A volte le strade
A volte le tradizioni ci si attaccano addosso come spezzoni di vecchie canzoni, che ritornano in mente senza tregua. Le canticchiamo per qualche nota, qualche nota soltanto, perché il resto lo abbiamo dimenticato. E così magari ti ritrovi, a Pasqua, a parlare e a regalare conigli di cioccolato al posto delle uova, perché vivendo in Svizzera non potevi fare altrimenti. Oppure se penso al cibo le mie tradizioni si legano al "cappelletto" perché la Romagna scivola oltre il confine che l'uomo ha disegnato, entra nelle Marche si allarga nel Montefeltro e giocoforza da un colpetto di coda oltre alla collina lì di fronte, e influenza anche qui dove siamo noi.
Quando ero un ragazzino, passavo i miei Natali da mia nonna, quella nonna. Ad ogni vacanza e così anche a Natale, la compagnia del paese si ritrovava a ravvivare l'unica solitaria strada di quel villaggio di ex minatori. Chi risaliva da mare come me, chi arrivava da Monza, i più da Ferrara. Era lì che la chiusura della miniera aveva trasferito buona parte della forza lavoro. I miei compagni di gioco erano, come me, i figli o i nipoti degli ex minatori, che tornavano "a casa".
Di cosa parlavi quando eri ragazzino? Di tutto, di quel mondo che ancora non ti toccava, di calcio, di musica, poco di scuola e qualche volta di cibo. Che mangi a Natale? E' stato lì in quella compagnia che ho sentito parlare per la prima volta di lei della "Salama da sugo Ferrarese". Sugo per me voleva dire pomodoro, condimento di pasta, e non era facile sentirsi raccontare di un salame grosso e rotondo che veniva bollito: non capivo. Facevo domande, e a forza di chiedere appariva anche un cucchiaio che serviva a scavare il salame. Poi faceva capolino il puré, e io cercavo con la logica di incastrare la pasta in tutto questo. Ci rinunciai, avevo tredici o quattordici anni e chiusi lì il mio rapporto con quella tradizione.
Ma a volte le strade riportano, direttamente, o indirettamente, nei luoghi dei misfatti della memoria. Ogni volta che, oggi, per il mio lavoro, passo davanti a Ferrara, cerco nei ricordi i visi di quegli adolescenti. Li vedo riapparire, come la nebbia che il lunedì mattina mi viene incontro in autostrada. I loro sguardi, le loro camminate, la bicicletta che ognuno sfoggiava, le risate di quel tempo. I giochi, i bagni al fiume in estate, le carte da gioco al "club" in inverno. Ripenso a quel gruppo di ragazzini che eravamo, e agli adulti che siamo e che saremo oggi. Mi fermo. Cerco quello che una volta avevo sentito nei racconti, quello strano salame da bollire, tipico piatto, mi raccontavano loro, MarchigianFerraresi, del loro Natale:
Quando ero un ragazzino, passavo i miei Natali da mia nonna, quella nonna. Ad ogni vacanza e così anche a Natale, la compagnia del paese si ritrovava a ravvivare l'unica solitaria strada di quel villaggio di ex minatori. Chi risaliva da mare come me, chi arrivava da Monza, i più da Ferrara. Era lì che la chiusura della miniera aveva trasferito buona parte della forza lavoro. I miei compagni di gioco erano, come me, i figli o i nipoti degli ex minatori, che tornavano "a casa".
Di cosa parlavi quando eri ragazzino? Di tutto, di quel mondo che ancora non ti toccava, di calcio, di musica, poco di scuola e qualche volta di cibo. Che mangi a Natale? E' stato lì in quella compagnia che ho sentito parlare per la prima volta di lei della "Salama da sugo Ferrarese". Sugo per me voleva dire pomodoro, condimento di pasta, e non era facile sentirsi raccontare di un salame grosso e rotondo che veniva bollito: non capivo. Facevo domande, e a forza di chiedere appariva anche un cucchiaio che serviva a scavare il salame. Poi faceva capolino il puré, e io cercavo con la logica di incastrare la pasta in tutto questo. Ci rinunciai, avevo tredici o quattordici anni e chiusi lì il mio rapporto con quella tradizione.
Ma a volte le strade riportano, direttamente, o indirettamente, nei luoghi dei misfatti della memoria. Ogni volta che, oggi, per il mio lavoro, passo davanti a Ferrara, cerco nei ricordi i visi di quegli adolescenti. Li vedo riapparire, come la nebbia che il lunedì mattina mi viene incontro in autostrada. I loro sguardi, le loro camminate, la bicicletta che ognuno sfoggiava, le risate di quel tempo. I giochi, i bagni al fiume in estate, le carte da gioco al "club" in inverno. Ripenso a quel gruppo di ragazzini che eravamo, e agli adulti che siamo e che saremo oggi. Mi fermo. Cerco quello che una volta avevo sentito nei racconti, quello strano salame da bollire, tipico piatto, mi raccontavano loro, MarchigianFerraresi, del loro Natale:
La salama da sugo
Ora il problema primo, è rimediare questo pezzo d'Italia culinaria, di cui per niente sentirete parlare in giro per i programmi di cucina, non saprei che indicarvi una qualunque macelleria nella zona di Ferrara. E poi per cucinarla, bé qui non c'è che da affidarsi al decalogo per la salama, che il buon Antonio Tombolini, ha raccolto in rete.
14 commenti:
non conoscevo questo piatto tradizionale di Ferrara, mi fa proprio gola. Possiamo dire che questa ricetta è una compartecipazione, che è l'idea di base dell'evento. Grazie a tutti e due.
Francesca
Gran bel post. E la salama ferrarese è una gran buona cosa.
Non l'ho mai incontrata 'sta salama, essì che io credevo d'avere una certa confidenza coi colori e tutte le sfumature in essi contenute. Ma tu riesci a scovarne sempre qualcuna nuova. Un giorno assaggerò questa salama ed allora ripenserò a questo post, e mi si allargherà un sorriso dentro.
fiordisale
Però un po' mi manca la vecchia testata, sono come i bambini piccoli, fatico a vedere cambiamenti nelle cose che mi piacciono, però vuoi mettere il piacere del pezzo di strudel che occhieggiava? E mò?
fiordisale
Bellissima ricetta e bellissimo post...ma ormai questo lo sappiamo... però hai davvero centrato lo spirito della raccolta di Francesca, condividere un po' delle nostre tradizioni con gli altri. Questa ricetta e questo racconto sanno di casa, di famiglia riunita e di calore...
@Francesca: diaciamolo, il fatto è che la ricetta della salama da sugo DEVE ESSERE ED E' solo quella.
@Tommaso: vero per la salama e grazie per il post.
@Fiordisale: si impara sempre qualcosa nella vita. Per la testata non tipreoccupare ho tante idee ma niente tempo per realizzarle :)
@Mo: l'obiettivo per me è sempre quello, la nostra cucina (quella Italiana dico) non può essere che legata alla tradizione, se così non fosse subiremmo un appiattimento globalizzante che ci farebbe perdere a confronto di tanti cuochi bravi ma costretti a standard piatti e internazionali. Non dimentichiamo un pizzico di creatività e una spruzzata di inventiva.
Loste
beh, pur se in terra laziale, qui è sempre stata una babele di etnìe. e di ferraresi, romagnoli, rodigini e friulani (oltre che di genti del sud e locali) son piene le città e i borghi. e quindi le tradizioni sono quelle delle terre di origine. non abbiamo una vera e propria cucina locale, ma tante cucine che arrivano dalle terre di origine, dal nord al sud.
qui trovi ancora pane ferrarese, tanto per dire "il coreano", come pure le pagnotte casertane, il pane umbro o di altamura, e così via.
ed io non son da meno, nato qui ma mezzosangue della bassa cremonese (da parte di padre) e romagnolo (da parte di madre, anzi meglio dire dei nonni materni, uno di coriano e l'altra di monte colombo, dove purtroppo mai sono stato).
e quindi avendo vissuto per anni coi nonni romagnoli in casa, i miei Natali erano annunciati dal lavoro dicembrino della sfoglia impastata e stesa a mano, ritagliata col bicchierino, compito affidato a noi bambini sotto l'occhio vigile della nonna Ernesta. E dall'impasto di bollito, noce moscata, parmigiano e un pochino di mortadella ma pochissima, per preparare il "cappelletto", che mi faceva morire di piacere e che mangiavo fino a scoppiare!!
oramai che nonna e mamma non ci son più, il cappelleto rimane un appannaggio del solo pranzo del 25 dicembre a casa di mia sorella. un piatto, a volte, ma raramente un'altra mezza porzione. ah bei tempi quando potevo ingozzarmi a volontà fino alla befana.
Luc perdona l'invadenza e se mi permetto di intrufolarmi nel discorso (confido assai pure nella tolleranza del buon Loste). Allora la questione, secondo me, è molto più grave di quel che sembra, perlomeno nelle città o quei centri con un buon numero di immigrati. Per fare un esempio concreto, nel mio quartiere a 3 passi da casa mia, è sempre esistito uno dei panifici più datati e con la migliore focaccia dei dintorni, quando ero piccola ricordo che si faceva il giro largo, per riuscire ad andare proprio lì a prenderla. Adesso da un 2-3 anni la bottega è stata rilevata da una famiglia di sudamericani ('mbo evidentemente gli eredi del precedente proprietario non ne hanno voluto sapere). La morale è che la focaccia è immangiabile, vabbè sono un po' severa, diciamo che non assomiglia manco lontanamente alla ricetta originale, il pane è "diverso" meno buono e s'indurisce subito, però in compenso hanno immesso sugli scaffali parecchi prodotti "nuovi" ( nuovi per le nostre botteghe)pani arabi, ebraici, eccetera. Non saprei nemmeno dire se almeno questi rispettino le rispettive ricette originarie, ninzò, ma qualche dubbio mi viene. Tutto questo per dirti che il grave problema (o rischio) a cui potremmo andare incontro è di mettere in mano a "foresti" delle attività commerciali che producono una parte essenziale della nostra cultura. Probabilmente, anzi certamente una grossa responsabilità ce l'hanno sia gli amministratori che le associazioni di categoria, perchè non hanno incentivato a sufficienza il proseguire di talune professioni tra i ragazzini. Con questo non vorrei che si pensasse che non apprezzi la presenza dei latini o di altre etnie nella mia zona, anzi mi ci trovo benissimo, ma francamente preferirei che si applicassero in attività che diffondessero la "loro" cultura (gastronnomica, ecc.)e non fare male "la mia". Ho imparato a fare il pane giust'appunto da 3 anni, quando oramai era diventato difficile mangiare quello del panificio ... (scusa l'ho fatta più lunga del dovuto)
fiordisale
sono molto d'accordo su quello che dici. purtroppo quello che racconti sta avvenendo in ogni parte d'italia, ed in particolare nelle grandi e medie città. per esempio, ormai trovare un fornaio italiano (non i proprietari del forno, proprio chi impasta e cuoce) è un'impresa.
nel caso specifico di Latina dove abito, la situazione di partenza era/è diversa. la città, e con lei le altre cittadine e borghi rurali della ex-palude bonificata, è stata costruita ex-novo.
la popolazione tutta era immigrata, da più parti d'italia (io stesso sono un prodotto di ciò). giocoforza è stato che chi è arrivato ha portato con se tradizioni, anche e sopratutto, culinarie. per questo come dicevo, almeno fino alla metà degli anni 70era assolutamente normale godere di prodotti (abbastanza) originali. in fondo c'era ancora la prima generazione in vita. poi come è ovvio la cosa si è un po annacquata, vuoi per la perdita dell'identità originaria e del senso di appartenenza, vuoi per il mischiarsi delle etnie nelle famiglie. ma comunque ancora, e meno male, alcune piccole realtà resistono.
ora però, su questa base, si sta innestando anche qui il fenomeno della immigrazione extra-italiana e quindi vi è l'apporto di tradizioni culinarie ancora diverse. spuntano locali che fanno kebab, qualche indiano, cinesi (o meglio cantonesi), egiziani (dediti molto alle pizzerie), e così via ... per cui penso che nel giro di un po di tempo saremo come dappertutto (si scrive così?), cioè in un indistinto "minestrone".
poi ci sono le nicchie, locali e rivenditori che anche qui cercano di preservare quel poco di tradizioni che ci sono. ma è dura, sopratutto con le giovani generazioni, ma qui il discorso si fa veramente ampio, anche se interessante. lo vedo quotidianamente con i miei figli ...
Grazie LOSTE... grazie per aver parlato del piatto "di casa mia" per eccellenza! Papà "ha fatto" il maiale (e intendo... conciato la bestia per le feste :DDD) insieme ad altri amici proprio due w-e fa!!! E hanno fatto anche qualche salama da sugo, come una volta, quando ancora c'era Nonno Cleves! Io purtroppo non ero su a Ferrara quindi non ho potuto immortalare il tutto, ma questo tuo post mi ha fatto tornare bambina... Un bacio e un abbraccio!
PS: ... scusa ma sono curiosa... il nome del paese di ex minatori qual'è?! :D Vuoi vedere che conosciamo le stesse persone!??!
PPS: anch'io sono stata invitata da FrancescaV e proprio questa sera mi accingerò (si dice?) alla preparazione della BRAZADELA FRARESA! :D
A presto quindi sul mio blog, se ti farà piacere...
Mea culpa... confesso di non averla mai assaggiata, per semplice mancanza di occasioni. Mi invoglia assai. Devo dire che non passo spesso dalle parti di Ferrara, e mi dispiace molto.
Ciao
@Luc e Fiordisale: effettivamente è così, i giovani non hanno voglia o interesse a proseguire le tradizioni dei genitori e dei nonni. Dove abito (abitavo!) c'è ancora un mulino che macina a pietra le farina, grani teneri, duri e mais, è meta delle scolaresche di tutto il paese e dei paesi vicini, ma i proprietari stanno diventando vecchi e tra qualche anno sarà chiuso ....
@gatadaplar: il paese è questo conosciamo le stesse persone? Prova a fare qualche nome! (magari in privato)
@elisabetta: esperienza da fare :)
Non mancherò (appena ne avrò l'occasione). Per quanto riguarda il discorso fatto da Fiordisale e Luc, posso confermare che la situazione è la stessa anche qui (Venezia e dintorni), nel giro di qualche anno ho perso praticamente tutti i fornitori "storici" di famiglia, quelli che lavoravano con passione da generazioni, primi fra tutti il macellaio e il panettiere. La mancanza di pane buono sta diventando una specie emergenza nazionale, non credo di esagerare.
LOSTE! Purtroppo non conosco nessuno di quel paese... mi ero illusa... MA!!!! ho scoperto che ci siamo passati spesso "davanti" e non sapevo che avesse una storia! Quindi, mi ripeto, grazie! Abbiamo un nuovo angolo da scoprire proprio a due passi da casa! E ora capisco anche perchè tra gli anni 50 e 60 Pontelagoscuro (FE) è stata "colonizzata" dai marchigiani... tutt'ora lo chiamano così: il Paese dei Marchigiani :)
Posta un commento