Il tempo per le cose
Quando scoprimmo, che ce ne dovevamo andare dalla Svizzera, la notizia ci lasciò l'amaro in bocca, di più: ci fece male. Avevamo trovato un equilibrio con quella terra adottiva che ci piaceva, che ci faceva star bene. Al senso di tristezza si aggiunse, subito, il senso della "mancanza". Ci mancavano le cose che non avevamo viste, ci mancavano le cose che poi ci sarebbero mancate, ci mancavano le cose che non avremmo mai conosciuto.
Così, accantonata la rabbia, cominciammo a girare a visitare posti nuovi, a ubriacarci di scoperte: valli, montagne, ristoranti, paesi, città. Viaggiavamo nei fine settimana accompagnati dalla colonna sonora di Davide Van de Sfroos, mia passione e dell'allora piccolo Leo. Fu così che "Pulenta e galena fregia" suonava sulle curve del Furka. Mentre "Breva e Tivan" ci accompagnò, immancabilmente, lungo il Lario, da Menaggio verso su: Dongo, Chiavenna e il Maloja. Terre di laghee, dove l'acqua del Lario e del Ceresio, unisce aldilà dei confini. Unisce in una lingua che bisogna esser bravi a percepirne le sfumature, per non definirla sempre uguale. Unisce in genti nate intorno a quelle rive, con in comune storie di emigrazione e di ritorni. Unisce in un passato fatto di "briccole", spalloni e finanzieri, a rincorrersi su per la val d'Intelvi. Unisce nel cibo a volte stranamente uguale, a volte profondamente diverso, che mangi a distanza di pochi chilometri.
Così, accantonata la rabbia, cominciammo a girare a visitare posti nuovi, a ubriacarci di scoperte: valli, montagne, ristoranti, paesi, città. Viaggiavamo nei fine settimana accompagnati dalla colonna sonora di Davide Van de Sfroos, mia passione e dell'allora piccolo Leo. Fu così che "Pulenta e galena fregia" suonava sulle curve del Furka. Mentre "Breva e Tivan" ci accompagnò, immancabilmente, lungo il Lario, da Menaggio verso su: Dongo, Chiavenna e il Maloja. Terre di laghee, dove l'acqua del Lario e del Ceresio, unisce aldilà dei confini. Unisce in una lingua che bisogna esser bravi a percepirne le sfumature, per non definirla sempre uguale. Unisce in genti nate intorno a quelle rive, con in comune storie di emigrazione e di ritorni. Unisce in un passato fatto di "briccole", spalloni e finanzieri, a rincorrersi su per la val d'Intelvi. Unisce nel cibo a volte stranamente uguale, a volte profondamente diverso, che mangi a distanza di pochi chilometri.
Ed è proprio di un piatto che mi è rimasto il ricordo di quei giorni. Eravamo, oramai, alla fine dell'estate, gli ultimi giorni di vacanza, poi il rientro, e poi la partenza definitiva. Camminammo tutta la mattina lungo le rive di un'altro lago, che sta più in alto tra Maloja e Celerina. Finimmo in un locale, piccolo e carino, abbarbicato sulla riva opposta a quella della cantonale. Una via di mezzo tra il rifugio di montagna e il ristorante, dove una simpatica signora, che parlava in Romancio-ladino, voleva che provassimo ad ogni costo il suo capriolo.
Avevo lo stomaco chiuso e nessuna voglia di mangiare. I pensieri persi a quello che sarebbe stato, al futuro pieno di dubbi. Non era così per Leo che si gustò il piatto e raccolse il sugo "inzuppando" fette di polenta con fare certosino.
"Almeno il dolce" ci disse la signora in quel "Putér" che solo lì si parla. E credendoci Ticinesi ci propose la sua "Torta di pane". E mentre io mi chiedevo perché una torta di pane fosse arrivata fin lassù, mi misi a correre dietro al piccolo "spaccaball", un paio di mesi più di un anno, che trotterellando sul prato, era arrivato fino alla riva del lago.
La torta di pane, un dolce della povertà fatta con pane raffermo, ci venne servita con una salsa di crema alla vaniglia (troppa forse), leggermente tiepida e dolce.
Mi è rimasto un ricordo limpido di quella giornata e di quel dolce, ricordo, che con il tempo ho associato ai momenti particolari della mia vita. E visto che questo è un'altro particolare momento, ecco:
La torta di pane
In un contenitore capiente ammollate 250 gr di mollica di pane raffermo con 2 tazze di latte abbondanti, lasciate riposare in frigo per una mezz'ora, il pane deve diventare una "pappa" abbastanza densa. Aggiungete: 80 gr di cioccolato in polvere amaro, 50 gr di burro fuso, una manciata o due di uva passita e ammollata in mezzo bicchiere di rum, 50 gr di pinoli e, a piacere, 50 gr di canditi (arancio e cedro). Amalgamate bene. A parte montate 2 uova intere con 100 gr di zucchero semolato, incorporate al composto del pane in maniera che le uova non "smontino". Assaggiate il composto e aggiungete eventualmente zucchero o cacao a seconda del grado di dolcezza. Imburrate una tortiera con il bordo rimuovibile, e cospargete il fondo e i bordi di pane grattato. Una volta versato il composto, aggiungete per guarnire ancora dei pinoli, infornate a 180° per 45 minuti e lasciate,poi, raffreddare in forno.
Servite al naturale con una spolverata di zucchero vanigliato, o accompagnando in estate con un gelato allo zabaione, e in inverno con una crema di zabaione calda.
7 commenti:
ero abbastanza in zona nei giorni scorsi... ho gustato anch'io la torta di pane ed ascoltavo Davide Van de Sfroos sulla via del ritorno! però... che traffico, da quelle parti! 5 ore Tirano-Torino (perdonatemi la cacofonia)
eh.. la torta di pane la faceva sempre la mia mamma.. è da un po' che le chiedo di rifarla, ma chissà perché è restia.. però senza cacao, da noi a vicenza si fa senza, e si chiama, a seconda che ti piaccia essere più o meno scurrile torta casalinga o torta putana (con una t sola, certo, in dialetto!)
questa torta mi riporta indietro nel tempo..anche dalle mie parti mia madre mi racconta di un non tanto lontano passato in cui i dolci erano fatti di pane e pochi altri ingredienti che si trovavano in dispensa..la tua è buonissima!!il tuo blog bellissimo!
ciao Marco>>Purtroppo non posso fare un clic sull'immagine del nonno con la sua cesta di pomodori (primizie per il mercato), la mia lenta connessione non me lo permette. Olmi in quelle immagini ha saputo far rivivere la vita dei nostri genitori dei nostri nonni.
La torta di pane era il dolce delle famiglie povere, la tua riccetta abbonda di ingredienti, forse e già abbastanza recente.
In brianza, lo ricordo perfettamente anche se sono passati 50 anni(sic!) aggiungevano anche qualche ago di rosmarino secco.
Mia nonna (classe 1897) era la maestra delle torte di pane.
se vedum.
Sei un grande e hai un grande cuore: felice di conoscerti
La stessa ricetta, senza cioccolato, l'ho trovata (e provata felicemente) su un vecchio libro di un secolo fa, scritto da una locandiera di qua. Com'è piccolo il mondo, in fin dei conti: da una parte e dall'altra delle Alpi, ma ho saputo anche in Sicilia, i nostri nonni avevano imparato ad usare anche il pane raffermo per cose eccezionali, come i canederli.
@Marzia: come è piccolo il mondo è?
@Adina: non sei scurrille quell'aggettivo è sinonimo di "ruffiano" :)
@Elisa: grazie
@Sergiott: è vero la mia ha perso tutta la povertà: è ricca di ingrediente come l'ho conosciuta io. Dalle mi parti non si faceva.
@Corsaro: :) bisogna che ti vengo a trovare, magari a fine ottobre visto che ho un paio di giorni.
@Caro Maurizio, hanno saltato a piè pari il centro Italia, non mi risulta nulla di simile.
Loste
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