Ventosamente
Quando scivola sopra il lago di Como è poco più di una brezza. Breva, la chiamano i laghée, che pestano la terra delle rive. Gonfia qualche vela, sussurra tra le fronde degli alberi, in estate è un piacere sentirselo sul viso, a rinfrescare il caldo che sa ancora di pianura padana. Da li , va’ verso Chiavenna con un “passo” che sembra stanco. Vola alto per i paesi che gli stanno sotto: Colico lo sente appena passare. Poi quando più avanti sbatte in faccia al Pizzo Stella, allora gira a destra per la val Bregaglia. Si mischia con i venti dei monti, e chiamarlo Breva oramai è un'offesa. Quelli del posto non si curano neanche del suo passaggio, tanto sono abituati a sentirselo soffiare sopra le teste. Ma, quella valle è stretta: il piz Duan a sinistra, il Badile a destra alto e incombente e il Maloja di fronte che chiude il passaggio. E allora si stringe dentro a quella valle, aumenta la velocità, carica la spinta comprime i polmoni e soffia. Soffia quando entra a Maloja. Soffia e strappa i cappelli ai tedeschi affacciati sopra la terrazza del passo. Soffia dentro la valle dell’alta Engadina. Soffia quando corre sullo specchio del lago di Segl. Soffia negli aquiloni dei kite surfer che tagliano veloci l’acqua. Soffia quando passa sull’istmo tra i due laghi e scappa via, verso Silvaplana, Celerina, e poi giù a perdersi verso Zuoz.
Fu lì sulla riva di quell’istmo che separa i due laghi che una mattina d’estate incontrai quel vento forsennato e "cattivo". Tirava, su un aquilone a due fili, che a stento governavo, nel breve spazio del campo riservato a quel volo. Mentre cercavo di portarlo sulla verticale, una spinta più forte delle altre, e che magari aveva già avuto di che discutere con qualche fronda d’albero di troppo, prese il mio aquilone e, a fili tesi come due cavi d’acciaio, lo porto basso sul prato a rasare l’erba, spostandolo a velocità folle dall’angolo destro, verso il centro del vento. Matteo aveva due anni, un ciuffo di capelli scarmigliati, due occhi azzurri come il lago alle sue spalle, un carattere già deciso e definito, anche se, nessuno sapeva ancora che sarebbe diventato "Spaccaball". Un ciuccio più grande della sua bocca spuntava come un fiore di plastica sul viso paffuto e roseo. Con un passo trotterellante e incerto attraversava il prato tra me e l’aquilone. Quando il primo filo lo agganciò, per istinto tirai verso di me, l'aquilone si impenno in una verticale incredibile, con Matteo appeso. Lo vidi alzarsi da terra volando piano e leggero. Sembrava che un motore invisibile lo spingesse in un improbabile decollo verticale: le braccia larghe la piccola schiena arcata in un movimento pieno di equilibrio e di silenzio. Silenzio ! Ricordo un silenzio strano, mentre mio figlio preso dai fili dell’aquilone, era ancora in un volo che a me sembrava altissimo e infinito. Ricordo che pensai che se non si fosse staccato, e se mi fosse sfuggito di mano, avrei dovuto inseguire l’aquilone per tutta l’ Engadina. Come quei bimbi che rincorrono i palloncini scappati di mano, con lo sguardo al cielo, sordi a richiami dei genitori. Cadde seduto sul prato, dopo un tempo impossibile. Tornarono i rumori: il vento, il lago, le grida, la gente guardava, mia moglie correva, Leonardo rideva. “Pampino sempvre dietro akvilone.” Disse un signore tedesco sbucato dal nulla che mi stava passando accanto. Matteo si alzò, tranquillo e senza pianto. Mi venne incontro. “Matti hai volato. Sei contento?” gli disse il fratello. “Ma tii !” rispose Matteo, con il naso in su a guardarmi. Un segno rosso bluastro gli tagliava il viso dal basso in alto, da sinistra a destra. Passando sopra il ciuccio, che aveva consentito l’aggancio ai fili. Ciuccio che Matteo si era guardato bene dal lasciar cadere, figurati!. Cominciai a raccogliere i fili e a piegare l’aquilone. Lo sguardo basso ad evitare quello di Lella, che immaginavo. La sentivo dire qualcosa circa il fatto che di figli lei ne aveva tre e non due. A conti fatti visto che Matteo e Leonardo mi correvano intorno, dietro lo svolazzare frenato della tela, il terzo non potevo essere che io.
Ricordo che quella fu una delle ultime giornate che passammo in Svizzera da residenti. Ricordo che per galleggiare nel mare di pensieri, avevo comperato quell'aquilone a doppio filo, due metri quadrati di tela che sollevavano anche me.
Ricordo anche che per alleggerire la tensione, poi proposi di andare a pranzo in un rifugio sulla riva opposta del lago. Ricordo che Leo saltava dalla gioia, mangiare gli ha sempre fatto questo effetto. Ricordo l'amenità del luogo: una piccola casa sulla riva del lago, un prato di un verde accecante. Ricordo che noi mangiammo uno strudel e un caffè, ma Leo no, nonostante fossero le undici del mattino, lui no, lui andò di polenta o meglio andò di:
Polenta con le costine
Per come si prepara una polenta potete curiosare in un mio vecchio post. Tenendo conto che per questa preparazione ho fatto una polenta molto più consistente di quanto non avvenga di solito nelle Marche, qualcosa di simile alle belle polente del settentrione italiano. Per il sugo invece e per 4 persone ho usato questi ingredienti:
400 gr di lonza di maiale fresca, 200gr di pancetta di maiale fresca, 16 pezzi di costine (o costarelle) tagliate ad una lunghezza di circa 6-7 cm. Tagliate lonza e pancetta a tocchetti. In una casseruola adatta anche al forno fate dorare uno spicchio d'aglio con rosmarino, salvia. Aggiungete la carne e rosolatela per una ventina di di minuti sfumate con del vino bianco e della grappa, salate, pepate. Coprite con carta alluminio e infornate a 180° per 40 minuti. Visto che li avevo ho aggiunto anche tre bei porcini, tagliati a fettine sottili e saltati in padella a fuoco vivo in poco olio evo.
E' chiaro che questo piatto risale a qualche giorno fa :(
I venti lariani
Fu lì sulla riva di quell’istmo che separa i due laghi che una mattina d’estate incontrai quel vento forsennato e "cattivo". Tirava, su un aquilone a due fili, che a stento governavo, nel breve spazio del campo riservato a quel volo. Mentre cercavo di portarlo sulla verticale, una spinta più forte delle altre, e che magari aveva già avuto di che discutere con qualche fronda d’albero di troppo, prese il mio aquilone e, a fili tesi come due cavi d’acciaio, lo porto basso sul prato a rasare l’erba, spostandolo a velocità folle dall’angolo destro, verso il centro del vento. Matteo aveva due anni, un ciuffo di capelli scarmigliati, due occhi azzurri come il lago alle sue spalle, un carattere già deciso e definito, anche se, nessuno sapeva ancora che sarebbe diventato "Spaccaball". Un ciuccio più grande della sua bocca spuntava come un fiore di plastica sul viso paffuto e roseo. Con un passo trotterellante e incerto attraversava il prato tra me e l’aquilone. Quando il primo filo lo agganciò, per istinto tirai verso di me, l'aquilone si impenno in una verticale incredibile, con Matteo appeso. Lo vidi alzarsi da terra volando piano e leggero. Sembrava che un motore invisibile lo spingesse in un improbabile decollo verticale: le braccia larghe la piccola schiena arcata in un movimento pieno di equilibrio e di silenzio. Silenzio ! Ricordo un silenzio strano, mentre mio figlio preso dai fili dell’aquilone, era ancora in un volo che a me sembrava altissimo e infinito. Ricordo che pensai che se non si fosse staccato, e se mi fosse sfuggito di mano, avrei dovuto inseguire l’aquilone per tutta l’ Engadina. Come quei bimbi che rincorrono i palloncini scappati di mano, con lo sguardo al cielo, sordi a richiami dei genitori. Cadde seduto sul prato, dopo un tempo impossibile. Tornarono i rumori: il vento, il lago, le grida, la gente guardava, mia moglie correva, Leonardo rideva. “Pampino sempvre dietro akvilone.” Disse un signore tedesco sbucato dal nulla che mi stava passando accanto. Matteo si alzò, tranquillo e senza pianto. Mi venne incontro. “Matti hai volato. Sei contento?” gli disse il fratello. “Ma tii !” rispose Matteo, con il naso in su a guardarmi. Un segno rosso bluastro gli tagliava il viso dal basso in alto, da sinistra a destra. Passando sopra il ciuccio, che aveva consentito l’aggancio ai fili. Ciuccio che Matteo si era guardato bene dal lasciar cadere, figurati!. Cominciai a raccogliere i fili e a piegare l’aquilone. Lo sguardo basso ad evitare quello di Lella, che immaginavo. La sentivo dire qualcosa circa il fatto che di figli lei ne aveva tre e non due. A conti fatti visto che Matteo e Leonardo mi correvano intorno, dietro lo svolazzare frenato della tela, il terzo non potevo essere che io.
Ricordo che quella fu una delle ultime giornate che passammo in Svizzera da residenti. Ricordo che per galleggiare nel mare di pensieri, avevo comperato quell'aquilone a doppio filo, due metri quadrati di tela che sollevavano anche me.
Ricordo anche che per alleggerire la tensione, poi proposi di andare a pranzo in un rifugio sulla riva opposta del lago. Ricordo che Leo saltava dalla gioia, mangiare gli ha sempre fatto questo effetto. Ricordo l'amenità del luogo: una piccola casa sulla riva del lago, un prato di un verde accecante. Ricordo che noi mangiammo uno strudel e un caffè, ma Leo no, nonostante fossero le undici del mattino, lui no, lui andò di polenta o meglio andò di:
Polenta con le costine
Per come si prepara una polenta potete curiosare in un mio vecchio post. Tenendo conto che per questa preparazione ho fatto una polenta molto più consistente di quanto non avvenga di solito nelle Marche, qualcosa di simile alle belle polente del settentrione italiano. Per il sugo invece e per 4 persone ho usato questi ingredienti:
400 gr di lonza di maiale fresca, 200gr di pancetta di maiale fresca, 16 pezzi di costine (o costarelle) tagliate ad una lunghezza di circa 6-7 cm. Tagliate lonza e pancetta a tocchetti. In una casseruola adatta anche al forno fate dorare uno spicchio d'aglio con rosmarino, salvia. Aggiungete la carne e rosolatela per una ventina di di minuti sfumate con del vino bianco e della grappa, salate, pepate. Coprite con carta alluminio e infornate a 180° per 40 minuti. Visto che li avevo ho aggiunto anche tre bei porcini, tagliati a fettine sottili e saltati in padella a fuoco vivo in poco olio evo.
E' chiaro che questo piatto risale a qualche giorno fa :(
I venti lariani
15 commenti:
bello riuscire a governare l'aquilone, sfidando il vento. Ma ci vogliono spalle larghe e piedi ben piantati a terra. tutta roba che io non ho mai avuto.
L'espressione di lella mi ha ricordato un'altra scena, con un'espressione simile, che non era la mia, forse un giorno ne parlerò, chissà.
piesse
sono andata avanti, perchè io sono una pratica, domani ti aggiorno, poi deciderai.
quante emozioni mi hai suscitato con questo post...
la musica di Van de Sfroos, per colpa di quella Breva...
una delle mie prime vacanze all'estero da bambina con i miei, proprio al Maloja, Sils, Silvaplana, Zuoz...
e, sempre lì, la mia prima vacanza, tre giorni tirati tirati, con quello che oggi è il mio fidanzato...
@Fiordisale: chissà che ricordi son riuscito a risvegliare.
@Marzia: mi fa piacere questa comunione di ricordi legata ad un luogo, questa casualità mi ha sempre fatto sentire vicino alle persone, come se le conoscessi da sempre.
Loste
In settembre portali qua i due piccoli aquilonisti !
C'è la festa degli aquiloni e non si sa mai che si possa bere un bicchiere in compagnia.
(ma prima sarebbe anche meglio !)
@mQ: la conosco quella festa con quello spettacolare aquilone da 3 km, si prima sarebbe meglio, appena la primavera si affaccia vengo a fare una passeggiata e organizziamo una birra.
Loste
Io ragass no tiengo tiempo, no lo tiengo....
però vi saluto
nic
@Hei Nic grande Capo: lo immaginiamo che tieni poco tempo, no te preocupe, ti salutiamo anche noi, e facci sapere quando dobbiamo brindare ;)
Un abrazo
ciao marco, sei stato nominato!Quando puoi passa a ritirare il premio :-P
e già che ci sei, passa a pigliare pure il mio, magari prima fa spazio sulla mensola, mi sa che mica ci staranno tutti.
fiordisale
saran mica troppi tutti sti premi? veramente la prima ero stata io, neh, solo che mi ero dimenticata di comunicartelo, ma mi sa che l'hai visto lo stesso :-)
:) Vi ho viste tutte... e vi ringrazio.
Loste
non c'è tre senza quattro? una nomina anche dalla Filibusta
:o)
A Venezia, quando da San Trovaso esci sulle Zattere, c'è un budello di calle che sempre, immancabilmente, sembra la galleria del vento; io la chiamavo la calle del vento, e sia d'estate che d'inverno in quel punto mi riempivo i polmoni di aria impetuosa e sana.
Così ho imparato ad amare questo elemento dinamico, portatore di vita anche quando sradica gli alberi.
Purtroppo qui lo odiano, quelle poche volte che tira.
Nominato!
Caro Loste il tuo post ha suscitato in me tanti ricordi.
Tu andavi ad aquilonare in quello spiazzo erboso a Silvaplana, davanti al lago e sulla cui opposta sponda si vedeva una sorta di simil castellotto?
Ecco, io lì ho imparato ad aquilonare quando, con il mio ex, andavamo a trovare la sorella che abitava da quelle parti.
Il tuo post è stato una sorta di "madeleine" proustiana, per rimanere in ambito culinario.
Complimenti e un bacino a Matteo, emulo suo malgrado, di una protagonista di un quadro di Chagall (La promenade).
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