29 agosto 2008

Sono un "porco" !

La riunione langue lenta e noiosa, le slides che appaiono sul video sono una massa colorata informe, in cui righe di parole si perdono, in una sintomatologia daltonica indotta da chi ha preparato la presentazione. Quanto strada bisogna fare per capire che dopo la quinta slides la curva dell'attenzione scivola sotto il tavolo, serpeggiando tra i cavi dei computer?
Il collega alla sinistra è concentrato sulla stessa presentazione ma stampata su carta, anche qui: ma se la proietti a video perché dopo la stampi? Giusto per far fuori quei due o tre alberi di carta al mese? E' già la terza volta che chiede se dobbiamo leggerla tutta, la risposta è vaga forse allusiva, ma non la registro.
Di fronte c'è un consulente che sa la metà delle cose che racconta, e di questa metà ne ha capita un due terzi scarsi... non fate i conti siamo al 33% della conoscenza. Ogni tanto una telefonata distrae il gruppo, creando un ritorno evidente della curva dell'attenzione, che stancamente si riaffaccia dal bordo del tavolo, per riscomparire immediatamente al ritorno di colui che ha ricevuto la telefonata: il quale a quel punto deve essere riaggiornato sulla mezza pagina persa.
Prego il cielo che qualcuno mi chiami o mi mandi un messaggio, in modo che anche io possa abbandonarmi ad argomenti più reattivi e meno soporosi. Il caffè è finito, l'acqua è dalla parte opposta del tavolo, e alzarsi vorrebbe dire far perdere la concentrazione al "pozzo di scienza" con gravi ricadute sul tempo totale impiegato, a spiegarci cose che già sappiamo. Distrattamente conto le pagine che restano, di questo passo la mattinata verrà bruciata da questo importante meeting. Penso alle cose che ho da fare, e comincio a farmi montare da un'ansia da tempo perso, molto poco professionale. Cerco a fatica di controllare la mimica facciale, evitando che pensieri tipo "Ma quante *** stai raccontando!?" possano solo trasparire da un angolo della bocca o da uno sguardo di vaga commiserazione.
Uno strano rumore riporta tutto il tavolo, compresa la curva di prima, a guardare dalla mia parte. Il rumore si ripete, una leggere vibrazione amplificata dalla grandezza del tavolo. E' come vincere una piccola somma al lotto, è il mio telefono, ma mi ci vuole per accorgermene d'altronde sono antico.
Leggo il messaggio, prima distrattamente poi con attenzione, il mittente di solito non messaggia a quest'ora, clicco sul link mi si apre la pagina e leggo l'articolo curioso, avido, sorpreso. O caz...pita chi l'avrebbe mai detto: sono un "porco" ! !

Il polpo pornografico



Niente di che a livello di ricetta, un polpo di media grandezza che va cotto, se siete fortunati ad averlo, in un forno a vapore, oppure bollito in abbondante acqua salata finché non risulti morbido. Una volta freddato, va spellato in maniera grossolana e tagliato a pezzetti, servito con patate, queste si cotte al vapore, e condito con olio evo buonissimo, prezzemolo e un paprika dolce leggermente affumicata, regalo magari di qualche caro amico che bazzica tra Spagna e qui.
E poi mettetevi davanti a questa foto e diventate anche voi tanti pornografi del cibo.

P.P. Ah ... ripetete velocemente per tre volte il titolo della ricetta.

21 agosto 2008

Il marketing che non sapremo mai fare

Onestamente siamo un popolo che non sa farsi rispettare. Usando un detto contadino, sostanzialmente contiamo "come il due di coppe quando a briscola comanda bastoni" rende l'idea no?
Godiamo anche di quel sottile piacere di farci del male da soli, basta pensare al recente scandalo del vino che non si sa dove sia finito; lo scandalo, non il vino, o a quello del Brunello, cha magari in rete siamo aggiornatissimi ma fuori di qui non ne sa più nulla nessuno, se non constatare con amici d'oltralpe che "... non parlarmi di Brunello dopo quello che avete combinato !" Alè un altro esempio di argomento buono per l'autocommiserazione tutta italiota.

Appunto siamo bravissimi a parlare, parlare, parlare, "identità territoriale", "tracciabilità della filiera", "dop","igp","stg", mozzarella alla diossina, olio adulterato, lanciamo strali scandalistici ai quattro venti per poi dimenticarcene la mattina dopo, quando una nuova notizia appare in prima pagina. E lo scandalo ? Quale scandalo ? Ma  daaai, namosene affantuffo.

E' tutta qui la nostra cultura è semplicemente la nostra incapacità di finire le cose, iniziamo ma non finiamo mai, il nostro bisogno di trovare la scorciatoia da furbetti. Ecco perché i formaggi Francesi sono più famosi degli Italiani, anche se i nostri sono di gran lunga migliori. Ecco perché i nostri vini novelli non sono per niente "novelli". Ecco perché, nonostante possiamo vantare una cultura culinaria strepitosa e più stelle Michelin, tanto per prendere un riferimento, della Gran Bretagna, a raccontare il nostro cibo e la nostra cultura è un inglese.


Un inglese che spiega che la penna è "a great all rounded": un grande tuttofare, o che l'olio extravergine di oliva è "nice and peppery": buono e piccante o che l'aceto balsamico è "dark and tangy": scuro e penetrante o che il sugo all'arrabiata "has a hit of chili": ha un colpo di peperoncino. E' normale che questo sia il vocabolario di uno che allevato a "full english breakfast", spiega ai suoi simili i sapori veri del buon mangiare. E si perché se tu alle otto del mattino ti spari pancetta, uova, funghi e pane fritto, fagioli, salsicce e sanguinaccio, e se alla sera è andata bene hai cenato a fish&chips, bisogna che qualcuno ti spieghi che oltre a questi "sapori" esiste un mondo diverso di "flavour". Anche se a spiegartelo è uno che, tanto di cappello per la capacità manageriale nel gestire la sua immagine, va in giro a fare queste porcherie con il cibo:



08 agosto 2008

Antiche ventole e kaldo moderno

Sono immobile, impalato al sedile della mia auto. Non parlo, il braccio sinistro è abbandonato oltre il finestrino, l’aria condizionata non la sopporto più. Gocce di sudore imperlano la fronte sotto ai capelli cortissimi che mi ritrovo, anche il naso mi suda, dove appoggiano gli occhiali da sole, sento il sudore che sta dilagando. La musica è bassa, la velocità è bassa, il cielo è basso appesantito da questa cappa di afa che si è sdraiata di schiena sulla pianura veneta. Alzo gli occhi e nello specchietto vedo Spaccaball, nel suo seggiolino regolamentare, addormentato a bocca aperta, beato, incurante che fuori hanno accesso l’hammam senza che nessuno ne sentisse il bisogno. “Quanto manca?” chiede Leo. Secondo il navigatore ancora quindici minuti, ma poi le cose non cambieranno probabilmente, quando ho prenotato in questa osteria, in cui sono mesi che voglio andare, ho chiesto:
“Avete un giardino?”
“No.”
“Una terrazza?”
“No.”
“Aria condizionata?”
“No.”
Il mio silenzio deve esser durato una frazione di secondo di troppo perché la signora ha detto: “Se cambia idea mi avverta”.
Non che non cambio idea. Ma ora mi pento, dall’hammam alla sauna, senza passare per una doccia ghiacciata?
Intanto i capannoni dei moderni centri commerciali, hanno lasciato il posto alla campagna, la strada stretta, e costeggiata ai due lati da canali, si infila diritta tra le vigne. Tante vigne, troppe vigne, e visto che non sono nel nord della provincia Trevigiana, terra del Prosecco, ma nel sud est profondo a pochi chilometri dal mare mi chiedo di che vino sto guardando le vigne. Mi sforzo, mi faccio la domanda ad alta voce, qualcuno, dalla piccionaia, da risposte a caso: io mi merito un tre in enografia nazionale, ma qualcuno si merita una bacchettata sulla punta delle dita inginocchiato nel granturco. Dieci minuti e poi siamo arrivati, ma non arriva la risposta, invece arriva un grido che mi fa sobbalzare, l’adrenalina entra in circolo, il battito cardiaco aumenta, la sudorazione… La sudorazione ha preso una strada tutta sua, incontrollata, inaspettata, inaccettabile, impresentabile. Leo si sfrega un braccio e mi guarda: “Scusa ma ho appoggiato il braccio al finestrino e la lamiera mi ha scottato!” Fanculo il malditesta, fanculo l’ambiente, fanculo le vigne della doc che non mi ricordo: aria condizionata a palla e finestrini chiusi. Si respira.

Ma si respira anche, e meglio, “al Tirante”.



Questa piacevole e piccolissima osteria, ho contato quattordici sedie, è perduta nella piana della Marca Trevigiana dove, e adesso mi è ritornato in mente, la zona DOC Piave fa una punta quasi a sfiorare Treviso. E' vero non ci sono giardino, terrazza, e aria condizionata, ma nonostante l'afa i due ventilatori a soffitto sono sufficienti per starsene piacevolmente sovrappensiero a guardarsi intorno. Lo stile è originale e lo sono buona parte degli arredi, compresa la porta della cucina di Cristina. Una vita fa ospitava l'osteria annesa alla salumeria dei nonni degli attuali gestori. La musica soffusa è per niente invadente ogni tanto mi concentro ad ascoltarla e riconosco del buonissimo e piacevole jazz. Ina sala Luigi che fedele alla sua terra mi aiuta a scoprire vini di questa zona un paio di IGT di buon livello. Il menù è limitato ma cerca di toccare tutta la tradizione della zona con qualche puntata veramente di livello come il "Piatto dei salumi fatti in casa" o i "Bigoi con ragù di petto d'anatra tagliato al coltello" o il "Baccala alla Trevisana con polenta arrostita". Ottimo il piatto dei formaggi: Piave in varie stagionature, Vezzena, Castelmagno e un ottimo Gorgonzola Dop. L'unico dolce è stato scelto da "Spaccaball" una panna cotta con caffè e cioccolato, che è stata contesa a cucchiate rabbiose e pianto finale.



Mentre scrivo la piccionaia ha il muso lungo per non aver potuto replicare con un bis, prima della partenza da qui verso ovest stavolta per la prossima tappa.

Il Tirante
via San Pietro Novello, 48
loc. Chiesa Vecchia, Monastier di Treviso (TV)
tel: 0422791080




Un aggiornamento giusto per dirvi che qui trovate menù e prezzi.

05 agosto 2008

Aperto per ferie

Alla radio una voce maschile, cristallina e dal tono lievemente eccitato e soddisfatto, spiega che in questa giornata di mega-esodo agostano, tutti i problemi sono stati superati e che il traffico ora in questo tardo pomeriggio, su tutta le rete stradale di competenza, è regolare e scorrevole. La famigliola che mi sta a fianco, oramai da quasi un'ora, in un lento gioco a superarsi e a risuperarsi, passeggia tra le auto, la mamma tiene per mano i due bimbi, il padre in canottiera al volante fuma l'ennesima sigaretta. Ho sempre dubitato delle informazioni sul traffico, ma di più in occasione dei grandi spostamenti vacanzieri, lì il livello di dissociazione, del centro informativo, dalla realtà è, quasi schizofrenico, roba da prendere a martellate la radio. C’è stato un tempo che fermo in coda, chiamavo il servizio infotraffic, quando ancora c’era un operatore a rispondere e, quando mi sentivo dire che dove ero io la coda non c’era mi incazzavo pure. Ora la segreteria ti chiede se vuoi il nordovest, il nordest il centro il sud, e ogni volta mi dimentico che Marche ed Emilia per loro sono nordest. Alla mia sinistra il rombo di un’auto sportiva di grossa cilindrata mi fa voltare, una Porche argentata mi affianca, quella coda è scivolata in avanti di due auto, e così sono passato dai ragazzi spensierati a finestrini aperti e stereo a palla, ad una coppia strafiga tutta impostata e rombante, nel loro asettico mondo di finestrini serrati e condizionatore a palla. Lui parla al telefonino la mano sinistra incollata all’orecchio e la destra in basso oltre il cambio probabilmente a toccare la gamba nuda di Lei, che mi fissa da dietro i suoi occhiali dolceegabbana con una smorfia tra l’ostile e il rassegnato. Che cosa ci fai con un’auto da duecentotrenta all’ora in coda sotto al sole? A parte portare in giro la tua superbia. Un colpo di clacson mi scuote dal mio pensare, davanti a me ci sono almeno duecento metri di autostrada libera, pigio sull’acceleratore e con un balzo in avanti evito alla Porche di guadagnare quel vuoto assoluto. Mentre schizzo via vedo la capigliatura nerissima della strafiga dolcegabbana piegarsi in avanti fin quasi al cruscotto, abbrivio naturale di un corpo, alla frenata, a cui ho costretto il suo uomo. Sorrido soddisfatto mentre mi rimetto in attesa dietro ad un enorme motore mercury da sessanta cavalli, appoggiato ad un gommone a cui probabilmente ne bastavano cinquanta di meno, ma vuoi mettere l’ebrezza della velocità !
Viaggiare. Se penso al mio senso del viaggio, dovrei accostare l’auto in una piazzola e sparire in mezzo a quel campo di granturco, per sempre per tutta la vita. E invece no, eccomi qui nell’esodo vacanziero sperando di ritornare a casa, dopo una settimana di lavoro, non più tardi di mezzanotte.
Ritornare, ritorno. Per me il viaggio è tutto lì, in un concetto assurdo di partire per poter ritornare. Andarsene per tornare, in tappe lente in cui scoprire il viaggio, i viaggiatori e se stessi. Ritrovare i posti e le genti e perché no: il cibo dei luoghi.
Il mercury non si muove immobile nei trentasei gradi della coda, appoggio la testa al sedile e gli occhi mi si chiudono nel caldo riflesso del parabrezza, viaggiare in un viaggio di tappe scandite dal cibo, lo inizierei da qui dal mare della mia terra con un:

Tortino di alici e casciotta d’Urbino



Non abbiatevene a male se uso un prodotto particolare come la Casciota d'Urbino, diciamo solo, per semplificarvi la vita, che anche un'altra caciotta può andare bene, sempre che sia composta da latte misto di pecora e vaccino, sia di fresca stagionatura almeno 20-30 giorni e sia buona. Prendete delle forme monoporzione da forno, oliatele e adagiate nel fondo un paio di pomodorini, per ciascuna forma, privateli di gran parte dei semi e della buccia, salate e pepate. Mettete un paio di foglie di basilico, e una cucchiata di pane secco grattugiato. Ora disponete un paio di strati di alici freschissime e deliscate, un pizzico di sale, una generosa fetta di casciotta. Aggiungete ancora alici, pane grattato e per finire un'altro paio di pomodorini salati e pepati e relativo basilico. Passate al forno con funzione grill per 15 minuti e poi servite con un filo d'olio e un trito di olive marchigiane.