27 gennaio 2010

Torno presto

Bisogna che trovo il modo di farmi sentire che magari mi credete morto o scomparso. Dovrò pensare anche a trovare il modo di informarvi della mia morte quando accadrà, che mica voglio passare per uno che smette di postare sul suo blog e scompare così. L’educazione prima di tutto.
Comunque non sono morto, è che sono ancora in Cina. Che essere in Cina oggi come oggi, in termini “sintetici” per la rete, vuol dire esser come morti. Proprio morti no ma in una sorta di agonia, dai. I collegamenti sono decenti ma si va da poche parti, mica con le auto ! Che con quelle o con i mezzi si va dove si vuole. Vedi qui.

Io intendevo con la rete, non si va per esempio sul mio blog: un miliardo e mezzo di lettori persi, roba da “vivace protesta” verso l’apparato pubblivo ! E questo post vi arriva, perché già sarete lì a farvi domande immagino, attraverso una schedina telefonica come quella che avete nel telefonino. Sritto anticipatamente in word e poi caricato successivamente per risparmiare sulla connessione roaming. Che qui ci sta mica Totti e la sua maestrina.
Essere in Cina di questi tempi, quindi, vuol dire che le piattaforme social sono tutte bloccate, mica censurate, non scherziamo ! Qui nessuno è censurato, internet è solo “regolata” lo dice anche il giornale

Essere in Cina oggi vuol dire non poter vedere “AVATAR 3D” perché ritirato dalle sale cinematografiche. Non state a far la punta al cervello, niente sesso e violenza. Ritirato perché la gente lo andava a vedere, e questo può sembrar non scontato, ma lo andava a vedere a scapito dell’ultimo kolossal su Confucio. Come dicono qui, Vuoi mettere ?!

Nonostante continui ad avere segnali sempre più palesi da questo paese, domenica sera mi sono scoperto a pensare, mentre mi ingozzavo di cucina cinese di medio livello, "mmmh buono !". Non nascondo che ho avuto un momento di preoccupazione, palesato anche a chi mi accompagnava, e si che leggo sempre più spesso che la cucina cinese faccia male basta guardare qui!

Comunque continuo imperterrito a frequentare ristoranti anche se non proprio stellati.




A presto

17 gennaio 2010

La musica della domenica

Il silenzio di questa casa a volte è impressionante. Resto ad ascoltarlo, infilato ancora nel caldo abbraccio delle coperte. Mio fratello mi dorme a fianco, ne percepisco il regolare respiro, sommesso e lontano. Trattengo il mio; immobile cerco di carpire, in mezzo a tutto questo silenzio, i flebili segni di vita che oltre la porta, sicuramente, si muovono. Mia nonna si è già alzata: da dietro il paravento che divide il suo letto dal resto della stanza, non arriva quel fioco russare che segna il suo sonno. Dalla parte opposta, la luce del mattino grigia e pesante fa distinguere il letto di mia zia: liscio e deserto.
Ascolto.
Una musica lontanissima sembra arrivare dal fondo dei miei pensieri. Per un attimo penso che sia solo un vago ricordo, un dejà vu, un gioco dell’immaginazione che ti fa canticchiare lo stesso motivetto per tutto il resto della giornata. Ma questo non è un motivetto, sembra un crescendo di archi, qualcosa di grande e imponente, poi all’improvviso scompare. Solo immaginazione? Muovo leggermente la testa, cerco di modificare la posizione per cogliere meglio i suoni, impossibili geometrie acustiche. Il fruscio del capelli sul cuscino, rimbomba nelle mie orecchie: enorme, fastidioso.
Immobile.
Le note grevi di un piano lontanissimo riprendono, una musica diversa, riesco a seguirne le note e ne riconosco la melodia. La canticchio con un “mmh… mmh..” silenzioso. Mio zio che in bagno si fa la barba e ascolta musica dalla sua vecchia radiolina. Di quelle radioline con la scala delle frequenze nera a numeri bianchi, una barretta rossa che in equilibrio come un funambolo raccoglie onde invisibili. Movimenti impercettibili, eufemismi dislocativi di oggetti nelle stanze, nella vana speranza di attenuare frusci e pulire i suoni.
Silenzio.
Ritorna il silenzio profondo. Basta muoversi sotto le coperte, accoccolarsi meglio in questa posizione fetale, alla ricerca del caldo concentrato sotto il proprio corpo. Che il silenzio ritorna. Le gambe che fuggono dal fresco dell’estremità del materasso. Le muovo piano verso mio fratello, lo sfioro, rubo il suo calore e mi accorgo di essere ghiacciato. Sfrego i piedi, uno contro l’altro. Lui si gira lamentoso. Fuggo. Ritorno nel mio angolo ora più freddo.
Sento.
Come una vibrazione lontana, leggera, colpi ovattati e regolari. Mi sfilo dalle coperte e scivolo da questo letto altissimo. Mi affaccio sul corridoio, la musica del pianoforte, arriva da dietro la porta alla mia sinistra, scivola lungo il pavimento e riempie la penombra di questo lungo passaggio che porta verso l'uscita. Si insinua nel disegno delle piastrelle e gioca con i miei piedi scalzi. Il colpi ora arrivano chiari, apro la porta che conduce per un piccolo corridoio, ancora, verso la cucina, ed ora il “tan-ta-ta, tan-ta-ta” è cristallino.
Luce.
Le finestre aperte su questa domenica mattina, illuminano di una luce grigio-bianca le stanze di questa parte di casa. Il tepore della stufa accesa mi ridà un fiato di vita, nel freddo del solo pigiama. Resto nell’arco, che la porta della cucina disegna nello spazio. Il limitare di un mondo: dietro, il silenzio ora ovattato del pianoforte, di fronte, la frenesia di una cucina domenicale, e quel rumore “tan-ta-ta, tan-ta-ta” intervallato dal “ta-ta-ta-ta tan”. Lo sculettare regolare di mia madre, una danza che parte dalle braccia, sale alle spalle e lungo la schiena arriva ai suoi fianchi, un movimento elettrizzante una calamita per gli occhi. Rimarrò affascinato per tutta la vita da quella “danza” da quel movimento che hanno le donne quando preparano, al mattarello, le:

Tagliatelle della domenica


Oggi è la "Giornata internazionale della Cucina Italiana", e il piatto di quest'anno sono le tagliatelle al ragù bolognese. Sarò onesto io, abituato ai paesi del nord Europa ho sempre pensato che "bolognese" e "napoletana", non ci appartenessero. Anche se ci si è premurati di depositare alla camera di commercio la ricetta e .... E allora facciamo sta ricetta proprio come dice la tradizione, vera o no che sia

Ho ammorbidito in poco evo un cuore di sedano, una cipolla e tre carote passate al mixer. Ho aggiunto 200 gr. di pancetta tritata e poi 700 gr. di polpa di manzo anch'essa tritata e ho fatto rosolare il tutto benissimo. Quando tutti i liquidi si sono riassorbiti ho sfumato con 3/4 di bicchiere di vino rosso, di quello buono che poi ci è servito per accompagnare il piatto. Ho salato, pepato e grattato un profumo di noce moscata. Ho fatto evaporare il vino e ho aggiunto 3 cucchiai di triplo concentrato di pomodoro, sciolto in un bicchiere di brodo bollente. Ho lasciato andare a fuoco basso e coperto, per 90 minuti o anche un paio d'ore. Di tanto in tanto ho aggiunto ancora brodo se asciugava troppo. Alla fine ho incorporato un paio di cucchiai di panna fresca o magari anche semplice latte.

Ho lessato delle tagliatelle all'uovo ricetta classica 100 gr di farina per ogni uovo, tirata a mano come in quelle domeniche mattina di tanto tempo fa. Condite con il ragù bolognese e servite a un consesso di miscredenti troppo abituati a ricette svizzero-tedesche

Giusto per non limitarsi allo scontato ho pensato ad una variante gratinata in forno, dove la tagliatella è messa in uno stampino è lasciata raffreddare per una mezzora in frigo. Sformata in un piatto e guarnita con un cucchiaio di besciamelle, è ripassata al grill per un 15 minuti ad indorare e servita bollente con un paio di cucchiai di ragù.

Mi piace pensare che fosse questo il ragù di quelle domeniche lì. Ma non poteva essere questo, quello era un ragù di questa terra, più pomodoro a condire, il macinato misto di carne un pezzo di gallina, una sorta di umido, e le rigagli di pollo, che qui sono l'elemento distintivo di questa terra. Il marchio di fabbrica dell'entroterra Marchigiano.

11 gennaio 2010

Il male di leggere


"Erano circa le otto, il giorno prevaleva ancora. Nel paesaggio lontano apparve un lago. Lo specchio era grigio, e neri boschi di abeti montavano dalle rive sulle alture circostanti, più su si andavano diradando, si perdevano e lasciavano dietro di sé le rocce brulle grigiastre."

Il silenzio del parco del vecchio sanatorio mi abbraccia ovattato. Come il freddo che morde cattivo alle gambe. Solo lo scricchiolio della neve sotto ai miei passi rompe l'irreale mutismo del luogo. Gli abeti son neri anche in questa stagione ma lasciano il posto al candido della neve piuttosto che al brullo delle rocce di maggio. Mi guardo intorno mentre la vecchia struttura imponente mi osserva. Non ci sono Settrembrini ne tanto meno Madame Chauchat. Ma il clima potrebbe essere quello, è sicuramente quello che il giovane Castorp si ritrovò a vivere nelle pagine di quel libro. Dietro a questo luogo, alle pendici delle montagne che sovrastano la città passa il sentiero dedicato al suo autore. Entro.

Le foto alle pareti dei corridoi testimoniano luoghi identici ad oggi. Le vetrate immutate e dietro ad esse solo il paesaggio porta il segno del tempo trascorso. Nessuna ristrutturazione postmoderna, la volontà del proprietario o la forzata rinuncia han fatto si che tutto sia restato com’era. La vecchia sala da pranzo ha le stesse porte di allora, gli stessi lampadari, la scala triangolare si arrampica scricchiolante sotto i miei passi. La biblioteca ha lo stesso legno alle colonne e gli stessi i sofà, solo i libri sono diversi.

I vasi di fiori finti appesi alle finestre, i mosaici della chiesa sconsacrata all'ultimo piano. Sembra assurdo quasi pazzesco, riguardo le foto e mi convinco. Oggi è oggi e ieri è come oggi, oppure oggi è come ieri.
Matti mi corre davanti con la curiosità ignorante del bambino, ed è inutile dirgli che cento anni fa c’era già tutto e che nella foto infermieri e malati posano, nel tepore di un sole estivo, alle stesse terrazze, dove oggi lui sta urlando al fratello giù in basso.

Magari non è lo stesso posto del libro ma il fascino è quello, mentre mi crogiolo al caldo di una tazza di te fumante. Chiudo gli occhi e sento il frusciare pesante delle vesti delle signore di quel tempo, il passo leggero degli uomini accompagnato dal bastone da passaggio. Sento il parlare sommesso e lo scampanellio discreto che richiama alla cena. E chissà se avranno mai servito i:

Knodel in brodo


Mettiamo subito le cose in chiaro. Ho mangiato la Suppe Knodel nel ristornate sotto la chiesa, vicino al sanatorio/albergo. L'ho fatto con tutti i dubbi che si possano avere nell'affrontare un piatto che nell'immaginario collettivo è un piatto pesante, impegnativo e tutto quello che uno ha come memoria. Ho scoperto una preparazione ben fatta, leggera, servita in un brodo di manzo perfetto. Son restato con la voglia per giorni e quando son tornato ho fatto "la punta al cervello". Non volevo il solito "Canederlo" di speck. Allora ho scritto ad un'amico di sempre e gli ho chiesto la ricetta. Maurizio me ne ha mandate tre. Tre preparazioni che agli ingredienti base aggiungo formaggio, luganiga e trota alternativamente. E mi sono messo al lavoro.


Per accontentare tranquillamente quattro persone (3/4 canederli a cranio): 300gr di pane raffermo bianco, ammorbidito con 3 uova intere ben battute e un mezzo bicchiere di latte, poca farina ed eventuale pan grattato se la consistenza è scarsa. Ho salato, pepato e grattato un profumo di noce moscata. Alla mia base ho aggiunto due salsicce di maiale che ho sminuzzato e cotto in una padella fino a far asciugare bene. Un pugno di spianci lessati e passati bene al coltello e 100 gr di taleggio. Ho impastato il tutto bene e usato sia in un brodo chiarificato che lessati e conditi con burro e salvia.
Bene la prima ma meglio la seconda !