sa di camino. E poi chiacchiere, la sera che scende, la luce al neon rotonda che ronza, merenda fino all'ora di cena. Poi a casa, imbacuccati, in cappotti pesanti, stretti nella 500 bianca. Mamma che mangiamo stasera?

15 novembre 2007

Com'è la vita

Dalla finestra della mia camera, ora, si vede un grande campo. Un trattore verde a sei vomeri, lo ara; attraversandolo come una forbice da sarta farebbe in un tessuto di raso. Mica come nelle Marche che gli aratri litigano con la terra. Lontano una linea di colline spezza la pianura veneta. Oltre, le dolomiti Bellunesi occhieggiano verso Venezia che sta dietro di me, a pochi chilometri.
L'aria è pulita di freddo, laggiù vicino alla strada, qualche colombaccio attardato aspetta il sole, appollaiato sui cavi del telefono. Al piano di sotto una porta sbatte violenta, sfuggendo di mano al vicino.
Non ci sono i rumori della mattina che tanto mi piacciono: lo "zampettare" veloce di Matti, che scende dal letto e mi fa "BUU" da dietro la porta. Lo sbuffare lento di Leo, che in mutande si prepara lo zaino. Nessuno è sceso a preparare il caffè, nessuno chiama a gridare che è tardi ed è ora di andare.
Magari loro fanno le stesse cose, anzi sicuramente le fanno, ma io non li sento. Quassù, lontano, sento il rumore monotono del trattore nel campo, un lontano tubare di colombacci, lo sciacquone dei vicini; poi sento il silenzio.
Il silenzio felpato dei miei passi, il silenzio delle mie letture, il silenzio dei miei pensieri. Roba da parlare a voce alta da soli per tenersi compagnia.
La vita è fatta così, un po' come diceva Ceriago:

El pesce è su per giù come la vita,
pieno de spini in genere, ma prò
vedrai come t'agusta e come invita
se impari a scanzà i spini e a capà el bò!
La vita nuda e cruda cosa vale ?
Bisogna daj un'ilusio', un culore,
un scopo, 'na speranza, un ideale,
cuntornàla cu' i fruti del'amore...
come se fa cul pesce, tal'e quale,
che ce meti l'aieto, el pumidoro,
la branciola d'erbete, el pepe, el zale,
per daj più bon sapore e più decoro.

E così passando davanti ad una pescheria, tra casa e ufficio, mi son comperato l'ultimo sgombro rimasto. Nel negozietto del paese o rimediato quattro pomodorini, un ciuffo di prezzemolo e mi son fatto, dei:

Piccoli maltagliati con ragù di sgombro.



Io ho fatto tutto per una persona, ma vi do la ricetta per quattro.
Ho fatto una sfoglia con 3 uova, 3 etti di farina poco sale e un goccio d'olio.L'ho tirata non troppo sottile ma abbastanza spessa e poi l'ho tagliata a pappardella, e poi ancora, in perpendicolare, per farne dei maltagliati. Ho deliscato due begli sgombri (è chiaro che il mio era uno ed avanzava). Ho fatto insaporire uno spicchio di aglio in poco olio evo buono. Ho messo giù due terzi del pesce che avevo ridotto a tocchetti. L'ho fatto appena scottare e poi ho aggiunto 16 pomodori datterini, sbollentati, spellati e privati di semi. Ho salato poco, ho pepato. Ho lessato la pasta, l'ho saltata in padella, aggiungendo la restante parte di pesce, che si è così appena scottata, ho aggiunto un trito di prezzemolo. Ho impiattato e condito con un filo di olio.
E ho mangiato da solo, mentre fuori due gatti litigavano.



14 novembre 2007

Memento

Solo per ricordare che la prossima settimana ci aspetta il 12° appuntamneo, nonchè 1°ANNIVERSARIO de "il Vino dei Blogger"


Le regole
Volutamente sono ammessi solo vini passiti o muffati; niente speciali e quindi liquorosi (lasciamo qualche tema anche per il futuro );
Qualsiasi uvaggio;
Nessun vincolo a provenienza geografica e a prezzi;
Qualsiasi denominazione;
Descrivere il vino e darne tutte le informazioni possibili;
Possono partecipare tutti coloro che ritengono di avere un vino da raccontare;
Non è finita diteci come lo bevete: a seguire un dolce? Quale?. Con cioccolata vicina? Che tipo? Con un sigaro? La marca.

E poi raccontate a cosa pensate quando bevete, di cosa parlate con chi vi fa compagnia. Perché quello che è fondamentale, e che spesso rende un vino indimenticabile è: l'occasione.

Si pubblica tutti nella giornata del 22 novembre. A seguire la pubblicazione, si manda una mail al sottoscritto lacolica@hotmail.it con oggetto "il Vino dei blogger #12". Mi impegno a riepilogare il tutto il fine settimana successivo quello della pubblicazione, e a passare il testimone a... Fatevi sotto.

11 novembre 2007

Scontrarsi con la modernità

Mi piacciono le mattine della domenica; lente, silenziose, stanche e svogliate. Camminare per le vie del paese, odore di caffè, i rumori ovattati di rare auto che appaiano e scompaiono. La donna sul balcone che si affaccia in pigiama. L'altalena nel vecchio giardino che dondola piano, spinta da un vento ribelle. Il parco giochi vuoto. Qualche bambino ha costruito un ponte sopra una grande pozza d'acqua. Ma poi il ponte è crollato e sull'asfalto, della strada, ci sono le tracce minute di due scarpette cariche di fango, che fuggono dal parco.
Ritorno verso casa, anche qui il tempo è rallentato, tutti dormono.
Impasto le uova, cercando di fare meno rumore possibile. Mi accompagna il sottofondo di un album del "Buddha Bar". La musica è ritmata, sopra le percussioni arriva un assolo di chitarra, leggero, che scivola come la brezza di fuori. Una foglia sbatte sulla finestra resta un attimo, poi cade.
Tiro la sfoglia. Ora la chitarra ha lasciato il posto ad una voce, che non dice parole, ma che ripete due vocali all'infinito. Sembra un richiamo, come quelli che qualche volta si sentono nelle valli in montagna. Il rumore ovattato di due piedi nudi, che scendono le scale, stona con la musica. Matti compare in cucina. Il pigiama del fratello troppo grande per lui.
Che fai?
Dalla finestra della cucina osservo un cielo grigio che corre veloce verso il mare, lontano. Le ultime due foglie rosse dell'acero, si aggrappano testarde ai rami.
A me mi piacciono i ravioli che fai tu, papà.
Il vicino si aggira per il suo orto, indeciso, distratto. Raccoglie qualche foglia, sposta gli attrezzi appoggiati alla baracca, osserva l'ultima melanzana rimasta ancora appesa alla sua pianta ormai secca.
Si, mi piacciono quando ci metti la ricotta, il parmigiano e l'uovo.
Ora ci tiene compagnia un duetto di violino e chitarra acustica. Matti, inginocchiato, sulla panca il mento appoggiato alla mano, i gomiti sul piano della cucina, mi guarda preparare i ravioli.
Poi che ci metti sopra?
Un paio di corvi giocano nel vento, si rincorrono in un volo bizzarro e scomposto. Si attaccano per le zampe e precipitano. Scompaiono dietro il ciliegio e riappaiono distanti, trascinati dal vento.

A me mi piace i ravioli con il prosciutto e con quelle palline verdi, che ci metti sopra.
Ora tutta la famiglia è seduta a tavola, in attesa dei piatti. Matteo è tornato nella posizione della mattina. Ha fame dice che lui non ha mangiato e che è tutto il giorno che gioca e che corre. Ha ucciso un mostro, ha fatto una corsa con la macchina di ciumacher e ha fame.
Ma perché metti il parmigiano nell'acqua?
I Buddha Bar continuano ad andare ora sta passando, come un lamentano allegro, una chitarra spagnola, un flamenco nascosto tra le pieghe.
Ma perché sbatti l'acqua con quel coso lì che si mette dentro?
Cuocio la pasta. Fuori appare un striscia di sole. Sembra come uno di quegli "occhi di bue" che in teatro illuminano il protagonista sul palco. Qui ad essere illuminata è una vecchia quercia con qualche foglia ancora attaccata.
Salto i ravioli in padella, li impiatto e metto l'aria di grana. Matti è preso da un pezzo di pane e senza guardarmi chiede:
Come si chiama questo piatto papà ?

Raviolini con prosciutto, piselli e aria di grana.



Passo il piatto a Matti che spalanca gli occhi.
Papà. Ma ci hai messo il sapone? Ma no Matti!
Guarda il fratello, gli occhi stretti in una fessura, la labbra serrate in una morsa di rabbia. Mi ci hai sputato te ?

08 novembre 2007

Maccaroncini ed esperimenti

La stanza è fredda. La parte del corpo che ho fuori dalle coperte, sembra congelata. Naso e bocca freddi, e un vago cerchio alla testa, sono i sintomi di una temperatura troppo bassa. I miei fratelli dormono, accanto a me nell'enorme letto di ferro battuto. Dalle persiane socchiuse, filtra la luce grigia del giorno. Scivolo fuori dalle coperte, e saltello, a piedi nudi fino in cucina. Lì la temperatura è quasi tropicale. Mi infilo tra la finestra e la stufa scoppiettante. La grande piastra di ghisa infuocata, i tubi del camino bianco, che sopra la mia testa fanno una stretta curva per uscire da sopra la finestra, riempiono la stanza di caldo. Mi siedo sulla panca che serve a raccoglier la legna, e mi crogiolo a quel calore rassicurante.

I vetri hanno una patina di condensa spessa e pesante. Ogni tanto una goccia scivola dall'alto, un percorso quasi rettilineo. Prima piano quasi incerta, avanza, s'arresta, poi come a seguire un richiamo, fa una leggera curva ad incontrare un altra goccia. Si uniscono si aggregano, aumentano di peso e volume, e alleate nel gioco, partono, veloci verso il basso ora perfettamente diritte. Nella corsa trascinano altre gocce, precipitano giù finendo sul bordo di legno, mangiucchiato dal tempo. Allargano la traiettoria liberandola dalla condensa e lasciando una fessura sottile da cui si intravede il mondo di fuori.
Di fuori mia madre e mia nonna, che puliscono una gallina, ormai morta. Un pentolone di acqua bollente che fuma nel freddo di novembre. Movimenti veloci, la massa di piume bianche che finisce nel pentolone. Una breve immersione per facilitarne la spiumatura.

Sobbalzo. Un ciocco scoppia nella stufa, il crepitio del legno spaccato e attaccato dal fuoco continua. Fuori, quattro mani veloci, stanno spennando l'animale, appoggiato su di un tavolaccio tra orto e giardino. Mia mamma fa il lavoro "di fino" elimina, con fare certosino, le piccole piume più coriacee. Mia nonna sventra la gallina, la apre, infila una mano dentro, elimina parte delle interiora e recupera qualcosa che finisce in un piccolo tegame. Un ultima lavata sotto l'acqua corrente, gli attrezzi: il caldaro, il tavolaccio, coltelli e parananze, finiscono al loro posto. Salto giù dalla panca e mi nascondo dalla parte opposta, tra la credenza e la stufa. Da lì posso tener d'occhio l'ingresso senza farmi vedere, uno scherzetto.

La gallina appare sulla soglia, il collo nudo esce, penzolando, dalla pentola che mia nonna ha in mano. Mi viene incontro l'occhio vitreo fisso che mi guarda, mi passa accanto e si ferma sul tavolo della cucina.
Che ci fai ? Chiedo. Mia nonna sobbalza, lanciando un grido. E tu che fai qua, ancora in pigiama e tutto scalzo? Mi guarda con un piglio di rimprovero. Io osservo la gallina e il mucchietto di fegatini nel piccolo tegame.
Che ci fai con la gallina? Metà la facciamo al forno con qualche salsiccia vicino, con l'altra metà ci facciamo il brodo. Guardo i fegatini, un dito spunta dalla manica troppo lunga del mio pigiama: e questi? Con quelli ci faccio un sughetto. E poi? e poi, facciamo:

I maccaroncini con le battecche

Il procedimento è meno complicato di quanto possa sembrare, ed è illustrato nel post precedente, qui, si fa una sfoglia abbastanza sottile di pasta all'uovo, per quattro persone sono sufficienti due uova intere impastate con 200 gr di farina e un pizzico di sale. Si tira la sfoglia e poi la si taglia alla dimensione di una pappardella. La pasta si avvolge attorno alla battecca e poi la si passa sul pettine da telaio imprimendo la forma dei fili e formando il maccaroncino. La cosa difficile magari è procurarsi un vecchio pettine da telaio, abbandonato in qualche vecchia soffitta, le battecche sono rametti di frassino puliti e lasciati seccare. Si prepara, poi, un brodo di gallina, oppure per renderlo più leggero usate un pezzetto di gallina e un pezzo di muscolo di manzo. Il brodo deve bollire per un tre ore con sedano, carota, cipolla e un chiodo di garofano. Mentre il brodo va, si prepara il sughetto di rigaglie: tagliando a tocchetti piccolissimi le interiora di un pollo: fegato, cuore e maghetto (ventricoli). Le si rosolano, ben bene per una decina di minuti, in padella con una noce di burro e una foglia di salvia. Si sfumano con del vino bianco e si aggiunge un cucchiaio di passata di pomodoro. Si lascia andare per altri quindici venti minuti e poi si tiene il sughetto al caldo. Si filtra il brodo, lo si rifà prendere bollore e poi si tuffano dentro i maccaroncini che devono rimanere al dente, si impiattano lasciando che i commensali si servano del sughetto a piacimento (magari non tutti gradiscono, ma merita). Senza dimenticare una bella grattatugiata di parmigiano.

Ecco questo è un piatto della profonda tradizione dell'entroterra marchigiano. Questo è un piatto che rappresenta il concetto: "in campagna non si butta mai niente". Di più: questo è un piatto che nessuno fa quasi più, non l'ho mai trovato proposto in un ristorante, e come avete letto dal post precedente, da altri parti d'Italia non lo si conosce, così come lo si fa nella Marca Ancontena. Esiste però qualche cosa di simile, probabilmente delle dimensioni di una "penna", condito con sughi diversi, come molti di voi hanno segnalato. Ma il brodo no vero? L'esperimento era questo trovare qualche cosa di Tradizionale, la cui memoria si sta perdendo e metterlo in rete. Per farne cosa? Per renderlo immortale. Magari tra qualche giorno su google digitando "maccaroncini" lo "spider" metterà questo post tra i primi dieci risultati della ricerca. E magari è vero che internet è limitata al solo senso della vista ... ma nonna diceva "Cocco mio, si mangia anche con gli occhi".

04 novembre 2007

Esperimento globalizzante

Un anonimo, commentando un paio di post fa, parlava di questo blog, o magari di quel post, come di una "contraddizione in termine". Parlare, cioè, di tradizioni, e "tentare di tenerle vive" attraverso uno strumento che, secondo l'anonimo lettore, uccide le tradizioni stesse: internet.
Nel dubbio che lui, l'anonimo, potesse aver ragione mi è venuto in mente un esperimento, altamente scientifico, quindi non fate quelle facce. Ecco dunque l'esperimento globalizzante. Guardate questa sequenza di foto:









Due precisazioni due: non si vince nulla; e quelli sopra non sono i "garganelli", che la mammina che vive nel mulino in mezzo al campo di grano, o la ragazza che ha ripulito il faro, fanno con le loro manine amorose.

Lasciare un commento a questa indagine vi farà diventare protagonisti di una delle più importanti ricerche antropologiche mai promosse in rete. Che se lo vengono a sapere quelli dell'isola dei famosi, che mentre sono là, qua succedono queste cose, se ne vanno tutti e lasciano "cappuccetette rosse" sola come un cane.

A parte gli scherzi, ma senza prenderci troppo sul serio, che può far male, adesso ditemi se avete mai visto questa pasta, magari mentre la faceva una nonna o magari l'avete mangiata da qualche parte.
Se la risposta è un si, ditemi dove l'avete vista o dove e come, questo è importante, l'avete mangiata. Anche i "no "sono importanti, se uno mi dice: Io a Timbictu non l'ho mai vista, io ho la quasi certezza che a Timbuctu questa pasta non ci sia. Quindi datevi da fare e non latitate, la scienza vi chiama.