Del gioco del ... pallone
Non amo il calcio, non sono mai stato un appassionato di questo sport. O meglio, avevo una grande passione, ma credo che sia finita intorno ai dodici anni.
Avevo la passione per quel calcio praticato per strada: sull'asfalto con le breccioline, che quando cadevi si incastravano nelle ginocchia insanguinate.
Quel calcio dove la porta era una sola, ed era per davvero una porta, o meglio, il portone della chiesa del paese.
Quel calcio che prima di cominciare dovevi per forza darti un nome di un calciatore famoso, e io, che non ero appassionato, non ne conoscevo nessuno.
Quel calcio dove era fallo se usciva sangue.
Quel calcio dove per verificare il gol in mancanza di una traversa, il portiere alzava la mano e tutti lì a litigare per stabilire se la palla era finita sotto o sopra, dentro o fuori.
Quel calcio dove le partite duravano tutto il pomeriggio e ricominciavano il giorno dopo.
Non avendo io passione, non ne ho neanche trasmessa. I miei figli parlano di calcio solo dietro stimoli esterni alla famiglia. Qualche volta vengono coinvolti, per procura dalla tifoseria "familiare" di mio fratello, da cui vanno a vedere una partita sui canali televisivi che non abbiamo a casa. Ma la cosa non attecchisce: "Spaccaball", abbandona quasi subito, e a cavallo della sua scassata bici, si butta nel folle gioco di larghe rote disegnando il campo, di fronte casa. "Chi?Che?Co?Io?" regge fino al primo tempo e poi riappare, biascicando un commento buttato lì sulla tensione che si respira nella tifoseria locale.
Io non sono mai andato, e non ho mai portato i miei figli, a vedere una partita. Qualcuno mi dice che la dentro si sente la vibrazione della tensione, la tensione del risultato.
Come fai a raccontare ad un figlio che quel tizio che corre, ha la passione che lo spinge,
che il sudore fumante di quelle groppe di granito, che appesta le nari, è lì ad eccitarlo,
che l'urlo della gente sul bordo del campo "Dai... tira!" lo spinge alla rincorsa.
Come fai a dirgli della fatica del gioco, su e giù per il campo,
sotto il sole...
per ore...
senza sosta ...
un tiro dietro l'altro...
Mi sa che mi toccherà portarli a vedere una partita.
Una partita vera...
Mi sa che mi tocca farlo.
Per gioco, ho inserito due citazioni di classici della letteratura italiana, due scrittori di correnti differenti ma coetanee. Se ne avete voglia provate a scoprire. Se non vi riesce con la letteratura magari provate con la foto sopra.
Avevo la passione per quel calcio praticato per strada: sull'asfalto con le breccioline, che quando cadevi si incastravano nelle ginocchia insanguinate.
Quel calcio dove la porta era una sola, ed era per davvero una porta, o meglio, il portone della chiesa del paese.
Quel calcio che prima di cominciare dovevi per forza darti un nome di un calciatore famoso, e io, che non ero appassionato, non ne conoscevo nessuno.
Quel calcio dove era fallo se usciva sangue.
Quel calcio dove per verificare il gol in mancanza di una traversa, il portiere alzava la mano e tutti lì a litigare per stabilire se la palla era finita sotto o sopra, dentro o fuori.
Quel calcio dove le partite duravano tutto il pomeriggio e ricominciavano il giorno dopo.
Non avendo io passione, non ne ho neanche trasmessa. I miei figli parlano di calcio solo dietro stimoli esterni alla famiglia. Qualche volta vengono coinvolti, per procura dalla tifoseria "familiare" di mio fratello, da cui vanno a vedere una partita sui canali televisivi che non abbiamo a casa. Ma la cosa non attecchisce: "Spaccaball", abbandona quasi subito, e a cavallo della sua scassata bici, si butta nel folle gioco di larghe rote disegnando il campo, di fronte casa. "Chi?Che?Co?Io?" regge fino al primo tempo e poi riappare, biascicando un commento buttato lì sulla tensione che si respira nella tifoseria locale.
Io non sono mai andato, e non ho mai portato i miei figli, a vedere una partita. Qualcuno mi dice che la dentro si sente la vibrazione della tensione, la tensione del risultato.
Come fai a raccontare ad un figlio che quel tizio che corre, ha la passione che lo spinge,
che il sudore fumante di quelle groppe di granito, che appesta le nari, è lì ad eccitarlo,
che l'urlo della gente sul bordo del campo "Dai... tira!" lo spinge alla rincorsa.
Come fai a dirgli della fatica del gioco, su e giù per il campo,
sotto il sole...
per ore...
senza sosta ...
un tiro dietro l'altro...
Mi sa che mi toccherà portarli a vedere una partita.
Una partita vera...
Mi sa che mi tocca farlo.
Per gioco, ho inserito due citazioni di classici della letteratura italiana, due scrittori di correnti differenti ma coetanee. Se ne avete voglia provate a scoprire. Se non vi riesce con la letteratura magari provate con la foto sopra.
13 commenti:
ahi, non riesco a cogliere le citazioni...
anche qui siamo a zero calcio, ma essendo una femmina nessuno ha mai fatto pressioni, anche extra-famiglia. per mio nonno i calciatori erano dei "falabrac" (termine dialettale difficilmente traducibile, perchè sciocchi perde troppo di colore) che venivano strapagati solo per correre dietro ad un pallone!
Per me dovrebbero scoprire queste emozioni solo facendo sport (non necessariamente calcio), soprattutto se uno sport di squadra (pallavolo, minibasket, meglio ancora rugby...). Oramai entrare in uno stadio, purtroppo, non è più calcio....
TANA PER UNA!
"il sudore fumante di quelle groppe di granito, che appesta le nari" Mafarka il futurista di Filippo Tommaso Marinetti
la foto mi sa di qualcosa tipo base per fare i timbri di cera lacca..ma sto inventando..boh
figurati che ad un primo sguardo m'era parsa una luganega arrotolata..sarà la fame?
salùt
Mò
me puzza "si butta nel folle gioco di larghe rote disegnando il campo" fuochino? Gozzano?
Mò
BARICCO?!!
Cara @Marzia anche nel mio caso pochissime pressioni, e di conseguenza. Bellissima la parola "Falabrac" parla da sola !!!
@Jajo scopriranno, vedrai, resta collegato e vedrai ;)
@Morso: che faccio mi inchino? In quanti avranno letto anche solo venti righe di "Mafarka il futurista" Sulla foto niente proprio... e anche per il secondo: complimneti! Però hai fatto 30 fai 31... dicci il titolo :)))
@Michela: anche se scrive bene, è un po' fortino considerare Baricco "un classico". Magari sei più fortunata con la foto ;)
Loste
Carissimo, questa è una " ruzzola " e se vuoi vederli al " lavoro " vai sulla strada che dal paesetto dove lavoravi prima porta a Cantia.
Ciao
Magic Trader
non so se la ruzzola è la stessa cosa che io penso. è una trottola di legno, di quelle col puntalino di metallo e che si lanciavano arrotolandogli lo spago intorno. a volte chiamata pure "picchio", almeno qui dalle parti nostre ...
stammi bene, e grazie per gli auguri ...
31! Invernale
(viva Liberliber!)
a me pare stranamente piatta per essere una trottola..boh..
Mò
aveva ragione mara quando diceva che avevi un blog bellissimo e le tue parole scorrevano semplici da comprendere...
ti verrò a trovare spessissimo...
p.s. il calcio è uno sport che anche io percepisco poco, anche se giallorossa per induzione paterna e materna....
Maddai per parlare di sport, calcio nello specifico, basterebbe ripigliare in mano un libro di Gianni Brera, perché andare così lontano? Poi i futuristi di 'sti tempi no, non riesco proprio a digerirli (l'interblocco)
Dì la verità non ci avevi pensato.
piesse
Allora sta dieta sta dando i suoi frutti?
;P
quello che stavo cercando, grazie
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