24 dicembre 2008

Come se ve li avessi fatti

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Parlavo con Juanin questa sera, con lui.
Una delle solite chiacchierate: come stai. Come ti va il lavoro. Come sei uscito dalla fine dell'anno. Come vedi il prossimo...
Poi parli di altro, ti racconti la vita, quel pezzo di vita che è passato dall'l'ultima volta che ti eri sentito. Poi allarghi la vista amplifichi e pensi più ampio, ti chiedi di tutto, domande senza risposta, sempre.
Bé stasera ci siamo chiesti: "Ma cosa pensa la gente?"

Di cosa?

Di tutto, qual'è il primo pensiero che vi passa per la testa leggendo queste poche righe, riuscite a lasciarcelo scritto, a me e Juanin, in un vostro commento breve, succinto e che non contenga auguri, di quelli ne abbiamo tutti bisogno, e quindi e come se ce li fossimo fatti.
A cosa serve? A vedere se avete risposte.

15 dicembre 2008

Come un ragno


C’è che una mattina ti svegli, fa freddo, c’è ghiaccio ed è grigio. Talmente grigio che non sai neanche dove possa essere finita la luce del sole. Così grigio che ti metti a pensare che magari si è fermata la terra e ha smesso di girare, proprio lì in quel grigiore che resterà per tutta la vita. Con quel freddo. Quel ghiaccio. E quelle ragnatele cristallizzate in una specie di zucchero filato.
E se penso a quel ragno che se ne starà rintanato in qualche buco del legno. Bé penso che c'è una certa analogia tre il ragno e me, che me ne sto seduto qui ad osservare il mondo da questo video. La gente che conosco perché l'ho toccata, guardata, ci ho parlato e condiviso il tempo, lo spazio di un luogo. Quella che non conosco, ma che conosco, perché l'ho trovata dentro a questo "mondo", oltre il cavo, lungo le dorsali, nella rete.

Li vedo muoversi veloci, i messaggi che appaiano in piccoli numeri rossi, io che leggo, e mentre leggo ne immagino i visi, le voci, li associo ai luoghi, li sposto lungo la mia mappa immaginaria del mondo, li ascolto raccontarmi la vita, la loro, chiedermi della mia. Ne immagino i pensieri oltre le parole scritte, gli stati d'animo, la felicità, la tristezza, il dolore, il piacere, la rabbia, la tranquillità. Tutto traspare e mi precipita addosso come il freddo che fuori non molla. Rispondo veloce, cerco chi non trovo da tempo, a volte troppo, per anche pensare, solo, di riapparire. Lascio che tutto passi oltre e dilaghi dalla rete, nella mia stanza, oltre di essa fuori della finestra, nell'altra rete. Verso quel ragno che si nasconde nel buco, che aspetta quel sole che oggi ha dato buca qui, ma che splende a Davos e a Doha, dicono gli amici.

E' così in questa stanza, in questo blog, sono come solo. Io scrivo, qualcuno legge, altri commentano, ma di là nell'altra stanza ci sono tutti. Un po' come quando inviti a pranzo degli amici, ti alzi presto, cucini, prepari, impiatti, servi, mesci, mangi (poco), ascolti, parli, gridi, ridi e poi. E poi ti alzi e vai nella tua stanza, da solo lontano dalla caciara, ti siedi sulla tua poltrona, i tuoi libri, il tuo sigaro. Basterà riaprire la porta e tornare di là dalla maestra, da mucca, dalla gentilesignorina, dal direttore, dal francotiratore, dal disegnatore e da tutti gli altri.

Ma ogni tanto mi piace ritornare qui, a riflettere nel silenzio di questa stanza, magari in un banale tentativo di far invidia agli amici sulla neve, che ti smessaggiano, cucinando un:

Rigatone con ragù di guancia e circerchia



L'idea della ricetta l'ho presa dalla maestra, che appunto sta di là adesso, magari per un po'.

Per quattro persone ho preso un guancia di manzo l'ho pulita della pelle e l'ho tagliata al coltello riducendola ad una sorta di quasi battuto. Ho preparato un soffritto con una cipolla, uno scalogno, due carote e un mezzo "cuore" di sedano. Ho soffritto in olio evo buono, ho fatto appassire e poi ho aggiunto la guancia rosolandola bene, bene, bene, insieme ad un rametto di rosmarino. Ho sfumato con un mezzo bicchiere di vino rosso (buono), ho lasciato evaporare e ho poi aggiunto quattro cucchiai di passata di pomodoro, salato, pepato . Ho fatto andare per un tre ore buone a fuoco bassissimo e coperto.
La cicerchia che per i non indigeni dell'entroterra marchigiano, è una specie di cece ma più schiacciato, va messa a bagno in acqua e una punta di bicarbonato 48 ore (!) prima dell'uso. Se non ve la siete dimenticate, nell'arco di due giorni può succedere, la lavate bene e la mettete a bollire in acqua, sale e odori (sedano, carota, cipolla e alloro) per un paio di ore. Mezz'ora prima di terminare la cottura del ragù aggiungete la cicerchia scolata. Lessate un bel rigatone Cocco o simile, scolatelo al dente e saltatelo in padella con il ragù, spolverate con parmigiano grattugiato e servite con un filo d'olio.

Saranno pure stati a Davos, ma questo non lo hanno mangiato di sicuro.

08 dicembre 2008

Pica


C'è un amico, quello che è il mio terzo fratello. Lui e la sua famiglia, hanno un amico: un ragazzo di una trentina di anni. Uno che per mestiere si è scelto un mestiere oggettivamente complicato al giorno d'oggi: il prete. Ci troviamo spesso per le strade del paese dove vive e "lavora" in umbria, quattro chiacchiere, un saluto, roba generale. Poi una sera a cena davanti ad una pizza, il mio amico butta là del blog. Questo blog.
Uno dei tanti sistemi pubblicitari che uso per farmi conoscere: il passaparola. Tecnicamente inefficace come un flight della uind che passa alle tre del mattino su sky con l'iva al venti, durante un cartone animato. Ma comunque uno strumento di comunicazione estremamente "cheap". Sta di fatto che nel mezzo della confusione del ristorante, io vedevo che il mio amico muoveva la bocca e, forse, spiegava al Gae (si chiama così) sta cosa del blog, forse. Ora è vero che la senilità si sta portando via la mia bella testa, quel poco di vista rimasta, e anche l'udito. Ma onestamente c'è da riconoscere che in buona parte dei nostri ristoranti il livello del rumore ha soglie, che in altri paesi farebbero chiudere il locale. Tutto nasce credo dai televisori che spesso si trovano nei locali "normali".
Il televisore è acceso quando si siede il primo tavolo, questi per farsi sentire parlano ad alta voce ma non troppo alta. Il cameriere che sta al bar e che non sente allora alza il volume, e il tavolo alza la voce. Poi arriva il secondo tavolo che se sono più di quattro allora devono urlare per farsi sentire tra di loro. Se loro urlano il cameriere alza la tv e il primo tavolo alza la voce. Il secondo tavolo che già non si sentiva prima, ora comincia ad urlare di più. Quando il volume del televisore è arrivato a fine corsa, entra il terzo tavolo, poi il quarto ... In pratica quando arrivo io c'è una tale caciara che seduto insieme agli amici è come se cenassi da solo.
Comunque mentre il mio amico muoveva la bocca, il Gae annuiva meravigliato, guardandomi ogni tanto. Io a quegli sguardi facevo una faccia di circostanza, qualcosa di neutro che potesse andare bene per tutto. Perché se per caso non gli raccontava del blog ma gli stava dicendo, che so, che la settimana prima avevo avuto l'influenza intestinale, cosa che era effettivamente accaduta, non era bello farsi vedere soddisfatti e compiaciuti per una cagarella. Quindi cercavo di rimanere piuttosto generalista. Ma quando lui ad un certo punto mi ha chiesto se sapevo fare i risotti allora ho capito che parlavano di blog. O meglio, ho avuto anche un'attimo di incertezza e di dubbio, che mia nonna diceva sempre che il riso "rinfresca e strigne" ma, tanto valeva ormai buttarsi. Io ho il risotto che scorre nelle vene.
Mi ha chiesto quindi qualcosa del blog, e io che delle domande capivo una metà scarsa, ho dato indicazioni generali e senza scendere in particolari. Ho finito la pizza di cui non ho sentito il sapore, perché con il rumore io i sapori non li sento, abbiam pagato e siamo usciti.
Fuori nel parcheggio prima di salutarci, li ho invitatìi a pranzo da noi. Poi ho buttato lì cinque domande, che sembravano casuali, ma che mi servivano a ricostruire i pezzi mancanti della discussione. Il Gae è nato nella bassa Lombarda, ma è vissuto sempre in Valtellina (Sertoli e Salis, Corte della Meridiana), adora i risotti che non sono piatti ne Umbri e poco Marchigiani (Risotto ai porcini), la famiglia ha qualcosa a che fare con la Val d'Intelvi (costine brasate con la polenta). Diciamo che mentre me ne tornavo verso casa mi mancava solo l'antipasto. Ma se inviti a pranzo uno della Valtellina che gli fai d'antipasto ? E certo, bravi ! Ma mica quella che trovi al supermercato. Ho chiamato la "maestra" (non ti arrabbiare ;)) e gli ho chiesto una ricetta, ne ho preso le linee generali, sulla falsa riga del mio carattere, che faccio sempre come me pare, e ho fatto la mia:

Bresaola e finnocchi con emulsione di arancio, taggiasche e pomodorini secchi



per la bresaola
Ho preso un filetto di manzo di un paio di chili abbondanti. L'ho rifilato lasciandone il nodino centrale e riducendolo ad un chilo e mezzo circa. Ho insaporito 250 gr di "sel de guérande" con tutti gli odori che ho trovato in giardino (salvia, rosmarino, timo serpillo, finocchio, timo limone, alloro, santoreggia), pepe macinato e in grani e macis. Ho messo metà del sale in un contenitore da plumecake vi ho adagiato il filetto e ricoperto con il resto del sale. Ho lasciato al freddo della cantina per trentasei ore. Dopo un giorno e mezzo, ho tolto la bresaola dal sale, l'ho lavata con un litro di verdicchio., l'ho asciugata, chiusa in carta paglia, legata e rimessa in cantina fredda, per due settimane.

per l'emulsione
una decina di olive taggiasche snocciolate, due pomodirini seccati in forno (un confit lungo), che ho tritati finemente, aggiunto il succo di un arancio e olio evo buono a piacere.

Ho servito con un paio di finocchi fatti a fette sottili come base, salati con un sale himalayano affumicato, e conditi con l'umulsione. Aggiunta la bresaola e insporita con olio evo, guarnito con polvere di buccia d'arancia seccata al micronde.



Oh ... gli è piaciuta. La colonna sonora non poteva che essere questa

04 dicembre 2008

Piacere Loste ...

Buonasera chi sta cercando ?

La signora mi ferma lungo le scale, mentre io rientro dal buttare i rifiuti, e lei esce con il suo cane. E’ la mia vicina la riconosco anche se lei non mi ha mai incrociato in un anno che vivo qui. Lo ammetto, so che è la mia dirimpettaia perché qualche sera ho osservato dallo spioncino del portone, quale fosse la causa della caciara che si sente. Una sorta di abbaio di cane, misto a grida di donna. Quando la signora, che mi sta di fronte, porta il cane fuori, questo si eccita e comincia a saltare e ad abbaiare. In questo caso io guadagnerei l’uscita volando lungo l’unica rampa di scale e uscendo dal palazzo. Invece no, la signora se la prende comoda e pretende prima di scendere le scale di zittire il cane, mentre quello continua ad abbaiare e saltarle intorno.

Cerca qualcuno?
Il tono della voce è un po’ spaventato. In effetti non devo avere un aspetto rassicurante, ma sono andato a buttare la mondezza alle nove di sera. Ci sta che uno sia vestito “da casa” no? Un paio di scarpe da trekking vecchie le quali ad ogni passo emettono un sinistro cigolio dalla suola. Una vecchia tuta ginnica, che mi ripeto di lavare da almeno un paio di settimane, con il cappuccio sollevato per il freddo, un gilè di gore-tex vecchissimo da cui non riesco a separarmi, la barba lunga ché me la faccio domani. Il cellulare e le chiavi nella mano destra che adesso, con la luce delle scale che si è spenta, forse sembrano tutto tranne che un cellulare e un mazzo di chiavi.

Signora sono il suo vicino ! Buonasera !
Il saluto lo grido all’ombra che correndo risale le scale e urla a qualcuno di venirla a salvare. Il cane è rimasto due gradini sopra di me ad abbaiarmi addosso. Credo che mi abbia riconosciuto, quando li osservavo dallo spioncino lui abbaiava, sempre, verso la mia porta. Penso che adesso chiameranno la polizia e che questa procederà ad accertamenti. Entreranno in casa, perquisiranno le stanze, urca le mutande e i calzini da lavare, sequestreranno il pc. Faccio mente locale di cosa possano trovare: siti porno, no; immagini hard, no; ci sono le foto di Spaccaball, prima di dimostrare che sia mio figlio potrei anche passare per un pedofilo. Ci sono mail con amici Svizzeri, ma prima di dimostrarne l’assoluta innocenza, potrei passare per un evasore. Ho i bilanci di un paio di società e quelli di tutti i loro competitors europei, potrei passare per una spia industriale. Ora che ci penso nella dispensa ho tre sacchetti di pepe di Sichuan riportato dalla Cina. Addio, uno spacciatore, un manager di giorno un pusher di notte.
Magari scappo, mi nascondo e rientro a casa domani mattina. Intanto un calcio a questo cane potrei anche mollarlo.

Sento che la signora, in mezzo a quelli che mi sembrano singhiozzi, sta spiegando a qualcuno che sulle scale c’è un terrorista, uno stupratore, un rapinatore, un bruto… Brutto ?! O bruto ?! Mah.
Qualcuno accende la luce delle scale, io sono sempre lì davanti al cane che non ha mai smesso di abbaiare, ma mi sono tolto il cappuccio. Si affaccia un signore con fare circospetto, riconosco il marito della signora, che saluto con un sorriso imbarazzato. Lui ha un espressione di sollievo e di meraviglia, ci incrociamo spesso per le scale e ogni tanto ci scambiamo i soliti commenti tra vicini: il tempo, il lavoro, come va?
Guarda il cane che continua ad abbaiare e gli molla un calcio che gli fa risalire tre gradini e lo spedisce fuori della mia vista. Mi tende la mano e mi saluta. Spiego che ero andato a buttare i rifiuti, e che forse ho spaventato la signora. La quale, in mezzo al pianerottolo, ora frena i singhiozzi e si profonde in scuse imbarazzatissime. Ci stringiamo la mano e ci presentiamo, il gesto ri-eccita il cane che si rimette ad abbaiare. Stavolta il calcio glielo molla lei. Un destro perfetto di collo pieno, sul sedere. Il cane ha una leggera parabola ad effetto, dall’alto verso il basso, mentre supera lo zerbino e si infila nella porta aperta. Un cucchiaio da manuale, alla Totti, che meriterebbe un giro di pianerottolo con il pollice in bocca, mentre io e il marito facciamo la ola davanti alla porta dell'ascensore. Ma non è il caso, l'imbarazzo persiste, allora saluto e rientro nel mio appartamento.
Chiudo e resto ad ascoltare. A luci spente sollevo il coperchio dello spioncino e guardo. La signora tenta di trascinare il cane al guinzaglio, fuori dell'appartamento. Questo non vuole saperne di uscire di casa, a fare pipì, te credo ! Mentre strozza la povera bestia, parla con il marito, o meglio bisbiglia. Il marito gesticola palesemente un " ... e che caz.. ma sei rinco...." la rimprovera sottovoce. Lei tenta una scusa, il cane nel frattempo sembra cianotico, sdraiato a terra emette un sibilo sfiatato. Ma riesco a sentire il bisbiglio di lei che dice “… ma come facevo a sapere che fosse lui. Non si vede mai, è sempre chiuso in casa!”

E pensare che sono anche su youtube !






01 dicembre 2008

Rimediare un rimedio

Il dolore che prima era forte, ora è insopportabile. Grossi lacrimoni mi scendono lungo le guance e vanno a bagnare i pantaloni del pigiama. Il caldo del camino, di fronte al quale sono seduto, ha peggiorato le cose. Le mani sono rosse e gonfie e mi dolgono talmente tanto, che non so più come metterle. Non riesco a far pena a nessuno, nessuno mi consola, mi hanno rinfilato il pigiama e mi hanno messo qui. Forse ho tirato troppo la corda.

Ho iniziato a piagnucolare verso le sette, appena sveglio. Giusto il tempo di accorgermi che fuori: l'orto, la strada, il giardino tutto era diventato bianco. I suoni ovattati, il fruscio della neve che cade. Ho iniziato una cantilena monotona e fastidiosa "voglio andare fuori, voglio andare fuori..." Mi hanno tenuto in casa con varie scuse, la colazione: lenta, la ricerca di vestiti adatti: introvabili, l'attesa che sbucasse un filo di sole: improbabile. Fuori è continuato a nevicare. Fiocchi piccoli e ghiacciati, che a volte folate di tramontana fanno scendere quasi orizzontali. Le stesse folate hanno creato delle onde che si formano quando il vento trova qualche ostacolo: muri, recinzioni, alberi. Rafne.
Alla fine hanno desistito anche loro: mia madre e mia zia, hanno abbandonato ogni tentativo di tenermi in casa e hanno iniziato a vestirmi. Un secondo paio di calzettoni color panna di lana spessa, che mia nonna ha fatto a mano, e in cui sono stati infilati con cura i pantaloni di velluto a coste grandi. Maglia, maglione e cappotto. Un ridicolo cappello stile coppola ma con i paraorecchie di lana, che nessuno oserebbe indossare, a meno fuori non nevichi. I guanti, anch'essi di lana, sono stati raddoppiati con un paio di guanti rosa di gomma che mia zia usa per lavare i piatti. Il tutto mi ha fatto sembrare abbastanza ridicolo, considerati anche gli stivali di gomma verde. Nessuno dei due miei fratelli mi ha seguito, hanno preferito restarsene in casa, i visi affacciati in due oblò ricavati dalla condensa dei vetri.

Di fuori il freddo ha morso subito in faccia, ma non ho desistito, nello spazio tra casa e orto, sotto lo sguardo del poco pubblico osservante, ho fatto finta di divertirmi. Ho tirato palle di neve ad un invisibile nemico. Ho corso sulla distesa immacolata di neve, lasciando il segno del mio passaggio. Ho abbozzato un pupazzo senza che le sembianze apparissero. Ho sentito il loro sguardo su di me, qualcosa del tipo: vediamo quanto resiste. C'ho provato, ho cercato di resistere più che potevo, nonostante la neve ghiacciata infilatasi negli stivali. Nonostante la neve ghiacciata infilatasi nei guanti. Ho resistito fino al primo richiamo di mia madre poi sono tornato in casa. Quando mi hanno spogliato ho cominciato a sentire quel dolore alle mani, come se migliaia di spilli mi si fossero infilati sulla punta delle dita, sotto le unghie. Il caldo del camino poi ha peggiorato le cose e ora ai lacrimoni, si sono sostituiti singhiozzi che mi scuotono le spalle. Ho incrociato sguardi di commiserazione, sguardi del tipo: ti sta bene. Ho nascosto il viso in quelle mani, vergognadomi di quel dolore che mi fa sembrare più piccolo dei miei fratelli.

Poi ho sentito la sua mano, una carezza leggera. Mi ha preso per un braccio attenta a non toccarmi le mani, mi ha trascinato in cucina. Mi ha portato verso il lavandino e mi ha messo le mani in una bacinella d'acqua tiepida. Il sollievo mi ha fatto ritornare il respiro, con il palmo di una mano ha asciugato le tracce dei lacrimoni sulla guancia. Mi guardato, e poi è tornata a trafficare alle mie spalle, intorno ai fornelli. Piano, piano, ho ricominciato a muovere le dita, a stringerle a pugno. Nel lavandino la bacinella dove immergo le mani, di fianco un'altra bacinella, dove galleggiano ceci ammollati e sotto un pezzo enorme di stoccafisso. I segni di questa vigilia sono tutti qui: i ceci, lo stoccafisso e le mie mani gelate.

Non credo che mia nonna avrebbe apprezzato una reinterpretazione di questo piatto, la vigilia è stata sempre zuppa di ceci e baccalà al forno. Metterli insieme ? Metterli insieme in:

Caramelle di baccalà con crema di ceci e ristretto di guancia



Per le caramelle:
se non volete utilizzare (e bagnare) uno stoccafisso, rimediate del baccalà. Ne servono circa 400 gr. per preparare diverse caramelle. Io l'ho cotto in forno con olio evo e aglio per una trentina di minuti a 140°. Poi ho portato a bollore un litro di latte, fatto a pezzi il baccalà e lasciato sobbollire per una quarantina di minuti. Scolatelo, spinatelo e poi passatelo al mixer, condite con sale se serve e mantecate con olio buono. Preparate la sfoglia e poi preparate le caramelle.

Per la crema di ceci
Ammollate 250 grammi di ceci per un giorno intero, cambiate l'acqua dopo dodici ore. Preparate un soffritto di olio evo, aglio e rosmarino, soffriggeteci i ceci e poi aggiungete l'acqua di ammollo. Salate e lasciate sobbollire finché non risulteranno cotti, un paio d'ore, ma qui il tempo dipende... Una volta cotti passateli al passaverdura allungate con il brodo fino ad ottenere una consistenza cremosa, correggete di sale e pepe.

Per il fondo
in una pentola versate un po' di olio e fate soffriggere una carota e uno scalogno a pezzi abbastanza grandi. Aggiungete la guancia tagliata a pezzetti, qualche punta di rosmarino, un cucchiaino di concentrato e lasciate rosolare bene, sfumate con del vino bianco e lasciate evaporare. Aggiungete dell'acqua e lasciate sobbollire per un tre ore. Filtrate il fondo, freddate e sgrassate. Riportate a bollore lasciandolo ridurre ad un terzo.

Lessate le caramelle, scolatele al dente e saltate in una padella con un cucchiaio di fondo, servite con la salsa di ceci e ancora fondo, guarnite con del rosmarino fritto.



Il fondo di guancia non è ammesso nella tradizione della vigilia... ma fate un po' voi.