16 ottobre 2006

Ma quando è che un vino è buono ?

Un vino è buono quando piace. Banale ma questa, secondo me, è la Regola.
Ma so anche che, purtroppo, non funziona così. E da quando il Donchisciottesco Veronelli ci ha lasciati, siamo sempre meno e più soli a pensarla in questo modo.
Sempre di più il mondo del vino sta subendo "regole" dettate, così dicono, dal mercato e dai consumatori. Il problema di fondo è: chi educa i consumatori del vino? E chi è che fa il mercato?
Perchè sempre più spesso apro bottiglie che sanno di puzza di stalla e cavallo sudato? Perchè, sempre in quelle bottiglie "trovo" legno in quantità industriale e sapore di marmellata a scadenza? Come si può giudicare questo l’apoteosi del vino? Perchè di fronte a queste evidenze, anche nei luoghi deputati a questo (corsi di sommelier), la critica è appena sussurrata? E se di fronte ti trovi un'amante della "puzza di stalla" la critica è giudicata ignoranza, con il rischio di veder vanificato lo sforzo didattico al diploma?
Non provengo da una famiglia di grandi consumatori di vino, ma ricordo che da ragazzo ogni tanto andavamo a prendere il vino dai contadini. L'acquisto era preceduto dalla "dovuta" degustazione (meglio, assaggio), fatta da chi comprava e dal contadino. Un bicchiere era destinato anche al bambino per fortificarne... forse, lo spirito. "Bevi cocco... che è tutto pagato", l'assaggio non costava. Ricordo una volta un commento ad un bicchiere, fatto da un amico di famiglia, stringato, essenziale e purista: "Sincero !"
Ecco, come fare, dunque, per capire se un vino è SINCERO ?
Le strade percorribili sono teoricamente tre.

Acquisire tecnica ed esperienza individuale e decidere di proprio conto. In questo caso bisogna avere pazienza e soldi. Oggettivamente per capire un vino non sono sufficienti tre serate in un’enoteca a bere dieci vini a sera e a cercare di ricordarsi 5 o 6 frasi d’effetto. Per far da soli bisogna sapere di: storia, di viticoltura, di enologia, di tecnica di degustazione, delle tecniche di conservazione e di servizio, di legislazione, di enografia e alla fine di abbinamento cibo/vino. I tre corsi dell’AIS che alla fine qualificano sommelier danno delle discrete basi a quanto sopra. Ma servono tre anni e mal contati un paio di mila euro.

Affidarsi alle guide. Bisognerebbe esser sicuri di non cadere nell’ammasso celebrale di “gocciolante alcool e trasudante frutto”. Solo per dare un’idea ho preso le tre “top-guide” 2007 per i vini italiani: “I vini di Veronelli” (dichiaro sin da ora che questa è la mia guida), “Il gambero rosso” e “Duemilavini”. Ho considerato le Marche intesa come regione, solo perché sono la mia terra, nessuna velleità protagonista rispetto alle grandi regioni vinicole italiane.
Cosa ho scoperto? Questo.
Le tre guide mettono al loro massimo punteggio (trestelle, trebicchieri, cinquegrappoli) 46 differenti vini marchigiani.
Considerato che se un vino è buono, lo dovrebbe essere fondamentalmente per tutti, almeno per gli esperti degustatori delle guide, mi aspettavo una concordanza su una buona parte, diciamo la metà, dei vini analizzati. Invece no!
Di tutti i vini analizzati solo per il 2% (UN VINO), tutte e tre le guide concordano: Kurni Marche Rosso 2004, Oasi degli Angeli. Non esprimo giudizi per ora, lo conosco, l’ho letto, l’ho bevuto o lo riberrò per capire. Promesso.
Per un altro 13% (6 VINI), solo due guide su tre concordano nel massimo punteggio.
Per gli altri 39 VINI e cioè per l’85% (ottantacinquepercento micacazzi), ognuno la pensa in maniera completamente diversa e autonoma.
Potremmo quasi asserire che in teoria anche il vino di Ciccio di San Gianni potrebbe prendere un discreto punteggio, non fosse per quel vago retrogusto di bisolfito che ti resta, più nello stomaco che nella bocca, trasformandosi in mal di testa. Scherzo !
Ma dico sul serio che quando tre grandi guide concordano solo su 1 vino su 46 in una regione, poco complessa, come le Marche c’è qualcosa che non torna. Non penso male anche se a farlo ci si sbaglia raramente. Ma mi chiedo: a chi dar retta se voglio bere un vino buono?
L'ultimo metodo è semplice: hai un amico di cui ti fidi, e che un pochino capisce di vino? Trasformalo in una guida, io stesso lo sono. Non sarò un "pozzo di scienza", ma quando un amico mi chiede un consiglio, lo do basandomi sulla mia esperienza, e soprattutto sul quel senso, che qualcosa di effimero, come l’arte, la musica, il cibo e il vino, deve dare, quel senso di … PIACERE e di SINCERITA'

1 commento:

Anonimo ha detto...

Dopo una impeccabile analisi come questa, resto dell'idea che: "il retrogusto di tabacco del kentuchi (forse scritto male), l'odore di erba falciata, ecc. ecc." sono spesso stronzate colpa dello spacciatore sbagliato (scherzo). Ma Io sono un fortunato che appartiene all'ultima categoria dell'analisi.