31 ottobre 2006

Le passioni nascon da piccoli.

E' velato da una leggera foschia, il ricordo di quella domenica di 35 anni fa. Era l'inizio dell'estate, la scuola finita, la voglia di stare in giro e non tornarsene mai a casa. Del pranzo di quel giorno ho una sola immagine nitida e cristallina: cinque bicchieri trasparenti colmi di crema gialla, cioccolato nero e venati da gocce di alchermes che venivano infilati in frigorifero. Ricordo la porta che si chiude e la voglia di far correre il tempo in avanti per affondare il cucchiaio in quell'insieme cremoso, e romperne le precarie geometrie.

Ricordo mio padre che ci carica in macchina, me e i miei fratelli più piccoli, la passeggiata mattutina nel paese vicino a comprare il giornale. Ricordo mio fratello quattro anni o giù di lì dondolarsi su di un' altalena improvvisata con una catenella. Ricordo il tonfo sordo della sua testa sul marciapiede, il pianto isterico, la gente che corre, la corsa in ospedale con il sangue che macchia il sedile. Il dottore che ride e dice che si è fatto un bel buco in testa. Ricordo la faccia di mia madre quando mi vede apparire con un'amico di famiglia, lei che raccoglie in una borsa poche cose per restare in ospedale. Ricordo l' ansia che mi assale quando capisco che verremo trasferiti da mia nonna. Ricordo un mio accenno vago al pranzare prima di andarsene che tanto mio fratello sta bene, ricordo vagamente la risposta e il mio pensiero che andava a quei cinque bicchieri nel frigo.

Non ricordo cosa mangiammo quella domenica, ma ricordo che la mia tristezza fu associata all'incidente, mentre invece la causa era l'aver abbandonato al suo destino quella "zuppa inglese", che neanche sapevo si chiamasse così. Ricordo giorni dopo quando rientrammo in casa, con mio fratello sano come un pesce, scoprire nel frigo i cinque bicchieri con un leggero velo di muffa, immangiabili. Ricordo la tristezza che mi chiuse la bocca dello stomaco, e credo che lì sia nata la mia grande, indefessa e infinita passione per la:

Zuppa inglese
per il pan di spagna
Battete a lungo (15 minuti) 3 uova con 100gr di zucchero, fintanto che il composto diventa spumoso e "scrive" (se lo lasciate gocciolare, non si riassorbe subito). Aggiungete e ammalgamate lentamente, 40gr di farina, 40gr di fecola e un pizzico di sale. Versate in una pirofila ben imburrata e infornate a 150° per 40 minuti.
per la crema:
battete 4 tuorli d'uovo, con 4 cucchiai di zucchero a velo. Aggiungete 4 cucchiai rasi di farina, 400 grammi o 500 di latte (a seconda della densità finale). Mettete una buccia di limone e mezza di arancio ( o mandarino) evitando il bianco. Cuocete a bagno maria finche la crema non raggiunge la densita' desiderata.
per la cioccolata:
Sciogliete a bagno maria 125gr di cioccolata "extrafin" non meno del 70% di cacao, con 50gr di panna, incorporate un uovo intero e lasciate cuocere per altri 2 minuti.

Componete la zuppa inglese alternado la crema, cioccolata e pan di spagna quest'ultimo bagnato con una soluzione di alchermes e marsala.


29 ottobre 2006

Amaaa...Ama...Ma te come la fai ?

"Io, faccio sciogliere dei "petali" di cipolla..."
"E no, la cipolla non ci va"
"... in poco olio buono e guanciale fatto a striscioline."
"No il guanciale deve essere fatto a mattoncini"
"Lascio andare fintanto che il guanciale diventa croccante..."
"Il guanciale deve prender colore non deve essere croccante."
"...e la cipolla non si sia appassita. Poi sfumo il tutto con una buona grappa morbida."
"Nooo si deve usare il vino!"
"Lascio evaporare. Aggiungo i pomodori pelati o freschi privati di semi e bucce..."
"Prima devi togliere la pancetta"
"... e li lascio cuocere per due minuti due, a fuoco vivace"
"Ecco ora, dovresti rimettere la pancetta."
"Lesso la pasta, a me piace usare un mezza manica di Garofalo..."
"Ecco anche qui sbagli, si devono usare gli spaghetti."
"... a volte addirittura uso un fusillo lungo bucato di Gragnano."
"Fusilli ? Per carità."
"Scolo la pasta e la salto nella padella con il sugo. Spengo il fuoco e spolvero con parmigiano di almeno 36 mesi."
"No, nooo il pecorino ci devi mettere."
"Impiatto e metto un filo appena di olio buono a crudo."
"Ma il peperoncino non ce lo metti ?"
"Se piace, ancora una spolverata di parmigiano."


"....... Scusa ma perchè a me l'hai data in bianco con l'olio ?"
"Mi era sembrato di capire, che la mia Amatriciana non ti piacesse !"



25 ottobre 2006

Le millésime du siècle


Che a Bordeaux il 2005 sarebbe stata una grande annata, lo si cominciò a capire verso la fine dell'estate: inverno freddo ma non troppo, primavera ideale, un'estate perfetta rinfrescata da qualche pioggia tranquilla. Che sarebbe stata un'annata eccezionale lo si capì a settembre con vendemmie iniziate in anticipo anche di due settimane sulla media. E già qualche "vignerons" parlava di annata impeccabile, a confronto, migliore di quella del 1998. Che questa fosse l'annata del secolo lo si è capito con l'assaggio del primo anno. Ma che sarà un'annata per pochi eletti lo si capisce ora dai prezzi dei Primeurs.

Il primeurs è l'acquisto di "future" sul vino, meglio parlare però di un "pronti contro termine". In parole povere
vuol dire che oggi comprate un vino che vedrete nella primavera del 2008. Questa pratica, comune in Francia e in sviluppo in Italia, serve sostanzialmente a finanziare i produttori, obbligati a immobilizzare un capitale (barrique, investimenti in vigne, in attrezzature ecc.) nelle loro cantine. E' chiaro che il prezzo del "future", "sconta" un differenziale rispetto a quello che sarà il prezzo della messa in commercio. Sostanzialmente oggi pagate di meno, qualcosa che varrà di più. Questo metodo normalmente consente di acquistare grandi vini Francesi ad un prezzo "abbordabile".
Ad esempio lo Chateau Margaux 2001 oggi è acquistabile a 250€/bottiglia, dal sito chateauonline (link a fianco). Se non ricordo male nel 99 il primeurs di questo vino si aggirava tra i 120/150€ (250.000 lire di allora). Direi che un 100% di realizzo non è male per un investimento, sempre che non vogliate berlo.

Ora i Francesi sono bravi a fare vino, lo sono perchè lo fanno da più tempo di noi. In Italia abbiamo cominciato a fare vino in maniera "seria" a partire dalla metà degli anni ottanta, dopo il famoso scandalo del metanolo (altro regalo che ci siamo fatti con leggi stupide, ma ne riparleremo). I Francesi fanno vino da, un 300 anni o giù di lì, allo stesso modo, oggi come allora. Di più, sono bravi a non farsi ingessare da legislazioni "particolari": un grande vino di Bordeaux anno 2005 lo potrete bere, appunto, nel marzo del 2008, 30 mesi dopo la vendemmia. Un Barolo o un Brunello di Montalcino (tipologia riserva) debbono affinare in cantina almeno 62 mesi (sessantadue). Il 2005 riserva sarà in commercio solo nel 2011, tre anni dopo (o giù di lì), dei grandi vini Francesi. Un leggero svantaggio, commerciale. L'uso della botte in Francia (usano la barrique da 225 lt. da sempre) è variabile a seconda della qualità della raccolta. Quindi annate scarse potranno essere affinate in botte per meno tempo, in Italia no. Le nostre denominazione risalgno alla metà degli anni sessanta, quelle di Bordeaux al 1855, tutt'ora in vigore. Loro possono ricorrere allo zucchero (la CEE dice che al nord i vini sono più scarichi) noi non possiamo. Tirate una linea retta su una cartina d'Europa partendo da Bordeaux, poi ditemi se Langhe e Valtellina sono più a nord o più a sud. Però noi possiamo ricorrere al MCR: mosto concentrato e rettificato, una vergogna per chi vuol fare vino di qualità.

Ma torniamo in quella terra attraversata dai "due mari". Dicevamo che il primeurs 2005 è un'altra cosa. Sempre chteauonline scrive: "S'il vous reste beaucoup de 1928, 1949, 1961 et 1982 dans votre cave, alors vous n'êtes pas obligé(e) d'acheter du 2005..." Se ne avete abbastanza di quelle annate non vi serve il 2005. Ma anche se vi servisse dovreste farvi quattro conti quattro delle vostre finanze. Già, perchè se volete comprarvi lo Chateau Margaux 2005, dovrete tirar fuori, oggi, 650€ per una a bottiglia, sempre su chateauonline sezione primeurs. Se invece la Vostra passione è il Sauterns e tra tutti "Y": Chateau d'Yquem, allora vi "basteranno" solo 520€ a bottiglia. Considerate che il primeurs 2004 (altra grande annata 95/100 da Wine Spectator) è acquistabile a 146€.

Ora saranno sicuramente bravi a far vino, il 2005 sarà sicuramente una grande e spettacolare annata a Bordeaux. I bambini nati in quell'anno si chiamerano: "LaTour", "Mouton", "Petrus", "Yquem". Il 2005 sarà il nuovo anno zero per l'Aquitania. Ma chi avrà il coraggio, aldilà dei soldi, di stappare una bottiglia così ?

P.S. i prezzi sono al netto di IVA, apllicabile a seconda del paese di spedizione ;-)

21 ottobre 2006

Gelato caldo

Sono al computer, un po' di cose rimaste indietro. Qualche mail non letta, mi preparo al fine settimana. Un clacson suona dal cortile di casa, tre lunghi strombazzate di richiamo, a ricordarci che oggi è venerdì.
Da dietro le spalle sento trambusto, qualcosa che cade. Tre stanze più in là Matteo si mette a correre, fa gli scalini, accellera sul corridoio, quando passa davanti allo studio, quasi vola. mi lancia appena uno sguardo eccitato: "Corri che è arrivato il gelatooo..."
Si fionda fuori uscendo sul giardino, nel viottolo quasi si scontra con Giacomo, che esce anche lui di corsa, ma dalla casa di fronte. E' una gara a chi arriva prima al furgone del Fabri.
E già qui da noi il gelato ci arriva dentro casa. Fabrizio scende apre il retro, il fianco del furgone, e si mette in "consolle".
"Io vojo i'gelato caldo..!" Il primo e per Matti una coppetta di panna (gelato caldo) e poi via tutti i bimbi, anche quelli del vicinato. Poi qualche mezzo chilo o chilo per casa, due chiacchere veloci che il giro non è finito. Un saluto e alla prossima, ciao Fabri.


Gelato di crema all'aceto balsamico

Procuratevi dell'ottimo aceto balsamico tradizionale o un condimento da esso derivato. Evitate ASSOLUTAMENTE quelli che si trovano nei supermercati, nulla hanno a che vedere con il nome apposto in etichetta. Si tratta invece di aceto rosso tagliato con caramello. L'aceto Balsamico invece è mosto di uve cotto, sottoposto a fermantazione zuccherina ed acetica per un minimo di 12 anni, con un processo di invecchiamento che riduce del 85% il quantitativo iniziale. Parlo di condimento tradizionale perchè l'aceto balsamico è "abbastanza costosetto" qui potete trovare sia l'uno che l'altro.

Dopo l'aceto procuratevi del buon gelato di crema. Nella quantità per 4 persone di gelato, aggiungete un cucchiaio di aceto e ammalgamate , fino ad incorporare il tutto. Servite e gustate.

Cala giù da qul pajaro ...

... dicono gli Anconetani per farti capire che devi volar basso. Invece a Porto Recanati venti chilometri più a sud pare si dica "Cala jo da so ceregio" scendi giù da quel ciliegio. Il significato è lo stesso ma la metafora completamente diversa. E così ad Ancona dicono "Viene oltro" ed intendono: avvicinati, mentre a Senigallia venti chilometri a nord dicono "Vieng'oltro".

Ora considerando che malcontati nelle Marche ci sono 160 chilometri di costa, e che su questi, citando solo i principali, si affacciano i seguenti porti: Gabicce, Pesaro, Fano, Senigallia, Falconara, Ancona, Sirolo, Porto Recanati, Civitanova, Porto S.Elpidio, Porto S.Giorgio, Grottammare, San Benedetto del Tronto e Porto d'Ascoli. Considerato che il dialetto cambia almeno sei o sette volte da nord a sud, io dovrei scrivere una ricetta del Brodetto? Ne conosco e conto almeno tante quante i porti sopra citati. Ogni paese che si affaccia sul mare ha il suo brodetto, magari dicono: "Ah, ma noi lo fami come quelo de Ancona, ma senza la testarola e senza i scampi". "Anno (l'anno scorso) semi stati alla sagra delle crocette a Marota, che loro chiamani i garagoi. Bè c'era un brodetto tutto de spine."
Se allora volete toglervi la curiosità leggetevi i quattro tipi principali di brodetto.
Altrimenti,per chi ama sentire il sapore del pesce e poco quello del pomodoro o della conserva, io lo faccio così:

Brodetto di pesce
Per il pesce: Seppie, Calamari, triglie di scoglio, scorfano, testarola (o gallinella), palombo, rospo, razza, pannocchie, mazzancolle, vongole e cozze.

Tempo prima
Sfilettate e pulite il pesce, con le lische e i carapaci fate un fumetto (brodo) aggiungendo una cipolla, due carote una costa di sedano, qualche foglia di salvia, timo, alloro e otto pomodorini rossi, lasciate ridurre un litro di acqua a circa la metà, salate.
Mezz'ora prima
fate rosolare, in una pentola capiente, due spicchi d'aglio
e una cipolla tritata finemente in olio buono (extravergine d'oliva), aggiungete una decina di pomodorini sbucciati e senza semi e lasciate appassire. Mettete per primi seppie e calamari e lasciate rosolare per cinque minuti, sfumate con mezzo bicchiere di vino e lasciate evaporare. Aggiungete il pesce da spina, i crostacei, i molluschi e da ultimo il fumetto filtrato e ben caldo lasciate sobbolire adagio per una mezz'ora non coperto. Vietato assolutamente toccare il pesce con qualsiasi "instrumento", invece muovete la pentola ogni tanto in larghi cerchi.
Servite e mangiate con cucchiaio accompgnato da pane "bruscato" se volete. Beveteci un verdicchio dei Castelli di Jesi: Podium di Garofoli, oppure osate (unico caso) con rosato, magari pugliese: il Cioccarello della cantina Svevo.

"Ma 'l melauro ce lo meti te 'nte sto brodeto ?"

19 ottobre 2006

Carne "please"... no ciccia

Poco "sopporto", a meno che non siano cari amici, chi chiama la carne: ciccia. E comunque scusate, mi rivolgo agli amici, ma a me la parola ciccia da un senso di "sminuito" di qualcosa di non degno. Sarà perchè da bambini le mamme si appellavano alla nostra fantasia con questa espressione. La mia memoria va a cucchiaiate di carne macinata di un colore grigio spento che per tempo o per inganno finivano in minestrine biancastre e poco saporite. Ricordo invece il sapore di una tartare (nessuno a casa mia sapeva che questo era il nome) cruda che mi veniva preparata ogni tanto, e che spariva in un attimo. Altro cultore del "ciccia" è l'ormai famoso, pluriintervistato ed esperto (in Italia ci vuole poco) Dario Cecchini. Che decanta e spiega, su ogni canale televisivo, come deve essere una bistecca alla fiorentina. Spero per campanilismo, e non per ignoranza, ogni volta che l'ho sentito parlare di questo taglio di carne ha sempre e solo citato come razza bovina di provenienza la Chianina. Dimenticando che insieme alla Marchigiana e alla Romagnola queste fanno parte della IGP Vitellone Bianco dell'Appennino centrale. Le tre razze (una foto per capire) erano originariamente allevate per il lavoro nei campi e sono votate alla produzione di carne d'eccellenza. Quindi caro Cecchini, la fiorentina si fa anche dalle altre razze, e non solo dalla Chianina. Di più, non facciamoci "infinocchiare" (sic!), che la fiorentina la si debba comprare solo e per forza in toscana. La IGP citata è territorialmente riconosciuta nelle regioni: Emilia Romagna (prov. di BO, RA, FC, RN), Marche (intero territorio), Umbria (intero territorio), Toscana (prov. di LU, AR, PR, PI, SI, FI, GR), Lazio (prov. di RI, FR, VT), Abruzzo (intero territorio), Molise (intero territorio), Campania (prov. di BN e AV).
Ergo il taglio, perche tale è, può essere Fiorentina anche in riva al mare di Rimini.
Un paio di accorgimenti: la fiorentina è tale, quando la lombata è intera sull'osso a T rovesciato, e fin dove si incontra il filetto contrapposto. Deve essere tagliata spessa quanto serve affinchè riesca a "stare in piedi". Fondamentale in questo taglio è la FROLLATURA. Affidatevi ad un macellaio di fiducia e cercate una frollatura lunga. Personalmente faccio anche raddoppiare i 10 - 15 giorni canonici, chiaramente per far questo non compero una sola bistecca ma l'intero pezzo.
E poi una volta ogni tanto, levatevi la voglia di una:

Fiorentina con olio aromatizzato

Olio:
un paio di giorni prima rimediate un mazzetto di profumi, rosmarino, maggiorana, timo, salvia, santoreggia, alloro, becche di ginepro, grani di pepe e un paio di spicchi d'aglio. Mettete gli odori in un contenitore e copriteli di olio buono.
La carne: se avete un barbecue deve "morire" lì, altrimenti "indoor", una padella di ghisa può sostituirla. Fatela cuocere 3/5 minuti per parte. Lasciatela poi riposare in forno a 100° per 15 minuti (non cuoce) in modo che i succhi si ridistribuiscano nei tessuti della carne. Fatela a pezzi per servirla, salatela con sale grosso e conditela con l' olio aromatizzato.
Un consiglio: se non amate la carne al sangue, questa non è la vostra carne.

16 ottobre 2006

Ma quando è che un vino è buono ?

Un vino è buono quando piace. Banale ma questa, secondo me, è la Regola.
Ma so anche che, purtroppo, non funziona così. E da quando il Donchisciottesco Veronelli ci ha lasciati, siamo sempre meno e più soli a pensarla in questo modo.
Sempre di più il mondo del vino sta subendo "regole" dettate, così dicono, dal mercato e dai consumatori. Il problema di fondo è: chi educa i consumatori del vino? E chi è che fa il mercato?
Perchè sempre più spesso apro bottiglie che sanno di puzza di stalla e cavallo sudato? Perchè, sempre in quelle bottiglie "trovo" legno in quantità industriale e sapore di marmellata a scadenza? Come si può giudicare questo l’apoteosi del vino? Perchè di fronte a queste evidenze, anche nei luoghi deputati a questo (corsi di sommelier), la critica è appena sussurrata? E se di fronte ti trovi un'amante della "puzza di stalla" la critica è giudicata ignoranza, con il rischio di veder vanificato lo sforzo didattico al diploma?
Non provengo da una famiglia di grandi consumatori di vino, ma ricordo che da ragazzo ogni tanto andavamo a prendere il vino dai contadini. L'acquisto era preceduto dalla "dovuta" degustazione (meglio, assaggio), fatta da chi comprava e dal contadino. Un bicchiere era destinato anche al bambino per fortificarne... forse, lo spirito. "Bevi cocco... che è tutto pagato", l'assaggio non costava. Ricordo una volta un commento ad un bicchiere, fatto da un amico di famiglia, stringato, essenziale e purista: "Sincero !"
Ecco, come fare, dunque, per capire se un vino è SINCERO ?
Le strade percorribili sono teoricamente tre.

Acquisire tecnica ed esperienza individuale e decidere di proprio conto. In questo caso bisogna avere pazienza e soldi. Oggettivamente per capire un vino non sono sufficienti tre serate in un’enoteca a bere dieci vini a sera e a cercare di ricordarsi 5 o 6 frasi d’effetto. Per far da soli bisogna sapere di: storia, di viticoltura, di enologia, di tecnica di degustazione, delle tecniche di conservazione e di servizio, di legislazione, di enografia e alla fine di abbinamento cibo/vino. I tre corsi dell’AIS che alla fine qualificano sommelier danno delle discrete basi a quanto sopra. Ma servono tre anni e mal contati un paio di mila euro.

Affidarsi alle guide. Bisognerebbe esser sicuri di non cadere nell’ammasso celebrale di “gocciolante alcool e trasudante frutto”. Solo per dare un’idea ho preso le tre “top-guide” 2007 per i vini italiani: “I vini di Veronelli” (dichiaro sin da ora che questa è la mia guida), “Il gambero rosso” e “Duemilavini”. Ho considerato le Marche intesa come regione, solo perché sono la mia terra, nessuna velleità protagonista rispetto alle grandi regioni vinicole italiane.
Cosa ho scoperto? Questo.
Le tre guide mettono al loro massimo punteggio (trestelle, trebicchieri, cinquegrappoli) 46 differenti vini marchigiani.
Considerato che se un vino è buono, lo dovrebbe essere fondamentalmente per tutti, almeno per gli esperti degustatori delle guide, mi aspettavo una concordanza su una buona parte, diciamo la metà, dei vini analizzati. Invece no!
Di tutti i vini analizzati solo per il 2% (UN VINO), tutte e tre le guide concordano: Kurni Marche Rosso 2004, Oasi degli Angeli. Non esprimo giudizi per ora, lo conosco, l’ho letto, l’ho bevuto o lo riberrò per capire. Promesso.
Per un altro 13% (6 VINI), solo due guide su tre concordano nel massimo punteggio.
Per gli altri 39 VINI e cioè per l’85% (ottantacinquepercento micacazzi), ognuno la pensa in maniera completamente diversa e autonoma.
Potremmo quasi asserire che in teoria anche il vino di Ciccio di San Gianni potrebbe prendere un discreto punteggio, non fosse per quel vago retrogusto di bisolfito che ti resta, più nello stomaco che nella bocca, trasformandosi in mal di testa. Scherzo !
Ma dico sul serio che quando tre grandi guide concordano solo su 1 vino su 46 in una regione, poco complessa, come le Marche c’è qualcosa che non torna. Non penso male anche se a farlo ci si sbaglia raramente. Ma mi chiedo: a chi dar retta se voglio bere un vino buono?
L'ultimo metodo è semplice: hai un amico di cui ti fidi, e che un pochino capisce di vino? Trasformalo in una guida, io stesso lo sono. Non sarò un "pozzo di scienza", ma quando un amico mi chiede un consiglio, lo do basandomi sulla mia esperienza, e soprattutto sul quel senso, che qualcosa di effimero, come l’arte, la musica, il cibo e il vino, deve dare, quel senso di … PIACERE e di SINCERITA'

12 ottobre 2006

Prenditi un paio d'ore.

Prenditi un paio d'ore, carica tre amici in macchina. Portateli in un posto ameno e senza pretese.

Ordina salame, prosciutto e formaggio buoni, un "graspo" di moscato e una panachè.
Fatti due chiacchere e quattro risate, festeggia qualcosa, magari il compleanno di uno di loro.
Saluta la signora. “La torta avanzata, ve la congelo per la prossima volta”. Prenditi una boccata d’aria e poi tornatene in ufficio.

Auguri Tè....

10 ottobre 2006

Ricette Sparse ..(2)

Esser "di fronte" al mare più pescoso del mediterraneo (lo dicono questi signori), ha i suoi vantaggi. Vivere a un'ora, o giù di lì, di strada da esso, può essere un problema. Avere una "pesciarola" imprenditrice che investe nell'entroterra delle Marche, è una fortuna. Sapere che si può contare sulle due barche di famiglia, è un sicuro vantaggio. Passare da un camioncino ambulante, una volta a settimana, ad una bella pescheria a due passi da casa, tutti i giorni, è quasi miracoloso. Passo almeno due volte a settimana anche di più. Certe volte la Dani non mi fa neanche entrare: "Non c'ho niente per te oggi !".
L'altro giorno invece aveva una cassetta di una delle mie manie preferite, rosse, grasse: TRIGLIE. E così un menù a base di questo fantastico mullide.

Spaghetti alle triglie


Sfilettate due triglie a persona, usando un coltello flessibile ed affilatissimo, partite dalla coda e seguendo la spina fate un filetto per ogni lato del pesce. Lavate i filetti e metteteli da parte. In un padella scaldate dell'olio d'oliva buono e lasciateci indorare dell'aglio e del peperoncino. Appena l'aglio prende colore mettete giù i filetti prima dalla parte della pelle e poi dall' altra, totale tempo di cottura tre (3) minuti, salate (poco) e pepate. Sfumate un minuto con poco vino bianco dealcolizzato (cioè: lasciato bollire qualche minuto precedentemente a parte per eliminare l'acidità dell'alcol). Fate in modo che almeno un filetto per ogni commensale rimanga intero e tenetelo a parte.
Lessate la pasta, saltatela nell'intingolo e aggiungete prezzemolo tritato. Servite recuperando i filetti interi tenuti a parte.

Millefoglie di triglia
(o triglie al forno impanate)



Sfilettate le triglie come sopra almeno quattro a persona, lasciatele per un paio d'ore in un'emulsione di olio e aceto balsamico. Passatele nel pane grattato condito con prezzemolo, sale e pepe. Infornate per dieci minuti con funzione grill al massimo e servite.
Accompagnate il tutto con un Bianchello del Metauro magari di Fiorini.

06 ottobre 2006

Primi segni d'autunno

amico: "Ciao, ti serve ancora quella roba che mi hai chiesto?"
colica: "che ti ho chiesto ? ... Non me ne ricordo più"
amico: "Stavo qui ai silos, c'ho ancora tanto de quel girasole da mette dentro, a 'n certo punto da dietro il bosco è uscito un signore con due canestri..."
colica: "... allora?"
amico: "sta a senti, sta ki davanti a me, c'ha un paio de chili de porcini freschi freschi, te li prendo?"
colica: "Ma sono freschi?"
amico: "Ma scherzi ? Ma per davvero ancora non è andato a casa !"
colica: "Prendili e digli di farmi un buon prezzo, che laggiù i negozianti gli tirerebbero il collo."
amico: "Va bè t'aspetto stasera. Poi per quell'altra roba ne riparlamo.... Qualcosa se comincia a vedè."

04 ottobre 2006

Una guluppa di moscato

Che profumo ha l'autunno ?
Ha il profumo giallo delle mele in soffitta. Quello bianco argento delle prime fredde mattine. Quello azzurro dei mezzogiorni caldi di sole. Quello grigio verde del mosto appena spremuto. Quello verde marrone della terra bagnata.
Chiudo gli occhi e c'è un ragazzino che trotterella per i campi a fianco del padre. Da piccolo mi portava a caccia, o forse perchè lo prendevo per sfinimento non poteva farne a meno. Oggi sò quale fosse la differenza: nel primo caso camminavamo nei campi di erba medica ormai tagliata. Nel secondo attraversavamo campi lunghissimi, gonfi di enormi zolle arate. Ne uscivo con un mal di mare incipiente e le gambe indolenzite, dal continuo saliescendi tra un solco e l'altro. Lui mi aspettava in fondo al campo, la sigaretta accesa, chiedeva se fossi stanco. No perchè ? Ci mancherebbe ! Allora via, dentro alla prossima messe fino in fondo al fosso. Lui da un lato, sul prato io dall'altro in mezzo alla terra. Mezzo metro di fango sotto gli stivali, che se aveva piovuto da poco ti rimanevano infilati nel solco. Lo anticipavo, per far scappar via merle, nascoste nella macchia.
La caccia era sempre relativamente scarsa, ricca però di racconti di tempi passati in cui, sì che quella volta si "sparava". Imbruniva, piccoli voli sparuti passavano veloci, e poco interessanti per lo schippo, sopra le nostre teste. Capitava a volte di attraversare una vigna ancora carica di grappoli. Il buio imminente ci era alleato in quel furto di poca cosa. "Spizzicavo" i grappoli mentre passavo. Acini minuscoli che non mi davano piacere, al contrario dei commenti di mio padre: senti come è dolce 'sto moscato. Continuavo a cercare i grappoli di moscato e ingollavo uva acerba e spigolosa. Me ne lamentavo, piagnucoloso: ma dov'è 'sto moscato? Levati la giacca. A pochi metri dalla fine del filare e dall'agognata strada, cinque o sei grappoli finivano nella giacca chiusa a mò di guluppa. Profumavano di zucchero e appiccicavano le mani, mi "rifacevo" la bocca con una generosa manciata. E mentre strisciavo gli stivali sulla strada, a pulire il mezzo metro di fango, il succo mi colava sul mento e sulla camicia.
A casa quel furto diventava la frutta di un paio di giorni. A volte, invece, spariva per riapparire sotto forma di:

Maritozzi di mosto
(questi li ha fatti Renata)
preparate il mosto dalla spremitura di un uva moscato o di un altra uva tendente al dolce. Usatene quanto ne richiede l'impasto. Fate una fontana con un chilo di farina (metà 00 e metà manitoba). Sciogliete un etto di lievito di birra in una tazza di mosto, battete 3 uova con 200 gr di zucchero incorporate alla farina e aggiungete 150 grammi di olio di oliva buono. Aggiungete all'impasto 30 gr. semi di anice e 100 gr di uvetta sultanina, entrambi ammollati nel mosto. L'impasto deve risultare morbido e appiccicoso, usate il mosto per regolare la consistenza. Lasciate lievitare l'intera massa per 2 ore. Poi formate dei panetti (biscotti) allungati e lasciate lievitare per altre 2 ore. Spennellate con l'uovo, cospargete di zuccherro e infornate a 140°. Cuocete fin che la superficie prende un colore marrone brillante (30 min.). Se ci riuscite lasciateli raffreddare.

Due consigli per mangiarli, oltre il classico modo al naturale nel caffè latte la mattina.
A fettine seccati al forno e inzuppati (pucciati) in un vin santo, magari l' "Occhio di pernice" di Avignonesi (e crepi l'avarizia), oppure votarsi alla distruzione morale del proprio ego naturista: aprendoli e spalmandoli di Nutella.

01 ottobre 2006

Déjà vu

Vi è mi capitato di avere la sensazione di aver già vissuto precedentemente un avvenimento o una situazione che si sta verificando? Si tratta di “paramnesia”, non è grave! Il nome più diffuso è: “Déjà vu”, già visto.
A me capita, ogni tanto. A volte è la sensazione di essere stato in un posto anche se effettivamente è la prima volta che ci vado . Oppure la sensazione più classica di vivere una situazione e ricordare di averla già vissuta. Ma mi capita anche, e spesso, di “sentire” odori quando sono in posto, in cui quegli odori non possono esser prodotti.
In particolare “sento” due profumi. Il primo è quello di una minestra che mangiavo da bambino, all’asilo. Il menu era sempre uguale: la minestra un giorno e penne lisce al pomodoro il giorno dopo. Lasciamo stare le penne, ma la minestra mi piaceva, aveva un profumo particolare e intenso. Il brodo era cremoso di un colore rossoarancione, la cucchiata raccoglieva pezzetti di patata e maccaroncini sempre al dente. Non l’ho più mangiata e non sono mai riuscito a replicare quel profumo. Sono tornato in quel paese arroccato su di una collina in mezzo ai monti, dove ho memorizzato i primi ricordi d'infanzia. L’asilo non c’è più, non ci sono abbastanza bambini. Ho chiesto in giro chi fosse stata la cuoca ai miei tempi, nell'improbabile tentativo di ritrovare la ricetta. Un lavoraccio.
L’altro profumo che mi “assilla” è quello del “sugo”. Da queste parti, quando parli di sugo, parli di ragù, ma non quello "alla bolognese" quello con cui i tedeschi condiscono gli "ssppaghtte bbologneeese". Non quello dove per trecento grammi di carne sono previsti cinque cucchiai di pomodoro. Nel ragù marchigiano, invece, prevale la salsa di pomodoro, con profumi di chiodi di garofano e noce moscata. La consistenza più fluida rispetto al blasonato "bolognese" colora di un rosso vivace le paste. Così d
iventa il condimento ideale dei piatti della domenica: la pasta al forno, (le lasagne) che percorrendo una quarantina di chilometri verso il mare diventano "i vincisgrassi", dei ravioli sia di magro che di carne e delle immancabili, classiche e onnipresenti,

Tagliatelle col sugo della domenica

Per il sugo (4 commensali)
400 gr di carne mista di manzo e maiale NON MACINATELA battetela grossolanamente con un coltello affilatissimo, se non lo avete chiedete al macellaio il favore. Qui la letteratura è piena di variazioni: salsiccia, mortadella a tocchetti, agnello, io mi fermo al classico. In una casseruola fate dorare una piccola cipolla tritata in olio buono e burro. Aggiungete la carne e fatela andare una ventina di minuti sfumate con del vino bianco e una spruzzata di grappa, salate, pepate e spruzzate di noce moscata. Aggiungete un chilo di pomodori pelati, passati nel passaverdure, una carota intera una costa di sedano, due chiodi di garofano e fate alzare il bollore. Appena il ragù inizia a bollire aggiungete uno o due rametti di basilico intero. Fate bollire non meno di un'ora (ma anche di più) a fuoco lento.

Per le tagliatelle
4 uova, 400 gr di farina un cucchiaio d'olio sale q.b. Fate la classica fontana e preparate l'impasto che va fatto riposare per almeno una ventina di minuti in frigo e avvolto nella pellicola. Tirate la sfoglia a mano, se siete capaci, altrimenti a macchina e fate le tagliatelle.
Lessate la pasta e saltatela in una padella con il ragù e servite con generosa grattata di parmigiano e un filo d'olio a crudo.

Chissà chi era quella cuoca ?!