Nero
Se aprissi la finestra di questa camera potrei sentirlo. Mi verrebbe in faccia con la sua nebbia umida, profumata di sale e di legno. Sentirei il suo rumoreggiare, dietro i palazzi di fronte. Immaginerei i suoi colori tra il nero e il grigio, dalla sirena del faro, che si sgola nella nebbia pesante.
Ma se ne sta la dietro nascosto dal numero nove di questa via Piemonte.
Basterebbe scendere in strada, fare pochi passi, giù, verso la statale, e dietro l'angolo me lo ritroverei di fronte. Nello spazio lasciato libero, allora, dal cemento. Un acqua di città, poco avvezza al turismo. Una striscia di spiaggia appena sufficiente ai residenti. Una sequenza di parallelismi quasi matematici: gli scogli, la spiaggia, la ferrovia, la statale, le case.
Eppure la prima volta che ci siamo incontrati l'alba brillava di quei soli invernali, caldi ma non fastidiosi. La luce biancheggiava sulle mura del duomo, e rimbalzava sulle sue onde appena accennate. Lungo la strada i trabucchi con le reti appese, mi venivano incontro con quella loro sensazione di vita imminente. Tradita poi dalla consapevolezza di un solitario abbandono. Basterà poco a far sì che quell'acqua diventi la presenza normale di un'adolescenza inconsapevole.
Lo vedrò sfilarmi a fianco mentre in autobus raggiungerò le mie scuole: sulla destra fino alle medie, sulla sinistra alle superiori. Rimarrà incastonato in tutti i paesaggi pomeridiani passati a giocare per strada. Quella distesa azzurra vista dai campi dietro alla città, fintanto che i palazzi non se li prenderanno. Sulla spiaggia nelle sere d'estate a passeggiare tra un pontile e l'altro. Sugli scogli nei pomeriggi di pesca con mio padre. Nello sciabordio triste e silenzioso lungo le banchine del porto, nei pomeriggi di domenica passati a "guardare le navi".
Uno sciabordio lontano dai rumori del traffico del centro. La curiosità ignorante di tre ragazzini di campagna. Le mura delle navi, che portano lontano, forse un giorno, da grandi. I colori che brillano ai pochi raggi di soli veloci ad andarsene. Il grigio delle banchine, il rosso e l'azzurro accesi delle navi e:
Il nero del mare e il porto di Ancona.
Ma se ne sta la dietro nascosto dal numero nove di questa via Piemonte.
Basterebbe scendere in strada, fare pochi passi, giù, verso la statale, e dietro l'angolo me lo ritroverei di fronte. Nello spazio lasciato libero, allora, dal cemento. Un acqua di città, poco avvezza al turismo. Una striscia di spiaggia appena sufficiente ai residenti. Una sequenza di parallelismi quasi matematici: gli scogli, la spiaggia, la ferrovia, la statale, le case.
Eppure la prima volta che ci siamo incontrati l'alba brillava di quei soli invernali, caldi ma non fastidiosi. La luce biancheggiava sulle mura del duomo, e rimbalzava sulle sue onde appena accennate. Lungo la strada i trabucchi con le reti appese, mi venivano incontro con quella loro sensazione di vita imminente. Tradita poi dalla consapevolezza di un solitario abbandono. Basterà poco a far sì che quell'acqua diventi la presenza normale di un'adolescenza inconsapevole.
Lo vedrò sfilarmi a fianco mentre in autobus raggiungerò le mie scuole: sulla destra fino alle medie, sulla sinistra alle superiori. Rimarrà incastonato in tutti i paesaggi pomeridiani passati a giocare per strada. Quella distesa azzurra vista dai campi dietro alla città, fintanto che i palazzi non se li prenderanno. Sulla spiaggia nelle sere d'estate a passeggiare tra un pontile e l'altro. Sugli scogli nei pomeriggi di pesca con mio padre. Nello sciabordio triste e silenzioso lungo le banchine del porto, nei pomeriggi di domenica passati a "guardare le navi".
Uno sciabordio lontano dai rumori del traffico del centro. La curiosità ignorante di tre ragazzini di campagna. Le mura delle navi, che portano lontano, forse un giorno, da grandi. I colori che brillano ai pochi raggi di soli veloci ad andarsene. Il grigio delle banchine, il rosso e l'azzurro accesi delle navi e:
Il nero del mare e il porto di Ancona.
Mettiamo subito i puntini sulle "i" il nero di seppia non è parte della tradizione storica marchigiana, o quanto meno, a me non risulta. E il brodetto che citerò per questo piatto, poco ha a che vedere con il vero brodetto anconetano. Al mio mancano una decina di tipi di pesce: il brodetto di Ancona ne vorrebbe 13, e poi manca l'aceto. Ma per semplicità e per fantasia lo chiamerò brodetto.
Per circa 6 persone
Per la sfoglia:
Impastate 3 uova con 300 gr di farina "0", un pizzico di sale e due confezioni di nero di seppia (le bustine che trovate presso le pescherie, a meno che non avete una pesciarola che ve ne rimedia). Preparate l'impasto e lasciate riposare almeno mezz'ora in frigo.
Per la farcia del tortello:
ho utilizzato 300 gr di polpa di rana pescatrice, 300 gr di gamberi, il tutto passato al mixer. Ho insaporito con pepe, sale, noce moscata e la buccia grattugiata di un limone.
Ho tirato la sfoglia e fatto dei tortelli di media grandezza.
Per il "brodetto"
Ho preparato un fumetto con la testa e la lisca della rana, le teste dei gamberi e delle mazzancolle, qualche pescetto rimediato in pescheria, una carota, un pomodoro ramato e una cipolla. Ho lasciato il tutto ridursi per un paio d'ore. Poco prima di impiattare ho affettato finemente una mezza cipolla che ho lasciato imbondire con uno spicchio d'aglio in evo buono. Ho messo il fuoco al massimo e ho tuffato alcuni datterini affettati grossolanamente. Un minuto e poi ho aggiunto, pulite in precedenza, le code di 6 scampi e di 6 gamberi, 6 calamari piccolini fatti a rondelle, e 6 tranci spinati di cernia. Ho fatto scottare per 2 minuti.
Nel frattempo ho lessato i tortelli in abbondante acqua salata. Li ho saltati in padella con il pesce e ho poi aggiunto il fumetto, quantità a piacimento, filtrato in precedenza. Ho aggiunto una spruzzata di trito di prezzemolo e ho servito con un filo di evo buono a crudo.
A qualcuno è piaciuto inzupparci anche il pane, in quel ricordo di nero mare e di porto d'Ancona.
11 commenti:
Eccezionale questo piatto, complimenti!!!
credo che sia una grandissima fortuna crescere in un posto di mare...c'è una maggiore consapevolezza della natura in chi è cresciuto guardando le sue onde
Per quanto riguarda la ricetta...che dire...è veramente uno spettacolo di colori e profumi
Un abbraccio
fra
Ha un aspetto appetitoso, nonostante io e il nero di seppia non andiamo granchè daccordo, tutto il resto invece...lo mangio con gli occhi.
Confermo: uno spettacolo!
ciao
E.
Grazie @Saretta.
Dici @Fra? Io sono cresiuto tra campagna, mare e montagna non saprei ma credo che di aver trovato più natura nell'ultima. Ma forse era un mare vissuto poco consapevolmente.
Il nero non è cosi evidente @Daphne, magari mentre lo prepari si, ma poi il tutto è molto equilibrato
Ahahahah ringrazio per la conferma @LFB :)
ero bambina, forse 5,6 anni? il nonno paterno era solito celebrare il suo compleanno con un pranzo di famiglia a cui non poteva mancare nessuno, preferibilmente al ristorante.
io non ero abituata a mangiare "fuori", e di quel pranzo, ahimè, ho un nero ricordo. lui aveva voluto a tutti i costi il risotto al nero di seppia, di cui continuava a decantare la bontà. si offendeva se tutti non erano della sua idea, bambini compresi, e così aveva insistito personalmente perchè io lo mangiassi. a me quella roba nera spaventava e ripugnava, ma ero stata educata a mangiare quello che mi mettevano davanti, se volevo poi passare al piatto successivo (dolce compreso).
sarà stato il nero di seppia o che ne so, ma poi alla sera stavo male, male come un cane... da allora il nero di seppia è legato a quel brutto ricordo di malessere, e non l'ho mai più mangiato
Ho conosciuto persone nate a Cagliari che mi spiegavano di come fosse inconcepibile per loro vivere a Roma, "...sarà anche una bella città ma non c'è il mare!".
Posso anche comprendere come chi cresce trascorrendo il tempo libero tra ruscelli, miritilli e verde la pensi allo stesso modo per la montagna.
Ma forse anche per gli altri, "poveri cittadini", esiste un privilegio: godere di mare, montagna e campagna senza sviluppare dipendenza...
I ravioli neri sono una forza ma mi ispirano di più asciutti, forse nel brodetto vedrei meglio dei maltagliati (sempre neri, ovviamente)...
So di cosa parli @Marzia :( a me è capitato, ero allievo ufficiale nell'esercito, quindi già grandicello di aspettare una torta che un commilitone doveva riportare da una licenza. Ho pensato a quella torta per due giorni, onestamente mi mancava il dolce dopo due mesi d'inferno. Lui è rientrato di notte, dopo che il contrappello aveva spento le luci e nessuno poteva riaccenderle. Abbiamo tagliato la torta al buio e andavamo a tastoni, io avevo l'acqualina in bocca per la dolcezza che aspettavo da due giorni. Era una torta pasqualina, uova, verdure, prosciutto, ... per poco vomito. Da quel giorno non posso vedere le torte pasqualine mi prende dolore alla testa anche adesso :) ... dai ho trovato un mio piatto che non ti piace ;)
@Virò si ci stanno bene anche asciutti indubbiamente, anzi forse di più, ma noi il sughetto lo abbiamo asciugato con il pane prima :)))
sono senza parole ! per la bellissima descrizione che hai fatto di Ancona e del suo porto ! e per il piatto che hai fatto ! pura poesia è stupendo ! lo rifaccio di sicuro ! io sono anconetano e non riuscerei a descrivere cosi bene Ancona come hai fatto tu ! veramente , mi è piaciuto un casino questo post . Ma tu vivi in Ancona ? ciao sentiamoci , a presto
Ivano
Grazie @Ivano, no non vivo più in Ancona, l'ho fatto fino all'dolescenza e poi via. Ora sono Sassoferratese, o meglio sono tornato ad esserelo, visto vhe qui ci sono nato. Però, vivo lì solo nel fine settimana il resto a Treviso, lavoro, o in giro per il mondo come in questo momento mentre ti scrivo.
A presto !
Questi tortelli tutti neri sono di un'eleganza fenomenale.
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