29 luglio 2007

Un anno di Colica


La conobbi già vecchia, ma con una forza nel carattere, che solo le persone di quella generazione hanno saputo avere. Quando nacque l'800 era finito da qualche mese. Vide la Grande Guerra, e subito dopo sopravvisse alla spagnola. Lo fece mangiando spicchi di aglio, e tutti i suoi racconti partiranno da lì. Si sposò ebbe quattro figli, l'ultima poco prima della seconda grande guerra. Per procurarsi le cose essenziali camminava per ore. Per salvare una pista, dalla ritirata tedesca, raccontava di averla murata in uno stipite della casa. E noi sembravamo tanti pulcini, di fronte ai suoi racconti, seduti ai suoi piedi a bocca aperta. Quando all'inizio degli anni '60 gli morì il marito, lasciò la sua terra, delimitata da quattro colline, e seguì uno dei suoi figli al nord, lui scapolo, lei madre, donna, "moglie".
Prima in Trentino poi a Baveno, dove, forse mia madre, scattò quella foto, che ci ritrae assieme. Poi vicino ad Aosta e poi giù a Viareggio. Una contadina marchigiana a sgomitare nel mondo. E io dietro a seguire i suoi racconti, a fare vacanze a turno con i miei fratelli. La merenda fatta con il mottino e il carrarmato, lusso, per chi come me era abituato a pane e marmellata e succhi di frutta fatti in casa. La sua cultura era solo esperienza diretta, la maestra, ci raccontava sempre, invece di tenerla in classe la mandava in casa a farle le pulizie. E quindi le situazioni venivano risolte con la saggezza popolare, con i proverbi e i modi di dire. Non ci è mancato mai nulla.

E come avrei dovuto chiamare questo blog ? Tutto è stato naturale, facile, spontaneo pensando alla donna che per me impersona(va) la cultura del cibo, come essenza di vita: mia nonna.
Il cibo era per Lei, prima sostentamento, poi nutrimento e poi forse da vecchia: piacere. Il suo mondo non poteva contemplare, la fantasiosa etica ed estetica delle cucine dei giorni nostri. Considerava il cibo, comunque, legato all'uomo, alla terra, ai luoghi. Ed ogni volta che mi raccontava una ricetta, mi raccontava anche una storia, un aneddoto, un fatto ad essa legata. Non ricordo di aver mai pensato al cibo in modo diverso.
Ecco, è un anno che Lei aleggia in questo blog, un anno fa registravo il sito e un paio di giorni dopo postavo il primo pensiero. Mi sembrava giusto, aldilà di improbabili candele, torte o chissà cos'altro parlare un po' di Lei. Si chiamava Palmina era del millenovecentouno e quando se ne andò aveva novantanove anni. Raccontava di storie incredibili, come fanno tutti i nonni, e spesso quando ci vedeva bere, piccoli o grandi che eravamo, ripeteva quella frase: "Bevi poco se no ti viene una colica d'acqua".

27 luglio 2007

Dolce ricordare

Son come nonne consolatrici che ti abbracciano forte. I loro rami toccano terra, rifugio sicuro per i nascondini notturni delle estati da bambino. Son facili da arrampicare nei pomeriggi caldi di sole bollente, sdraiati sui rami a parlare, sognare, nella monotonia del canto delle cicale. La testa appoggiata sul ramo e lo sguardo verso un cielo, fatto a pezzi dalle foglie pesanti e ruvide. Il ronzio delle api sui frutti. L'appiccicosa dolcezza dello zucchero che cola tutto attorno. Ho passato pomeriggi sugli alberi di fico, aspettando che il sole tramontasse e che il fresco facesse respirare. Sono andato a cercarli di notte, scavalcando reti traballanti, per rubarne i frutti. I cappelli pieni di fichi intiepidi dal fresco della sera.
Mia nonna che ogni volta che ne mangiava uno, immancabilmente accompagnato dal solo pane, raccontava la storia di qualcuno che non avendolo aperto aveva ingoiato un'ape che era dentro. E io che non ne andavo matto che per me erano troppo dolci e basta.

Poi da adulto, quando ho cominciato a capire che gli accostamenti si fanno anche per contrapposizione e prima che nei ristoranti apparissero, ho cominciato a mangiare i fichi con il salato. Un salame di Fabriano , una fetta di prosciutto di Sauris, leggermente affumicato, un pezzo di BellaLodi e un fico fresco e succoso di quelli rossi che nascono a luglio e poi a settembre. Il mio piatto ideale nella calura d'agosto.
Oppure potete preparare una:

Quiche di caprino e fichi

Preparate una pasta sfoglia 250gr circa, per farla in casa lavorate 150gr di farina, 100gr di burro e un pizzico di sale, fino ad ottenere un impasto consistente e morbido che metterete in frigo per un'ora almeno, altrimenti compratela già fatta. imburrate una teglia e stendete la pasta, a parte preparate la farcia utilizzando 150 gr di caprino fresco e 150 gr di ricotta, assaggiate e correggete di sale se occorre. Se la farcia risultasse troppo densa, ammorbiditela con poco latte, stendetela sull'impasto e poi adagiate un cinque o sei fichi fatti a spicchi. Cuocete in forno a 180° per 40 minuti. Lasciate raffreddare e mettete in frigo, a me piace mangiare questa "pizza" fredda accompagnando un salume, una mortadella o del prosciutto o sola come antipasto. Oppure fate voi, che ognuno abbiamo le nostre idee e i nostri gusti, e io vi posso solo dare il mio punto di vista, che non deve essere che uno spunto, un'idea da copiare e modificare.
Statevene bene.

25 luglio 2007

Prepararsi per l'inverno

Che “Spaccaball”, abbia idee tutte sue, credo sia oramai chiaro a tutti i lettori di questo blog. Che non segua molto le linee guida della famiglia, anche questo è abbastanza palese. Ma che questa intraprendenza, si trasformi anche in iniziativa indipendente dal resto della famiglia, non se questo è abbastanza chiaro. Egli spesso tende ad organizzarsi per proprio conto, senza interpellare il resto della famiglia e qualche volta senza neanche darne opportuna e adeguata informazione. E’ così che siamo venuti a conoscenza, casualmente, che sta acquistando un cane. Sembra abbia convinto una mia zia, pochi resistono alla sua puttanesca paraculaggine. Ora su questo tema stiamo intervenendo con un dibattito familiare e in pratica si sono creati due schieramenti contrapposti: Io e Leo da una parte, “Spaccaball” e la mamma dall’altro. Lui sembra poco interessato ai pensieri altrui, e continua a ripetere al fabbro che sta installando il cancello: “Ma quando è che quetto cancello si può chiudere? Perché se no, a me, mi scappa il cane.”
Altre volte, come ieri sera ad esempio, quando è quasi ora di andare a dormire (per lui). Lo vedi scendere dalla sua camera, infilarsi le scarpe e annunciare con nonchalanche “Vado a trovare nonno !”. Che è vero, che il genitore paterno, non abita lontano. Ma è anche vero che di questi tempi un bimbo di sei anni in giro da solo, di notte, può essere causa di denuncia per i genitori. Io glielo detto che se fa così, io vado in galera. Ma lui dice: “Va bé, ma io poi ti vengo a trovare !”.

Ed è stato con questo spirito che, constatato che la nonna materna possedeva nel suo orto alberi e alberi di frutta matura, ha coinvolto nonno e nonna paterna in una produzione pseudo industriale di confettura di frutte varie e miste, che lo scorso fine settimana noi alla "Santa Rosa" "ce la siamo ciucciata con l'alluce del piede destro". Quindi con la complicità del fratello grande, il cui compito si limita a comporre i numeri di telefono, "Spaccaball" ha organizzato il tutto. Alle otto della mattina si è fatto venire a prendere dal nonno. Ed è stato in quel momento che abbiam saputo che quel giorno si sarebbe dovuto preparare un qualche chilo di :

Confettura di frutta



Lavate la frutta ed eliminate quante più impurità possibili. Nel caso di agrumi, ma in quel caso si tratterebbe di marmellata, dovreste non sbucciarli visto che la buccia contiene pectina, fondamentale nel processo di gelificazione della marmellata stessa. Sminuzzate la frutta e versatela in una pentola di rame o di acciaio inox (da evitare assolutamente l'alluminio). Ne frattempo mettete in forno ventilato i barattoli, meglio se di capacità non superiori ai 250 gr, a 120° per un 15 minuti. Questo processo sostituisce la sterilizzazione per bollitura (che comunque potete sempre fare in alternativa). Nel frattempo, portate ad ebollizione la frutta mantenendo la fiamma a un livello medio di intensità; mescolare costantemente ed aggiungere gradualmente lo zucchero in quantità variabile da 500g (per frutti molto dolci) a 800gr, 1kg (per frutti molto acidi) per ogni kg di frutta. Nella mia famiglia non riusciamo a fare una confettura di una sola frutta, è più forte di noi, dobbiamo mischiare. Che poi, in teoria, non è così sbagliato, considerando che solo alcuni frutti sono ricchi di pectina come per esempio: le mele, le more, il ribes rosso, l’uva spina, i limoni, le arance, le prugne acerbe. Se invece voleste usare un preparato a base di pectina: abbassate la fiamma, aggiungere il quantitativo adeguato di preparato come riportato in confezione e quindi fate riprendere l'ebollizione, mescolando costantemente. Mantenete l'ebollizione a fiamma vivace per circa 5 minuti, mescolando costantemente. Non aggiungere mai acqua, chiaro ? Provate la consistenza della confettura, come se fosse una polenta, mettetene un cucchiaino su di un piattino che avrete tenuto in frigo e dovreste trovarvi di fronte ad un composto compatto e che scivola solo leggermente sul piatto. Se invece dovesse risultare troppo liquido a me hanno insegnato ad aggiungere succo di un limone (50 ml) per ogni kg di frutta e riportandola a bollore per altri 5 minuti fino a raggiungere la consistenza desiderata. Evitate le cotture di ore che qualcuno ancora fa, vi ritrovereste con confetture color caramello zuccherose e senza sapore di frutta. Versatela ancora bollente nei vasetti lasciando circa 3 cm tra il livello raggiunto dalla marmellata e il tappo. Chiudete utilizzando sempre tappi nuovi e lasciate i vasetti capovolti per circa 5 minuti. A questo punto nasce la diatriba, a me hanno insegnato a mettere i vasetti pieni in una pentola d'acqua, coprendoli e lasciandoli bollire per circa 30 minuti. Sono assolutamente aperto ad alternative a questo processo anzi, spero in un'illuminazione.
Se qualcuno dei vasetti al momento del consumo dovesse presentare gonfiore nella zona del tappo, oppure se la confettura subisce alterazioni di colore o formazione di muffa in superficie, buttate tutto.

Note di cronaca: le confetture della foto sono state preparate dalla nonna materna di "Spaccaball" con la consulenza della "Colica" e con l'aiuto di "Spaccaball", ci tiene che lo dico, che ha aiutato la nonna a raccogliere la frutta, ma l'ha anche mangiata. Il cane non lo abbiamo comperato, stiamo ancora discutendo. Ieri "Spaccaball" era un tantinello agitato con un tale BabboNatale "...che fa regali che poi si rompono, che quando passa glielo dico che questo se lo può riprendere, e che me ne deve portare uno nuovo di gamboi." Glielo dite voi?

23 luglio 2007

Panini e panettieri

Mi aveva acceso la curiosità Rolando quando fui a cena da lui. Parlavamo di olio e finimmo sull'aceto, mi raccontò che non amava questo prodotto, a parte non disdegnare del balsamico tradizionale di Modena, anche se io preferisco il Reggio, e che accettava l'aceto classico solo in una preparazione: l'insalata morta. L'insalata cioè avanzata e lasciata in frigo a "cuocere" nel suo condimento in cui è presente appunto l'aceto. Mi disse poi che la morte ideale era in un panino con della mortadella, tagliata spessa e possibilmente a mano. Ma il pane doveva essere uno solo: "La Lollo" del panificio Archilei di Fossombrone (PU).
Misi la cosa lì in un cassetto della memoria e poi qualche giorno dopo, un collega, un amico, legge il post su Rolando mi chiama, mi fa i complimenti per il blog e mi dice:"... la Lollo" è? "... la facciamo noi". Noi chi? chiedo "la mia famiglia" risponde. Lo tempesto di domande, non si chiama Archilei che c'entra, chiedo mi informo: il bisnonno, la nonna, lo zio il padre. Generazioni che son lì a fare il pane, dal 1889.
La curiosità cresce. Ma tanto sarà pane come tanti altri. Sarà acqua, farina, lievito, sale e... Beh perché chiamare un pane "Lollo"? Il mio bisnonno era "innamorato" della Lollobrigida. E così si è inventato "La Lollo".
Però se le cose stanno così allora partiamo io e Leo, presto di sabato mattina. E si perché non andiamo a cercare del pane, ma andiamo a trovare una Passione. E quando il cibo è passione allora va raccontato.

Fossombrone e mezzo addormentata quando arriviamo, ci facciamo un giro per il centro e poi cerchiamo la caserma dei carabinieri, perché è li vicino che Archilei ha il negozio.
Entriamo ci accolgono una foto del fondatore e una commessa che ha un accento per niente marchigiano, ma parla di pane come se fosse della famiglia. Conto più di una decina di tipi di pane, altamura, toscano, ferrarese, ai semi, all'orzo, e una decina di tipi di pizze e focacce. Compriamo e assaggiamo e poi chiedo "la Lollo". E' tipo una baguette ma leggermente più grande, più corta e molto più leggera di una baguette. Ha forma tondeggiante senza soluzione di continuità tra la parte inferiore e quella superiore. E' liscia, profumata, quasi da accarezzare. Sorrido e penso al bisnonno del mio amico. Non è azzeccato il nome, è azzeccato il pane ;)
Ce ne torniamo a casa soddisfatti e felici e a pranzo ci facciamo:

La "Lollo" con insalata morta e mortadella




Imbottite una "Lollo" con insalata condita qualche ora prima e tenuta in frigo, aggiungete della mortadella buona, se possibile tagliata al coltello, e comunque non sottile come sono abituati a fare qui da queste parti che quando apri la confezione devi staccarla dalla carta senza più riconoscer le fette.
La Lollo è il pane ideale per la mortadella, morbido e friabile, che però non si polverizza al morso. E' soffice, carico di aria da lievitazione e quindi leggero. Noi ci siamo sbizzarriti e l'abbiam provata anche con del melone ghiacciato al posto dell'insalata. Piacere puro

Panificio eredi Archilei
viale Martiri, 31
Fossombrone (PU)
0721 714911



21 luglio 2007


18 luglio 2007

Incastrato

Io a Maurizio, anche se non l'ho mai incontrato, gli "voglio bene", nel senso che mi sta simpatico :) E lui l'altro giorno mi ha rilanciato questa cosa. Io pensavo sempre che queste cose, che nel "blogworld" si chiamano "meme", fossero tipo delle catene di santantonio. A me le catene di santantonio non mi piacciono. Poi scopro che "meme" vuol dire questo. E allora aspetta un attimo che ci penso.

Questo meme parla di vacanze, e anche Maurizio pensava che io fossi già in vacanza. Invece era in vacanza, solamente, la mia famiglia che stava al mare e io lavoravo. A me il mare, visto dalla spiaggia in mezzo agli ombrelloni, con i bambini dell'ombrellone accanto che si tirano secchiate d'acqua addosso ogni due secondi, che alla fine bagnano anche te. Con il signore di fianco che ci sta poco con la testa e mi fa dei segni brutti e ammiccamenti strani, ma che poi, dopo una giornata, mi sembrava l'unico sano della famiglia, e ho capito che voleva scapparsene via. Con "spaccaball" che scompare ogni due minuti due, che ti fa venire dei patemi d'animo terribili, e che sabato scorso quando l'ho "cazziato" perché: "... Basta. Adesso fermati qui non muoverti per mezz'ora, gioca con la paletta sotto l'ombrellone e non andartene più in giro!" mi ha risposto "Mica poi fa sempre come te pare !". Ecco a me le vacanze al mare non mi piacciono. Quindi montagna (e questa è la risposta 1).

Che poi, appunto, io dalle vacanze cerco, bramo, voglio e apprezzo la solitudine lo starsene da soli. Che soli per me vuol dire con Spaccaball, Chi?che?co?io? e Lella. Ma soli mica sempre, ma per buona parte del tempo (e questa è la risposta 2). E così ce ne andiamo in montagna, stiamo qualche giorno qui, poi ce ne andiamo qui, e facciamo un salto anche qui, e un altro paio di posti di cui non ho le foto,... ancora. Il tutto nel periodo classico dell'italiano medio: agosto. (e questa è la risposta 3).
Ecco quelle delle foto sopra sono le vacanze che sogno, una cena tranquilla, seduto in terrazza una felpa, una giacca a vento e un sigaro accesso, sempre che "spaccaball" me lo conceda ;) (e questa è la risposta 4).

Ora non so quale stile tra quelli citati da Maurizio io abbia seguito. Mi era venuto il dubbio, anche, su che ricetta mettere in questo post. Poi mi sono ricordato di aver letto tempo fa una ricetta da un'amica (credo), blogger, alla quale avevo pure fatto un commento di complimenti. Io ti ho cercata, ma non mi ricordo chi tu sia, e quindi quando ti riconoscerai, per favore, riappropriati della paternità di questa ricetta commentando e perdonami se non ti linko. Tra montagna e mare ecco la ricetta delle:

Polpette da una "sconosciuta"






Ho preso del merluzzo, delle triglie e dei gamberetti. Ho squamato le triglie, poi le ho sfilettate come i merluzzi, a cui ho tolto anche la pelle , che ho invece lasciato alle triglie. Ho pulito i gamberetti e macinato il tutto. Poi ho preparato le polpette nel modo classico, aggiungendo mollica di pane bagnata in poco latte, un uovo o due a seconda della quantità, aglio, prezzemolo, olio sale e pepe. Le ho passate nella farina e in poco pane grattato e le ho fritte in un dito di olio evo per cinque minuti per parte. Le abbiamo mangiate seduti in terrazza sorseggiando una birra. Gli adulti i bambini bevevano acqua, altrimenti con "spaccaball" ci discorrete voi.

15 luglio 2007

Più presto del solito

I pescherecci di giorno dormono. Sonnecchiosi e tranquilli, cullati dallo sciabordio delle acque di porti e canali. Li guardi, e li senti appena respirare, sembran quei vecchi addormentati sulle sedie delle osterie.
La notte invece sembran delle balene, le bocche spalancate verso la terra a vomitar gente, bestemmie e casse di pesce. Poi a ingoiare lunghe reti da pesca, come maghi che s'infilano in gola fazzoletti annodati alle sagre paesane.
Ho chiesto alla Dany, la mia pesciarola, di portarmi con lei a comperare il pesce. A conoscere un mondo che vive in un tempo diverso dal nostro, un mondo che se ne va a casa dal lavoro, quando noi cominciamo ad alzarci per andarci.























Mancano una decina di minuti alle tre del mattino quando ci incontriamo al porto di Fano. Fa freddo, per essere estate. Il giorno prima ha fatto brutto, e qualche barca non rientrerà, tirerà anche il venerdì per tornarsene il sabato mattina. Ma quelle che fanno la "foravia" mi spiega un retaro che incontriamo, ci son quasi tutte. Son quelle che restano in mare due giorni, gli equipaggi quasi totalmente tunisini. Che questo è un altro mestiere che stiamo smettendo di fare. Gino il retaro, mi dice che sta aspettando l' "Alì", è il "suo" peschereccio. E' la barca per la quale fa da uomo di fiducia, ritira il pesce e lo porta al mercato. "L'Alì fa el binbon" mi spiega, "sta fora ventiquattòre". Quando chiedo perché si dica "binbon", mi lancia uno sguardo di traverso, una smorfia alla bocca, poi torna ad osservare l'ingresso del porto.


Quando l'Alì attracca son tutti lì a dirgli che è l'ultimo. Ma nessuno tanto meno l'equipaggio se la prende. Una trentina di cassette vengono sputate fuori velocemente e passate nel furgoncino del retaro. Mi volto e Gino è sparito. Incrocio lo sguardo della Dany. Caffè? Manca poco alle quattro. Un caffè nell'unico bar del porto, aperto a quell'ora. Un equipaggio, ha l'auto in panne e cerca aiuto per tornarsene a casa. Qualcuno tira fuori una corda, l'auto è in pendenza. Ma con l'aiuto di un paio di santi, compresi quelli del nordafrica, è fatta. Di nuovo verso il mercato, il giro dai grossisti , per il congelato e il particolare: ostriche, scampi giganti. Un paio di vaffa decisi per una cassetta di mazzancolle, che qualche giorno prima non era eccellente e una ventina di euro che non passan di mano. Carichiamo il furgone. E poi via dentro al mercato per l'asta, che mancano un paio di cassette di merluzzi e di pannocchie.
























Alle quattro e mezza si comincia. Le casse finiscono veloci sul nastro chi primo attracca per primo vende. Guardo l'orologio girare veloce, il prezzo è al ribasso, ogni manciata di secondi una cassetta è venduta. Il carico di un peschereccio, passa in quindici minuti. Gino mi spiega che il suo pesce è il più bello, i merluzzi "meravijosi e le canocchie vive". Saranno quelle che compriamo. Ma ci tocca aspettare la fine, l' Alì era ultimo. Le facce delle cinque del mattino, son stanche di sonno, il banditore si "incarta" su qualche cassetta, le urla degli operatori servono a tenere tutti svegli. Grossisti, pesciaroli e qualche, pochi, ristoratori. Alle cinque e mezza è tutto finito, aiuto a caricare le ultime casse poi ci salutiamo. La Dany mi allunga un sacchetto con quello che ci trovo dentro ci farò:

Insalata tiepida di mare in guazzetto di vongole


Prendete del pesce misto: calamari, seppia, mazzancolla, gallinella (testarola), scorfano, triglie, e vongole. Pulite il pesce sfilettandolo e con lische e teste fate un fumetto, lasciando sobbollire per una ventina di minuti in acqua, profumata con gambi di prezzemolo e carota. Filtrate il fumetto con un colino. In una padella fate rosolare uno spicchio di aglio e poi buttate le vongole, lasciatele aprire, a fuoco vivo per otto o dieci minuti. Filtrate il sughetto e tenete da parte. Nella stessa padella scaldate poco olio, uno spicchio di aglio, poi aggiungete un paio di mestoli di fumetto, mettete il pesce, nell'ordine descritto sopra e cuocete per pochissimi minuti. Servite aggiungendo un filo d'olio evo, prezzemolo tritato e impiattando con fette di pane abbrustolito che bagnerete con il fumetto rimasto.



12 luglio 2007

Aficionados

E' che uno alle cose ci si affeziona. Ti affezioni alla casa anche se è brutta e quando devi traslocare ti dispiace. Ti affezioni alle cose che neanche quando traslochi butti via. Le tieni perché "non si sa mai". Poi quando prendi il coraggio a quattro mani e butti, stai tranquillo che dopo una settimana quello che hai buttato ti serve.
E così quando vivi in posto, piccolo come il mio, ti affezioni alla pesciarola, al macellaro, alla fruttarola. Ti affezioni persino al cane del vicino, ma non quelle dell'enotecario, che abbaia tutta la notte, e che gli hanno ricostruito il tetto con l'eternit. Ché l'altro giorno, mi dice mio figlio che parla con i cani, voleva farsi abbandonare in autostrada.
Così quando "transumi" per quei quindici giorni di vacanza che la famiglia prende , che però tu lavori, non hai più i tuoi punti di riferimento. E allora tentenni sei incerto, non osi.
Ed è capitato così che prima di decidermi di comperare del pesce, in un posto di mare (!!!) ho analizzato, esteriormente, le quattro pescherie che nei sei chilometri di corsa mattutina incontro.
La scelta è caduta su quella della foto sopra, perchè mi dava l'idea di qualcosa di genuino, di vero, di pescatore che pesca, lì ad uno sputo dal mare. Vado.

Dentro il baracchino c'è un signore anziano, basso, tarchiato, la pella cotta dal sole, maglietta, pantaloncini e ciabatte. Le mani dietro la schiena. Sul banco una cassetta di alici, che ogni tanto, con una mano guizzante, risistema secondo un improbabile schema logico, tutto suo.

"Buongiorno, che abbiamo di buono oggi" (lo so che l'approccio fa cagare ma cercate di capire il contesto ambientale, l' "enviroment"!!! Come facevo ad integrarmi con l'indigeno?)
"Buongiorno, c'abbiamo delle 'cciughe fa-vo-lo-se !"
"No grazie. Magari dei calamari?"
"Nooo calamari niente oggi, ma le 'cciughe, guardi, fa-vo-lo-se !"
"No, no, volevo fare uno "scoglio". Mmmhh delle seppie le ha?"
"Nooo niente seppie oggi..." la mano destra guizza, da dietro la schiena verso la cassetta e allinea un'alice a un immaginario parallelismo, con un altra "... però guardi qua che 'cciughe, fa-vo-lo-se !"
Mi viene un dubbio.
"Scampi ?"
"Noooo...!"
"Mazzancolle ?"
"Noooo...!"
"Vongole ?"
"Noooo...!"
"Cozze?"
"Noooo...!"
E poi la certezza.
" 'cciughe ?"
"Fa-vo-lo-se !"
".... Me ne faccia mezzo chilo, che chissà quelli di casa oggi quanto saranno contenti .... "

Alici marinate con pesca e mandorle tostate

La ricetta ispiratrice originale è quella di chef "capo" Nico che ha pubblicato qui. Io ho dovuto giocoforza, per mancanza di punti di riferimento modificarla (perdonami Capo). E quindi ho deliscato le alici e le ho lasciate insaporire in olio extra buono con pochissimo limone (gocce) e qualche fettina di peperoncino piccante fresco, per una ventina di minuti (il tempo di preparare la cena). Le ho disposte nel piatto alternandole alla pesca tagliata a bastoncino, condito con un fleur de sel Portoghese, qualche scaglia di mandorla tostata (a ricordare il sale di Maldon, che non avevo e che se non ricordo male si presenta a scagliette). Ho condito con l'olio della marinatura un filo di balsamico tradizionale di Modena.
Con il resto delle alici invece ho fatto delle:

Trofie con le alici, olive taggiasche e cappero di Pantelleria

Per quattro. In una padella fate andare uno spicchio di aglio con un paio di fettine di peperoncino fresco in poco olio extra buono. Appena l'aglio comincia a colorare tuffate otto/dieci pomodorini datterino, privati di buccia e semi, aggiungete un tre o quattro alici a testa deliscate, poi le olive denocciolate e i capperi, lasciate cuocere per un minuto. Togliete dal fuoco. Lessate delle trofie (io uso le San Lorenzo), scolatele e saltatele in padella con il sugo, servite aggiungendo un filo d'olio a crudo.


Da bere su questi piatti, in particolare sul secondo, lo chardonnay di Cusumano, il Jalè un vino di struttura importante e gradevole che lascia piacevolmente appagati nel dopo cena ;)


08 luglio 2007

Chiedi e ti sarà dato

Maurizio qualche post fa mi tira, giustamente, le orecchie :) per non aver pubblicato la ricetta della "moretta fanese". Gli ho promesso che mi sarei fatto perdonare. Pensavo di farlo al porto di Fano dove la "moretta" nasce, ma ahimè scopro che di marinai fanesi ne son rimasti veramente pochi. Evito i bar per turisti, sul lungomare, con le bottiglie già preparate. Ci penso e poi mi ricordo, di un tipo che ha un ristorante, e scrive libri. Vado a San Costanzo quattromila abitanti, duecento metri di altezza, vado lì perché ci sta Rolando e la sua "cucina dialettale", vado da lui e mi faccio dare la ricetta della "moretta" per Maurizio.

Quando entri da "Rolando", l'unica cosa che ti ricorda che il mare è a due chilometri, sono i tuoi pantaloncini corti e le tue ciabatte. Rolando è un astronauta e il suo ristorante è un' astronave del tempo. I muri del locale sono tappezzati di documenti, foto di personaggi, lontani parenti, medaglie, editti, quadri di sconosciuti e tele di pittori famosi.






















Il menù è semplice, essenziale, e tradizionalmente legato alle Marche. E sì perché Rolando oltre ad essere marchigiano, è un tradizionalista, talmente convinto che, più o meno, ha scritto una decina di libri sull'argomento. All'entrata una "mattra o "madia" come si dice in italiano, custodisce la selezione di salumi che vengono offerti come antipasto. Per il "vino della casa" Rolando si affida ad una semplice, ma degna: Lacrima di Morro D'alba.
Il resto è un arcobaleno di sapori, piatti stagionali con l'utilizzo di tartufo di Acqualagna. La carne di "marchigiana" dop. Un paio di piatti "cucinati" che nulla hanno a che vedere con l'estate, ma che fanno rimpiangere l'inverno. In cucina: la moglie, in sala Lui che parla, parla e non ti stanca mai. Come diciamo noi: Rolando discorre. E parliamo di cucina, poi di vini, da lì passiamo all' aceto, mi racconta di un'insalata morta, buona con la mortadella e un pane di Fossombrone: il "Lollo" (ecco che me tocca andà anche a Frontone). Poi ci raccontiamo di olio, lui ne mette in tavola uno buono tanto, questa azienda è già due volte che mi capita in bocca in pochi giorni e merita veramente una menzione.

Alla fine poi faccio la richiesta:
"Me la fa una moretta, Rolando".
Sorride: "Non è tanto stagione!"
"Lo so ma ho promesso ad un'amico che gli avrei dato la ricetta, magari mi racconta anche quella".
E allora, "tradotta" e scritta, per Maurizio e per tutti coloro che ne avessero voglia, ecco la ricetta di "Rolando" della:

Moretta Fanese

6/10 di caffè espresso (un caffè);
2/10 di Mistrà Varnelli (Sambuca per chi non ne avesse);
2/10 di Rum;
qualche goccia di brandy e un pezzetto di buccia di limone.
Fate scaldare (non bollire) i liquori miscelati insieme con la buccia del limone. Nella stessa tazza aggiungete il caffè e un cucchiaino di zucchero

Invece per chi volesse andare da:
Ristorante ROLANDO
c.so G.Matteotti
61039 San Costanzo (PU)
tel 0721 950990




05 luglio 2007

Hanno finito de batte !!

E' come al giro di boa, hai finito di "scalare", il vento di bolina, viri e ti metti di lasco e "scendi" pacifico e traverso sul vento. La "battitura" è un po' questo: il giro di boa. La fine della tensione dello stress e della fatica del contadino, (sia chiaro che poi si ricomincia la mattina dopo). Da noi chi lavora in campagna, nonostante l'avvento dei mezzi moderni, che mietono e trebbiano allo stesso momento, usa ancora questo termine: "C'ho da finì de batte."

Battere dal gesto antico per staccare il chicco dalla spiga. Gli uomini al lavoro, le donne che fanno la spola dalla cantina, i bimbi che corrono. Poi l'avvento delle macchine e delle prime trebbiatrici, ma ancora l'uomo come centro del lavoro. Poi la tecnologia, che arrivano sul campo di mia suocera, che usa una ditta per la raccolta, con delle bestie superaccessoriate, che neanche nella mia auto ho il frigobar e il gps integrato per la guida parallela :o Che mi farebbe tanto comodo quando mi prendono quei brutti colpi di sonno :))

Arrivano 'sti due ragazzi, che la parola con-ta-di-no, non sanno neanche sillabarla. Passano. In mezza giornata fanno cinque ettari come fosse niente, che sembrano usciti dal un film di Sonnenfeld. Hanno occhiali da sole raiban, vestono naic, fumano lachistraic e hanno tatuato "nonna ti voglio bene" sul braccio sinistro, ché metterci un nome di donna oggi è a rischio di ripetuta cancellazione via laser . Bevono reintegratori, mangiano barrette, ascoltano i greenday nella cabina della mietitrebbia.
A mezzogiorno hanno finito e si spostano sul prossimo campo. Mia suocera, contadina integralista, esce di casa per invitarli a pranzo. Come si è sempre fatto da quando il mondo è mondo e ci si coltiva e ci si raccoglie il grano. Guarda il campo interdetta, rasato come un biliardo, deserto di grano e di "contadini".
Ma dove sono andati?, chiede. A casa, gli risponde il nipote, hanno fatto. Ma io avevo preparato le tagliatelle, il coniglio e il pollo. Beh. Ce li mangiamo noi! Faccio io. Non la convinco ci rimane male, è come se una crepa si fosse aperta nella sua volta celeste. Ma come non mangiano?
E' vero, ha ragione. Il pranzo della trebbiatura è come il pranzo della pista: sacro.
Blasfemi giovinotti, tatuati e firmati, non saprete mai che coniglio vi siete persi.E adesso lo dobbiamo buttare? Ma che sei matta io ci faccio un:

Raviolo di coniglio, con ragù di rana pescatrice e finocchietto selvatico.


Aldilà di eventuali avanzi, che per me erano praticamente inesistenti ;) fate così:
Per il raviolo:
400 gr di polpa di coniglio disossata che farete rosolare in una casseruola, con olio extra, insieme a qualche foglia di salvia e un paio di "ciuffi" freschissimi di finocchietto selvatico. Una volta rosolata sfumate con del vino bianco e lasciate andare a fuoco basso per una ventina di minuti, aggiungendo eventuale acqua se serve. Raffreddate e passate al frullatore, aggiungete due tuorli, la mollica di pane raffermo bagnata in poco latte, sale e pepe. L'impasto deve risultare morbido e consistente. Preparate i ravioli con secondo le mie istruzioni, se siete più bravi di me usate le vostre :)
Per il sugo:
pulite la rana pescatrice e con la testa fate un fumetto, aggiungendo all'acqua una cipolla e una carota, fate andare per una ventina minuti. Pulite la testa della rana recuperando la carne (le guance sono meravigliose). Passate il fumetto in un colino e frullate la carne. Rimette il fumetto sul fuoco e fate ridurre di 2/3.
Poco prima di servire, in una padella capiente fate scottare uno spicchio di aglio in olio buono extra, tuffate dei pomodorini datterino, spellati e divisi in due e la coda di rana pescatrice tagliata a cubetti fate andare per non più di minuti 1 (uno). Scolate i ravioli che avrete fatto lessare nel frattempo, e fateli saltare in padella, aggiungete del finocchietto selvatico e la riduzione di rana. Impiattate con un filo d'olio a crudo (me sto per sentir male :( dalla fame). Servite e godete.

Questo piatto ha un filo conduttore, in due ricette di questa terra: il coniglio in porchetta, e la coda di rospo in porchetta con le patate mcd=finocchio. Il mare incontra sempre la terra ;)

E per chiudere dei Contadini Seri:

Edoardo e le sue oche
Carlo e il suo riso spettacolare
Francesco e il suo orto
Ste

03 luglio 2007

Chi è il migliore ?

Hai visto? Il Direttore ha lanciato la sfida. Eh, ho visto, ho visto, son bastati dieci commenti per far agitare le acque. E sì qualcuno è li, a menarsi schiaffi. Ma poi che ci sarà tanto da agitarsi, solo per giudicare chi sia meglio dell'altro?C'è poco da star lì a discutere la scelta è facile: il mondo è diviso in due, chi lo fà per mestiere e chi invece per "passatempo".

E allora nella prima categoria ci trovi, la cara Signorina, i miti d'oltreoceano, le bellefoto, i giornalisti bravi, che scrivono su quotidiani e quelli che scrivon guide, lo stesso Direttore, e quelli che ci cambian addirittura lavoro. E stoca ci mancherebbe pure che non siano ben fatti.


Dall'altra parte ci sono "la carne da cannone", quelli che vivono di un'altro mestiere, e per cui il blog è più IMPEGNO che per gli altri. Perchè scusate scrivere due post a settimana, dopo una giornata di lavoro, riuscendo (a volte poco) a non esser banali e scontati, vuol dire rubare tempo a qualcuno. Una famiglia, gli amici, se stessi. Vero, avete ragione! Non ce lo ha ordinato il medico. Che poi il problema non sarebbe neanche lo scrivere, il grosso è leggere, e se non lo fai tutte le notti, ti ritrovi l'aggregatore "pieno come un uovo" (tanto per rimanere in tema).

E allora qual'è il migliore? Forse quello che ti ispira, a volte per l'estetica, altre volte per l'originalità delle idee, per la bellezza delle foto, per strapparti un paio di risate di cuore.
E poi, posso? Citare Platone: "Le cose belle sono difficili".

E per finire, Direttore, un consiglio, però se va in porto mi paga le royalties :) scriva una guida, ma non come quella di staximo, roba più pesante roba su carta, con tanto di computerini a misurare l'estetica, le forchette per le ricette e i bicchieri per i vini. Li vedo, gli altri quattroquinti di Italiani, sfogliare in libreria un tomo che parla di "marziani".

02 luglio 2007

Transumanza

E' un po' come nella poesia "Pastori" di d'Annunzio, anche noi transumiamo, ma al contrario. Passiamo dalla collina al mare. Al contrario delle greggi che in questo periodo lasciavano il mare per le colline dell'entroterra. Ed è già un successo che non lo si faccia in pieno agosto, mese che riserviamo a ben altri destini.
E transumiamo verso il paese della "Moretta", bevanda che i ristoranti del posto hanno il coraggio di proporre anche in piena estate. Perché la moretta, come dice, l'aiutante della mia pesciarola: pescatore che la mattina cucina nel retro della pescheria, è fatta per le nebbie di ottobre, per le piogge di novembre e per la tramontana di dicembre. E' fatta prima di tutto per scaldare le mani, poi lo stomaco e infine la testa. La ricetta originale prevede "tutto l'alcool avanzato che c'hai in casa, messo in una bottija e portato in barca pe' fa el cordiale". Invece oggi è a base di rum, brandy e anice in parti uguali, scaldati (non bolliti) con una buccia di limone, messi in tazza con un cucchiaino di zucchero e un buon caffè bollente sopra, a prender quel colore che gli da il nome.

Il racconto della ricetta prosegue, sul modo e sui gesti per berla, entra nelle storie del mare, si bagna delle ondate che si infrangono sul peschereccio, si infila nella nebbia e nel "piatto" del mare, dove solo la cantilena del diesel rimbomba, si perde e si ritrova grazie al faro del canale: da puntare diritto prua a sud per lasciarlo a dritta, e virando, poi, sotto: entrare.
Lo ascolto e guardo il volto: le rughe di un'età indefinibile, gli occhi piccoli, il naso grande, e chiedo, ma quando rientrate che mangiate? Quel che rimane in fondo alle cassette, ce famo un sughetto col pomidoro e ce cocemi du ciavattoni.



Ciavattoni al ragù di mare.


Per quattro persone fai aprire a parte in una padella 400 gr di cozze e vongole, filtri il sughetto e tieni da parte. In una padella capiente scaldi in poco olio extra buono un paio di spicchi di aglio e una punta di peperoncino. Due minuti e tuffi 300 gr di pomodori sanmarzano privati di semi e bucce e fatti a filetti. Li lasci andare per 5 minuti, e poi aggiungi 200 gr di calamari e 200 gr di mazzancolle, che lasci andare per tre o quattro minuti. Lessi la pasta: paccheri di gragnano, la scoli, molto al dente, e la finisci in padella con il ragù di pesce, aggiungendo le cozze, le vongole e il loro sughetto di cottura, ed eventualmente un poco di acqua della pasta. Servi con un filo d'olio. E che ci bevi dietro? "Un bianchello del metauro belo ghiacciato, va giù che n'amore".
Magari non è un abbinamento "corretto", e un verdicchio con più struttura reggerebbe meglio il piatto. Ma va bene così.